Francesco Moscatelli
Carceri, la fabbrica dei suicidi
La Stampa 21/11/2011
L’ ultima vittima, P.C.A., un cittadino colombiano di 48 anni, si è impiccato venerdì 18 novembre nel carcere bolognese della Dozza. Ha rifiutato di uscire dalla sua cella durante l’ora d’aria, ha lasciato sopra il materasso alcune lettere per i suoi familiari e si è impiccato con il lenzuolo, «legandosi le mani con un calzino per evitare ripensamenti». Una settimana prima, sabato 12 novembre, due tragedie identiche si sono consumate nel Reparto di osservazione di Poggioreale, a Napoli, e nell’ospedale psichiatrico di Reggio Emilia. E questi sono solamente gli ultimi tre dei cinquantanove suicidi avvenuti quest’anno nei penitenziari italiani. Uno ogni cinque giorni, uno ogni mille detenuti dicono le statistiche. E i tentati suicidi (i dati fanno riferimento al 2010) sono stati quasi il triplo: 167.
Il numero impressionante di «auto soppressioni», come vengono definiti i suicidi nelle relazioni delle guardie penitenziarie che ci devono convivere tutti i giorni, è l’aspetto più evidente di un sistema carcerario che si avvicina sempre di più a un inferno. Il primo male, però, da cui discendono tutti gli altri, è il sovraffollamento. Ad oggi nelle 206 prigioni italiane ci sono 67.510 detenuti (43.253 italiani e 24.257 stranieri) per 45.572 posti letto. Fra questi ci sono 37.395 persone condannate in modo definitivo (il 55,4%) e 28.457 imputati (14.445 - il 21,4% - in attesa del giudizio di primo grado, 7.698 l’11,4% - in attesa del giudizio d’appello e 4696 -il 7% - in attesa della sentenza definitiva della Cassazione). Il totale dei detenuti era di circa 40.000 unità nel 2006, subito dopo l’indulto, ma in questi cinque anni è tornato a crescere ben oltre la soglia di guardia. Per comprendere il livello di emergenza basta confrontare l’indice di sovraffollamento (quanti sono i carcerati ogni cento posti disponibili) dei principali Paesi europei: in Italia è 148,2 (peggio di noi c’è solo la Spagna con 153) mentre la media europea è 104 e nei paesi virtuosi (Svizzera, Danimarca, Norvegia, Germania e Portogallo) l’indice si aggira intorno al 90.
«Nove regioni (Calabria, Emilia Romagna, Friuli, Liguria, Lombardia, Marche, Puglia, Valle d’Aosta e Veneto) - scrive Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp (l’Organizzazione sindacale autonoma della polizia penitenziaria) - hanno superato persino le capienze massime consentite, con 6.000 poliziotti penitenziari in meno su un organico di 45.109, 2.236 unità dei profili tecnici e amministrativi in meno su un organico di 8.737 e circa 150 milioni di debiti su forniture e utenze per il 2011. E per il 2012 c’è l’urgente necessità di reperirne altri 250».
Il 13 gennaio del 2010 l’ex ministro della Giustizia Angelino Alfano ha cercato d’intervenire varando il cosiddetto «Piano carceri». Il progetto di Alfano si fondava su tre pilastri: la costruzione di 11 nuovi penitenziari, la realizzazione di 20 padiglioni extra all’interno di strutture già esistenti e l’assunzione di 2.000 nuovi agenti penitenziari. Dieci mesi dopo, però, come ha ricordato pochi giorni fa Marco Pannella dai microfoni di Radio Radicale - «Il 28 luglio il Presidente della Repubblica ci disse, direi, ci ordinò, di affrontare la prepotente urgenza rappresentata dalla situazione delle carceri e della giustizia. Dov’è finita questa emergenza?», siamo ancora al punto di partenza. Anche ammesso che il «Piano carceri» venga completato in tempi ragionevoli, infatti, all’appello mancherebbero comunque 12.788 posti. Le situazioni più allarmanti sono in Lombardia (mancano 4.114 posti, ma a piano ultimato ne mancherebbero comunque 3.314), Campania (mancano 2.182 posti e a piano ultimato ne mancherebbero 1.332) e Lazio (mancano 1.754 posti e a piano ultimato ne mancherebbero 1.354).
Il nuovo governo è consapevole che bisogna intervenire il prima possibile. Tant’è vero che le uniche parole pronunciate dal Guardasigilli Paola Severino, intercettata dai cronisti mentre usciva dal Quirinale dopo il giuramento sono state: «Diamoci tutti una mano. Il carcere è un problema grave». Sul piatto, oltre agli interventi sulle strutture e sugli organici della polizia penitenziaria, potrebbe esserci anche altro: dalla revisione delle norme sulla custodia cautelare all’introduzione di misure alternative alla detenzione per i reati meno gravi. In tempi di tagli alle spese dello Stato, infatti, a preoccupare sono anche i numeri dei bilanci. Secondo i dati del dipartimento di Polizia penitenziaria ogni giorno spendiamo 7.615.803 euro. In pratica 113 euro per ogni detenuto. Di questi 98,95 euro vengono spesi per il personale, 4,03 per il funzionamento delle strutture, 3,35 per le spese d’investimento (edilizia penitenziaria, acquisto di mezzi di trasporto) e 6,48 per il mantenimento dei detenuti. «Ma di questi spiega Riccardo Polidoro, presidente della onlus “Il carcere possibile” -3,95 euro vengono spesi per il cibo e solamente 11 centesimi per il trattamento di riabilitazione».