Nota a Trib.
Milano, sez. IX (ord.), 21.3.13 (dep.), Giud. Giordano, imp.
Andreata e altri
1. Il
Tribunale di Milano, con un'ordinanza che - comprensibilmente -
ha avuto immediata risonanza mediatica (si veda l'articolo di L.
Ferrarella, Medici
non punibili. Il giudice contro il decreto, sul Corriere
della Sera del
23 marzo 2013, p. 25),
ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art.
3 d.l. 158/12, come convertito dalla l. 189/12, cioè
della norma contenuta nel c.d. decreto
Balduzzi che,
al comma 1, testualmente recita: "L'esercente la professione
sanitaria che nello svolgimento della propria attività si
attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla
comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In
tali casi resta comunque fermo l'obbligo di cui all'articolo
2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione
del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della
condotta di cui al primo periodo".
Secondo il giudice milanese, in sostanza, la disposizione
censurata -escludendo la responsabilità per colpa lieve
del sanitario che si attenga a guidelines e
a good practices accreditate -
introdurrebbe "una norma ad professionem delineando
un'area di non punibilità riservata esclusivamente a tutti gli
operatori sanitari che commettono un qualsiasi reato lievemente
colposo nel rispetto delle linee guida e delle buone prassi".
In particolare, l'ordinanza eccepisce come "la formulazione,
la delimitazione, la ratio essendi, le conseguenze sostanziali e
processuali di tale area di non punibilità appaiono stridere con
i principi costituzionali di cui agli artt. 3, 24, 25, 27, 28,
32, 33, 111 Cost.".
2. L'illustrazione
dei numerosi dubbi legittimità costituzionale risulta
particolarmente approfondita da parte del Tribunale remittente
ed analiticamente articolata in relazione ai diversi profili di
suppostaillegittimità della disposizione censurata. Al fine di
facilitare la lettura della decisione, può essere utile
sintetizzarne e schematizzarne il contenuto, articolando le
diverse censure intorno ai diversi parametri costituzionali di
cui l'ordinanza lamenta la violazione.
2.1. In
primo luogo, viene eccepita la violazione del principio
di legalità/tassatività (artt.
3 e 25 Cost.) in
relazione ad una serie di profili:
- la locuzione "non risponde penalmente per colpa
lieve" si presta ad interpretazioni alternative e
sensibilmente divergenti, che "portano a diverse e
antinomiche collocazioni dommatiche; si tratta quindi di una
formula criticamente equivoca, non superabile con una mera
attività ermeneutica, che evidenzia un dato normativo
impreciso, indeterminato e quindi in attrito con il principio di
ragionevolezza e di tassatività, sub specie del principio di
legalità ex artt. 3 e 25 comma 2 Cost.";
- lo stesso riferimento al concetto di "colpa lieve",
secondo il remittente, "è il punto più debole della
normativa in parola: sconosciuta al nostro diritto penale la
definizione di colpa lieve ex art. 133 c.p. è un grado della
colpa da valutare obbligatoriamente per la quantificazione della
pena. La novella in parola considera la colpa lieve il limite
massimo dell'esimente. Pertanto al cittadino, all'operatore
sanitario prima ancora che al giudice, il legislatore ha il
dovere di dettare una definizione che non sia consegnata
all'arbitrio ermeneutico, pena la violazione del principio di
tassatività (...) la considerazione che tale limite riguarda
tutti i reati colposi, commessi da una categoria ampia di
soggetti, nell'esercizio della loro attività professionale,
comporta ancor di più la necessità
di tassativi, determinati, precisi parametri normativi, primari
o subprimari, idonei a delimitare il discrimen della punibilità.
È ancora più insidioso rimettere alla discrezionalità del
giudice l'interpretazione e l'applicazione di tale formula in un
contesto normativo in cui gli altri elementi della fattispecie
presentano ampie falle sul piano della precisione,
determinatezza e tassatività della fattispecie";
- anche il riferimento alle "linee guida e alle buone
pratiche accreditate dalla comunità scientifica" costituisce
una "formulazione normativa tanto elastica da non consentire
al giudice e prima ancora agli operatori sanitari di determinare
esattamente i confini dell'esimente (...) Non vengono
specificate le fonti delle linee guida, quali siano le autorità
titolate a produrle, quali siano le procedure di raccolta dei
dati statistici e scientifici, di valutazione delle esperienze
professionali, quali siano i metodi di verifica scientifica, e
infine quale sia la pubblicità delle stesse per diffonderle e
per renderle conoscibili agli stessi sanitari (...). Se soltanto
si considera che per talune specializzazioni mediche vi sono nel
nostro paese tre linee guida regionali, tredici linee guida
nazionali, alcune decine di linee guida europee (a differenza
degli USA dove sono disponibili oltre duemila linee), giocoforza
bisogna dedurne l'assoluta imprecisione e non determinabilità
dei confini dell'area di non punibilità".
2.2. In
secondo luogo è eccepita le violazione degli artt.
3 e 33 Cost."laddove garantiscono in modo equo e
ragionevole le pari
condizioni della libertà dell'arte, della scienza e del relativo
insegnamento": secondo il Tribunale meneghino, il
legislatore - con la norma oggetto di censura - avrebbe infatti
"tradito" la stessa ratio
legis consistente
nel "superamento della cosiddetta medicina difensiva"; in
sostanza, "l'area di non punibilità è ingiustificatamente
premiale per
coloro che manifestano acritica e rassicurante adesione alle
linee guida o alle buone prassi ed è altrettanto ingiustificatamente
avvilente e penalizzante per chi se ne discosta con una pari
dignità scientifica. Si consideri inoltre che il
sistema delineato dalla norma in parola sostanzialmente promuove
la produzione di linee guida perché costituiscono il perimetro
della non punibilità entro il quale l'operatore sanitario trova
riparo venendo graziato dalla colpa lieve. Quindi induce alla
costituzione e alla redazione di linee guida o comunque
all'individuazione di buone pratiche da codificare, automaticamente
bloccando l'evoluzione del pensiero scientifico e la
sperimentazione clinica. La conseguenza di tale
irragionevole e quindi iniquo trattamento è il risultato
deprimente per la libertà del sapere e lo sviluppo scientifico".
2.3. In
terzo luogo, viene eccepita, sotto diversi profili, la
violazione del principio
di ragionevolezza/uguaglianza (art. 3 Cost.):
- perché "la nuova disposizione ha un ambito
applicativo indiscriminatamente e irragionevolmente esteso,
rivolgendosi, nella prospettiva soggettiva, "anche soggetti
privi del compito di adottare scelte terapeutiche e/o
diagnostiche (quindi estranei al tema della medicina difensiva)
che pur fanno parte della categoria degli operatori sanitari";
nella sfera di non punibilità ritagliata dalla norma censurata,
infatti, "non rientrano soltanto i medici ma tutti gli operatori
sanitari: veterinari, farmacisti, biologi, psicologi, operatori
socio sanitari, operatori di assistenza sanitaria etc. (...) non
rientrano soltanto i medici ma tutti gli operatori sanitari:
veterinari, farmacisti, biologi, psicologi, operatori socio
sanitari, operatori di assistenza sanitaria etc.". Anche
dal punto di vista dell'estensione oggettiva, "l'esonero
dalla responsabilità penale, comunque qualificato, non riguarda
soltanto i reati contro la persona ma qualsiasi reato colposo
allargando il raggio di non punibilità fino a comprendere
qualsiasi fatto commesso con colpa lieve di qualsiasi operatore
sanitario" (ad esempio, la norma 'speciale' oggetto della
censura, troverebbe irragionevole applicazione anche in merito
alla responsabilità penale per violazione di norme in materia di
sicurezza sul lavoro in ambito sanitario). Secondo il remittente
"siffatta dilatazione è aberrante, incongrua e
ingiustificata rispetto alla ratio, delineando
in modo quasi illimitato la non punibilità di una serie tanto
vasta di ipotesi da non trovare una ragionevole spiegazione
dell'esenzione di pena (comunque qualificata) nell'osservanza
delle linee guida o delle buone prassi";
- perché la norma censurata determinerebbe una irragionevole
disparità di trattamento tra i fatti (conformi a linee guida e a
buone pratiche accreditate) commessi con la cooperazione
colposa di un operatorio sanitario -
il quale potrebbe godere della non punibilità in caso di colpa
lieve - e quelli in cui la cooperazione colposa alla
realizzazione dell'evento lesivo sia posta in essere da un soggetto
non provvisto di tale qualifica -
che invece sarebbe chiamato a rispondere penalmente anche in
caso di colpa lieve;
- perché l'applicazione delle norma ai "sanitari dipendenti
pubblici" determinerebbe una disparità di trattamento rispetto a
tutti gli altri funzionari pubblici, che pure esercitano "una
attività che ha una relazione quotidiana con i medesimi beni
giuridici (salute, integrità psicofisica della persona, vita,
incolumità pubblica, incolumità individuale, incolumità di beni,
erogazione di un servizio pubblico)", ma non potrebbero comunque
godere della non punibilità per i fatti commessi con colpa
lieve; secondo il giudice remittente, conseguentemente, "il
differente trattamento appare sostanzialmente un privilegio,
irragionevole e ingiustificato, riservato ai soli
dipendenti pubblici esercenti una professione sanitaria, in
contrasto con il principio ex art. 28 Cost. in
forza del quale tutti i funzionari dipendenti dello Stato e
degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le
leggi penali ... degli atti compiuti in violazione di diritti";
2.4. In
quarto luogo, violazione dei principi di equa
ed effettiva tutela giudiziaria ex artt. 3, 24, 32, 111 Cost.:
tale violazione si sostanzierebbe nel fatto che "la persona
offesa non può ricevere protezione alcuna in sede penale ma
soltanto in sede civile in base all'art. 2043 cc. Si tratta di
un grave vuoto
di tutela in sede penale che
impedisce a un soggetto colpito da un atteggiamento lievemente
colposo dell'operatore sanitario di agire anche per chiedere la
condanna di quest'ultimo (...) L'assenza di tutela penale
comporta lo svilimento
e lo svuotamento di ogni spazio per la persona offesa nel
procedimento penale, specificamente (ma non soltanto)
nel caso di danno alla salute. Tale conseguenza evidenzia sul
piano sostanzialel'ingiustizia e l'ingiustificabilità
della depenalizzazione della colpa lieve per
gli operatori sanitari";
2.5. Infine,
un'autonoma censura è quella relativa alla violazione delprincipio
della funzione rieducativa della pena (art. 27 Cost.):
"avere sostanzialmente depenalizzato la colpa lieve per gli
operatori sanitari comporta l'impossibilità di punire chi ha
cagionato un reato con colpa, rendendo concreto il rischio che
la norma cautelare voleva evitare; e di conseguenza non si
consente la rieducazione dell'autore dello stesso".
3. Il
giudizio sulla fondatezza della
questione merita senza dubbio riflessioni ben meditate, sebbene
(almeno) alcune delle numerose eccezioni sollevate dal giudice
milanese - ricche di acute suggestioni per il penalista (si
pensi solo alla tematica, in
nuce tra le
righe dell'ordinanza, degli obblighi costituzionale di tutela
penale) - possano forse essere risolte sul piano della
"interpretazione conforme" ai vincoli costituzionali; d'altra
parte, molti dei vizi addebitati alla norma oggetto di censura -
in punto di tassatività e di uguaglianza - non concretizzano
ipotesi più irragionevoli (e intollerabili) di quelle
ripetutamente 'salvate' della Corte costituzionale nella
prospettiva del suo proverbiale - benché non sempre apprezzato
ed apprezzabile - self
restraint.
Non dovrebbero invece porsi problemi di ammissibilità della
questione, sebbene in
malam partem. Quanto
alla "rilevanza", infatti, dovrebbe essere ormai chiaro (cfr. C.
Cost. n. 394 del 2006) come una eventuale sentenza di
accoglimento - ripristinatrice dello statuto penale
dell'operatore sanitario vigente al momento della commissione
del fatto (i.e. punibilità anche della colpa lieve) - potrebbe
trovare concreta e immediata applicazione in relazione ai fatti
oggetto del giudizio a
quo, in quanto
realizzati quando la norma penale 'ripristinata' - e poi
illegittimamente derogata - era pienamente vigente e conoscibile
da parte del soggetto attivo (non potendo invocarsi pro
reo la
retroattività della lex
mitior dichiarata
illegittima).
Né all'ammissibilità della questione potrebbe opporsi il
principio della riserva di lex
parlamentaria in
materia penale: come puntualmente messo in rilievo dal giudice
remittente, la norma censurata è "certamente speciale e
comunque più favorevole (...) rispetto alla normativa generale
previgente" ed il suo annullamento "comporterebbe il
mero ripristino della normativa generale precedente". Si
tratta, in sostanza, di una tipica "norma penale di favore", in
quanto perfettamente inquadrabile nel modello paradigmatico
definito (con riferimento ai criteri della 'specialità' e della
'compresenza') dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 394
del 2006. E' proprio sulla base di tale insegnamento, infatti,
che l'ordinanza in esame esclude che il ripristino della
fattispecie generale precedente possa determinare il "pericolo
di ledere la discrezionalità del legislatore nella
determinazione e definizione delle fattispecie penali".
Sennonché, i dubbi sopra espressi in merito alla fondatezza
della questione de
qua dimostrano
come anche le
eccezioni su norme penali di favore possano
comportare valutazioni
complesse ed intrusive 'sul merito' dell'opzione legislativa,
teoricamente non dissimili da quelle relative alle eccezioni su
norme penali "favorevoli" (e non "di favore"), ritenute
viceversa inammissibili perché comporterebbero in
ogni caso la
lesione della discrezionalità legislativa.
L'interessante eccezione di legittimità sollevata
dall'ordinanza del Tribunale di Milano, in conclusione, conferma
- al di là di quelli che potranno essere gli sviluppi della
specifica questione rimessa al giudizio di costituzionalità
(della quale sarà necessario tornare ad occuparsi re
melius perpensa) - le perplessità manifestate dalla
dottrina, penalistica e costituzionalistica, sulla 'relatività'
del (rigido) criterio tracciato dalla Corte costituzionale con
la sentenza n. 394 del 2006 per definire i limiti
all'ammissibilità delle pronunce di illegittimitàin malam
partem e,
indirettamente, agli stessi poteri di sindacato della Corte
nella materia penale (per un approfondimento di queste tematiche
si veda M. Scoletta, Metamorfosi
della legalità. Favor libertatis e
sindacabilità in
malam partem delle
norme penali, Monboso, Pavia, 2012). |