LE ESIGENZE DI SICUREZZA DEL DETENUTO NON POSSONO LIMITARNE LA SALUTE
La salute è un diritto fondamentale dei detenuti che non può essere compresso o limitato da esigenze di sicurezza. E' quanto ha stabilito la sesta sezione penale della Corte di cassazione con sentenza numero 8493 del 3 marzo in cui è affermato in modo categorico che non c'è motivo cautelare che giustifichi l'adozione di misure detentive nel caso di persona che sia portatrice di una malattia grave e che necessiti di indifferibili cure ospedaliere. Il detenuto, pur ritenuto pericoloso, qualora la sua patologia lo richieda, va comunque ricoverato in ospedale o in clinica e sottoposto al regime degli arresti domiciliari. Può essere eccezionalmente condotto in prigione solo se vi è un carcere attrezzato per assisterlo nella sua malattia. Nella fattispecie in questione si trattava di una persona nei cui confronti era stato emesso un mandato di cattura per traffico internazionale di sostanze stupefacenti. Il suo ricorso contro il provvedimento di custodia cautelare è stato quindi accolto dai giudici supremi, i quali hanno richiamato sia i principi della Convenzione europea sui diritti urna ni del 1950 che l'articolo 275 comma 4-ter del codice di procedura penale. In base a quest'ultimo «se sussistono esigenze cautelari di eccezionale rilevanza e la custodia cautelare presso idonee strutture sanitarie penitenziarie non è possibile senza pregiudizio per la salute dell'imputato o di quella degli altri detenuti, il giudice dispone la misura degli arresti domiciliari presso un luogo di cura o di assistenza o di accoglienza». Il giudice non ha pertanto facoltà di scelta: se valuta non curabile in carcere una persona deve obbligatoriamente concederle gli arresti domiciliari ospedalieri. Determinanti divengono a riguardo le perizie medico-legali, gli esami diagnostici e le informazioni acquisite intorno alla qualità e alle offerte di cura del servizio sanitario penitenziario. I ricoveri in stato di detenzione avvengono o nei centri diagnostici e terapeutici dell'amministrazione penitenziaria presenti negli istituti di pena, la cui dislocazione nel territorio nazionale è oggi dipendente da quanto ritenuto opportuno dalla Conferenza stato-regioni, o nei reparti detentivi ospedalieri. In ambedue i rasi la gestione è affidata dal 2008 al servizio sanitario nazionale e non più all'amministrazione della giustizia. I centri clinici penitenziari non hanno tutti la stessa fama: ce ne sono di apprezzati e completi (Pisa) e di poco accoglienti (Secondigliano a Napoli).
Di seguito il testo integrale della pronuncia:
Corte di Cassazione Sez. Sesta Pen. - Sent. del 03. 03.2011, n. 8493
Motivi della decisione
1. Nel quadro di articolate indagini preliminari G.D. è stato attinto da ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere emessa dal g.i.p. del Tribunale di Roma, quale indagato dei delitti di promozione e organizzazione di una associazione per delinquere dedita al narcotraffico internazionale e di cinque episodi di importazione e detenzione illecite per fini commerciali di quantità ingenti di sostanza stupefacente del tipo cocaina, commessi in Roma e altrove dal giugno 2009 al maggio 2010.
Con istanza del 30.7.2010, confortata da consulenze medico-legali sul suo stato di salute non conciliabile con la custodia carceraria, l’indagato ha chiesto al g.i.p. la sostituzione della misura carceraria con quella degli arresti domiciliari in una casa di cura, previa eventuale effettuazione di una perizia ai sensi dell’art. 299 co. 4 ter c.p.p. Con provvedimento del 6.8.2010, di natura latamente interlocutoria, il g.i.p. del Tribunale di Roma ha rigettato la duplice richiesta, rimarcando l’assenza di segnalazioni della direzione del carcere su eventuali pericoli per la salute del G. , gravato da immunodeficienza da HIV, nel contempo sollecitando “aggiornamenti” alla stessa direzione carceraria sull’evolversi delle condizioni di salute dell’indagato.
Giudicando ex art. 310 c.p.p. sull’appello proposto dal G. contro la decisione reiettiva del g.i.p., che censurava per la sottovalutazione delle patologie di cui era portatore e per l’inosservanza del disposto dell’art. 299 co. 4 ter c.p.p. (omessa effettuazione di perizia medica), il Tribunale di Roma - valutando fondato il rilievo del G. in punto di violazione dell’art. 299 co. 4 ter c.p.p. - ha ritenuto di dover disporre perizia medico - legale sulla situazione di salute dell’appellante, apprendendo tuttavia che, nelle more, il g.i.p. - sollecitato da rinnovata istanza del G. - aveva già disposto l’incombente peritale. Il Tribunale acquisiva, quindi, la relazione della perizia collegiale depositata il 22.11.2010 dai periti M.M. e L.V. , concludente per l’incompatibilità delle condizioni di salute del G. con il regime detentivo carcerario. Alla luce di tali esiti peritali e ritenendo di condividere le considerazioni del g.i.p. in tema di pericolosità sociale del G. (immanente pericolo di recidività criminosa) il Tribunale di Roma con ordinanza del 29.11.2010, in parziale riforma del provvedimento reiettivo del g.i.p. del 6.8.2010, ha disposto il “ricovero provvisorio” (”temporanea degenza”) del G. , “in stato di custodia cautelare con servizio di piantonamento”, presso una struttura ospedaliera civile per il tempo necessario alle terapie occorrenti per fronteggiare le accertate patologie del G. , facendo applicazione dell’art. 286 co. 3 c.p.p. in funzione delle esigenze diagnostiche e terapeutiche postulate dalle condizioni dell’indagato, non potendosi accogliere l’istanza del prevenuto di vedere sostituita la misura carceraria con quella degli arresti domiciliari salutari ex art. 275 co. 4 ter c.p.p.,
Tale decisione del Tribunale di Roma è stata impugnata per cassazione dal difensore del G. , che ha dedotto l’erronea applicazione (in luogo del disposto dell’art. 274 co. 4 ter c.p.p.) della previsione di cui all’art. 286 co. 3 c.p.p., propedeutica alla verifica delle condizioni di salute dell’indagato, nel caso di specie già accertate alla stregua dell’acquisita relazione della perizia medico-legale collegiale M. - L.
Tale specifico ricorso, separatamente deciso nella odierna udienza (R.G. 49825/10 Cass.), è stato dichiarato inammissibile per carenza di interesse del G. anche in relazione alla presente collegata decisione sul parallelo ricorso dello stesso G. avverso il successivo provvedimento del Tribunale di Roma del 3.1.2011 richiamato in epigrafe. È emerso, per altro, ex actis (nota 12.12.2010 della direzione della casa circondariale di Civitavecchia) che il G. , ricoverato il 9.12.2010 presso l’ospedale di Viterbo in esecuzione del ricovero provvisorio disposto con la citata ordinanza 29.11.2010 del Tribunale di Roma, in data 11.12.2010 è rientrato nell’istituto penitenziario “per avvenuta dimissione dello stesso dal nosocomio contro il parere dei sanitari”.
2. Adito - come si è precisato - dalla nuova istanza difensiva di sostituzione della misura carceraria con quella degli arresti domiciliari presso una casa di cura o struttura sanitaria in ragione delle gravi condizione di salute dell’imputato, asseverate dalla stessa direzione sanitaria del carcere di Civitavecchia segnalante una sopravvenuta incompatibilità delle condizioni del G. con il regime detentivo carcerario (affetto, tra le altre patologie, da sindrome di deficienza immunitaria da HIV e da uno stato di depressione “maggiore”), il g.i.p. del Tribunale di Roma, acquisito il parere contrario del p.m., con ordinanza del 26.11.2010 ha rigettato l’istanza. In particolare il g.i.p. ha ritenuto di dover disattendere le conclusioni raggiunte dalla perizia medica collegiale all’uopo disposta per verificare lo stato di salute del G. , suffragante le indicazioni già provenienti dai responsabili sanitari del carcere sulla non compatibilità delle condizioni patologiche dell’indagato con il regime carcerario (periti M. e L., relazione 22.11.2010: “condizioni di salute psico-fisica del G. incompatibili con la persistenza del regime detentivo in carcere e meritevoli della concessione di misure alternative, perché è probabile che la concessione di misure alternative, allentando la pressione dello stress, sia foriera di un miglioramento dello stato depressivo e di conseguenza anche dell’immunodeficit da infezione HIV ricovero in ambiente sanitario extramurario, ove il monitoraggio della infezione HIV sarebbe scandito da tempi più brevi, da frequenze più rapide tra una conta e l’altra dei linfociti CD4″).
Il g.i.p. ha motivato la decisione reiettiva, osservando - da un lato - che i periti, trascurando il dato oggettivo dell’inversione di tendenza registrata nell’abbassamento dei linfociti CD4 (rilevanti per monitorare l’infezione da HIV) durante il periodo di detenzione del G., non hanno adeguatamente vagliato la possibilità di idonei trattamenti sanitari intramurari, “eventualmente anche presso altra struttura del sistema penitenziario maggiormente idonea” (centri cimici attrezzati). Da un altro lato e congiuntamente, il g.i.p. ha evidenziato la persistenza di eccezionali esigenze cautelari, correlate al titolo dei reati contestati (art. 275 co. 3 c.p.p.) ed ostative alla sostituzione della custodia carceraria con quella degli arresti domiciliari in luogo di cura. Esigenze di cautela processuale coniugate al pericolo di reiterazione o prosecuzione delle condotte criminose (”indagato stabilmente inserito in un circuito criminale nel quale, in caso di attenuazione della misura cautelare in vigore, potrebbe continuare ad agire, riprendendo i rapporti con i sodali, stante l’entità dei proventi propri del narcotraffico e degli interesse economici in gioco”) ed al pericolo di possibile inquinamento delle fonti di prova (essendo ancora in corso di svolgimento le indagini preliminari).
3. Il Tribunale di Roma, giudice dell’appello cautelare ex art. 310 c.p.p., con l’ordinanza in data 3.1.2011 indicata in epigrafe ha rigettato il gravame del G.
Il provvedimento è motivato con il rilievo che la descritta precedente ordinanza dello stesso Tribunale giudice dell’appello cautelare resa il 29.11.2010, con cui era stato disposto il “ricovero provvisorio” del G. (poi dallo stesso rinunciato), anche in quanto successiva alla impugnata seconda ordinanza reiettiva del g.i.p. capitolino del 26.11.2010, ha già valutato e deciso la quaestio iuris e le problematiche di fatto enunciate dall’appellante. Di guisa che deve ritenersi preclusa al Tribunale una “nuova pronuncia” sulle medesime tematiche, invocata con le “stesse argomentazioni già dedotte con il precedente atto di appello” (contro l’ordinanza del g.i.p. del 6.8.2010).
Precisa il Tribunale che il collegio decidente ha già preso in considerazione la perizia medico-legale M. - L. , adottando una decisione che - sebbene ignara della segnalazione della stessa direzione sanitaria del carcere del 13.10.2010, ipotizzante l’incompatibilità dello stato di salute del G. con il regime carcerario- ha stimato “prevalente la tutela alla salute del G. rispetto alle persistenti esigenze di massima cautela”, rapportate alla presunzione di adeguatezza della custodia carceraria sancita dall’art. 275 co. 3 c.p.p. Con il nuovo appello avverso la nuova ordinanza del g.i.p. del 26.11.2010, osserva il Tribunale, la difesa del G. (che non ha inteso rinunciare all’appello) prospetta unicamente una possibile “diversa scelta” o soluzione in grado di fronteggiare le precarie condizioni di salute dell’indagato, insistendo per l’applicazione degli arresti domiciliari presso una struttura sanitaria privata (”Rome American Hospital”). Ma in riferimento a tale unico “residuale” motivo di gravame l’appello (nuovo) del G., aggiunge il Tribunale, viola il principio di devolutività dell’impugnazione, elidendo una eventuale nuova determinazione del procedente giudice delle indagini preliminari, che sola diverrebbe suscettibile di rinnovata impugnazione ex art. 310 c.p.p. (”La decisione del Tribunale del 29.11.2010 ha già in sostanza superato anche il provvedimento oggi impugnato ordinanza del g.i.p. 26.11.2010; si ritiene dunque previamente necessaria una illustrazione successiva del giudice procedente, non avendo peraltro il Tribunale poteri istruttori per valutare la idoneità della struttura indicata o di altra ritenuta più funzionale sulla base delle attuali condizioni del G. , che ad oggi permane nella struttura carceraria”).
4. Contro detta ordinanza del Tribunale D.G. con il ministero del difensore ha proposto ricorso per cassazione, denunciando violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione nei termini di seguito indicati.
La decisione sviluppa una erronea applicazione dell’art. 568 co. 4 c.p.p. e una derivata violazione dell’art. 275, co. 4 bis e co. 4 ter, c.p.p. Impropriamente l’ordinanza impugnata reputa carente l’interesse dell’appellate G.ad un giudizio sul provvedimento reiettivo del g.i.p. del 26.11.2010 in base al non veridico presupposto che tutte le problematiche sollevate con l’impugnazione dell’indagato ed analizzate con nuova e diversa motivazione dal g.i.p. nell’ordinanza del 26.11.2010 siano state già prese in esame nell’ambito del pregresso appello cautelare, sì da doversi ritenere assorbite dalla precedente ordinanza dello stesso Tribunale in data 29.11.2010.
I presupposti e le motivazioni che sono all’origine dei due provvedimenti del g.i.p. diacronicamente appellati dall’interessato sono, nei due casi, solo in apparenza omologhi, facendo riferimento a situazioni divenute diverse nella dinamica processuale. Sicché specularmente diverse sono le ragioni di censura dell’indagato, in uno al palese congiunto suo interesse all’impugnazione e alla decisione sull’impugnazione. Avverso l’ordinanza del g.i.p. del 6.8.2010 l’appellante censurava la violazione dell’art. 286 bis c.p.p. per l’omesso doveroso “accertamento dello stato di incompatibilità” carceraria delle sue condizioni di salute (omessa effettuazione di perizia medico-legale pur a fronte di consulenze difensive e di indicazioni di incompatibilità provenienti dal carcere). Parzialmente superato il profilo di doglianza (nelle more avendo il g.i.p., investito da una rinnovata istanza sostitutoria della custodia carceraria e di controllo dello stato di salute del G. , disposto una specifica perizia medica collegiale), l’appello contro l’ordinanza reiettiva del g.i.p. del 26.11.2010 attiene alla ipotizzata violazione dell’art. 275 co. 4 ter c.p.p., nella parte in cui il g.i.p. ha ritenuto di disattendere le conclusioni peritali e di mantenere lo stato di custodia carceraria del G. in presenza di ritenute esigenze cautelari di rilevanza eccezionale. Giudizio, questo, sottoposto a critica con l’atto di appello e sul quale il Tribunale, senza ragione e con motivi giuridicamente non pertinenti, ha creduto di potersi astenere da ogni pronuncia.
Esito valutativo cui il collegio decidente è pervenuto in modo palesemente contraddittorio. Nell’ordinanza si puntualizza che non si è tenuto conto della segnalazione del responsabile sanitario del carcere attestante i rischi del persistente regime carcerario per la salute del G., vieppiù dimostrandosi come il vaglio compiuto dallo stesso Tribunale con l’anteatta ordinanza del 29.11.2010 (incongruo ricovero provvisorio del G. ) non possa affatto dirsi esaustivo della tematica cautelare rappresentata con il (nuovo) atto di appello. D’altra parte una necessaria delibazione del Tribunale era resa ineludibile, sol che si fosse osservato come, in primo luogo, la decisione reiettiva del g.i.p. del 26.11.2011 non soltanto si esprime sui risultati della perizia medica collegiale, perizia non disposta nel quadro della precedente decisione dello stesso g.i.p. e sommariamente vagliata dallo stesso Tribunale, con la riduttiva e erronea lettura compiutane in forma funzionale al disposto dell’art. 286 co. 3 c.p.p. (e non a quello di cui all’art. 275 co. 4 ter c.p.p.), e come - in secondo luogo- la stessa formuli enunciati valutativi sulla eccezionalità delle esigenze cautelari ostative agli arresti domiciliari sanitari in termini diversi e diversamente motivati rispetto alla prima ordinanza del 6.8.2010. In termini tali, quindi, da dover essere oggetto di compiuta valutazione da parte del giudice dell’appello cautelare.
Gli enunciati del ricorso sono ripresi e approfonditi dal ricorrente con articolata “memoria di udienza” depositata in cancelleria l’11.2.2011.
5. Il ricorso di D.G. è assistito da fondamento.
L’impugnato provvedimento del Tribunale di Roma si mostra, in vero, palesemente carente sotto il profilo della completezza della motivazione sulla re giudicanda cautelare, resa oggetto di un sostanziale non liquet per effetto dell’erroneo assunto dell’esistenza di una sorta di giudicato cautelare endoprocedimentale, fatto discendere dalla precedente ordinanza de libertate del 29.11.2010 ed altresì parzialmente erroneo nell’interpretazione applicativa del combinato disposto degli artt. 286 co. 3 e 275 co. 4 ter c.p.p. Supposto giudicato cautelare di cui non è consentito rinvenire oggettiva traccia, tanto più che lo stesso è anche riveniente dalla discutibile soluzione offerta alla vicenda della compatibilità o meno dello stato di salute del G. con la custodia in carcere e della complementare eccezionalità o meno delle esigenze cautelari profilantisi nei suoi confronti dalla anteriore ordinanza dello stesso Tribunale, laddove ha in buona sostanza creduto necessario dover sottoporre il G. ad accertamenti diagnostici e terapeutici, funzionali - come recita l’art. 286 co. 3 c.p.p. - alla verifica dell’esistenza di condizioni di salute “particolarmente gravi” già da valutarsi compatibili o non con il regime della detenzione carceraria. Giudizio in realtà già diffusamente espresso dalla perizia medico legale M.- L. Laonde già in quella sede il Tribunale non avrebbe potuto esimersi dal pronunciarsi sul ricorrere di tutte le condizioni postulate dall’art. 275 co. 4 bis e 4 ter c.p.p.
Correttamente il g.i.p., in presenza di un chiaro stato di infermità del G., rappresentato dalla stessa direzione sanitaria del carcere, ha ritenuto necessario, in applicazione dell’art. 299 co. 4 ter c.p.p., di avvalersi ai fini della decisione di un supporto tecnico-sanitario peritale per verificare l’effettivo livello di gravità della malattia o delle malattie dell’imputato e la loro compatibilità o meno con il regime della custodia in carcere. Agli acquisiti esiti peritali il g.i.p. ha, tuttavia, contrapposto una argomentata valutazione critica, al pari di quella rivolta ai dati sanitari provenienti dal carcere, giudicando le condizioni di salute del G. previamente fronteggiabili con la detenzione in istituti penitenziari dotati di centro clinico attrezzato, tenuto conto della concomitante sussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilievo, parimenti esposte ed argomentate.
È su siffatto duplice giudizio del g.i.p. che si concentrano le deduzioni critiche svolte dalla difesa del G. con l’appello contro l’ordinanza del g.i.p. del 26.11.2010. Si tratta di profili che in realtà l’ordinanza del Tribunale di Roma del 29.11.2010 non ha preso in esame, se non in modo parziale e - quanto alle esigenze cautelari eccezionali - in modo sommario e incidentale (anche in ragione della diversa motivazione in quel caso espressa dal g.i.p.), e che l’impugnata ordinanza del 3.1.2011 ha omesso di valutare, facendo elusivo richiamo al “precedente” (ordinanza del 29.11.2010), di cui l’ordinanza del g.i.p. del 26.11.2010 (estranea a quella impugnazione) costituisce mera derivazione di ben diverso contenuto e di ben diversa motivazione, altresì equivocando o minimizzando le ragioni critiche esposte dall’appellante G., circoscritte alla pretesa di una “diversa scelta” o soluzione detentiva cautelare, siccome asseritamente limitata all’assegnazione in regime di arresti domiciliari ad una struttura sanitaria privata in luogo di una struttura pubblica ovvero di un centro penitenziario attrezzato.
Ma la vicenda cautelare che interessa il G. si pone in termini diversi.
Sì da rendere indifferibile una valutazione del giudice dell’appello cautelare sulla duplice complementare dinamica della tipologia della custodia cautelare applicabile ad un soggetto indagato per reati gravi annoverati dall’ari 275 co. 3 c.p.p., per i quali deve presumersi come adeguata la sola custodia carceraria, che sia nel contempo portatore di uno stato di infermità particolarmente grave da delineare il problema di una sua compatibilità, rispettosa del diritto alla salute, con il regime custodiale in carcere. Dinamica scandita, come chiarito, per un verso dalla analisi specifica e critica, con il supporto degli adeguati contributi conoscitivi di natura tecnica (esami diagnostici e indagine medico-legale), dei coefficienti di gravità delle patologie del soggetto e, per altro verso, dalla verifica dei referenti storico-processuali delle ravvisate eccezionali esigenze cautelari a tutela di ragioni di carattere socialpreventivo.
In vero, nella ritenuta persistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, pur a fronte di un quadro di patologie sanitarie particolarmente gravi non trattabili adeguatamente in ordinario regime carcerario, il giudice - in applicazione dell’ari 275 co. 4 ter c.p.p. - deve, anche di ufficio, disporre il trasferimento del detenuto, e non un eventuale ricovero temporaneo, in regime di arresti domiciliari presso idoneo “luogo di cura, di assistenza o di accoglienza”. La norma in esame impone al giudice l’obbligo di provvedere in tal senso e non una mera facoltà, il cui esercizio vulnererebbe il diritto alla salute cui ogni cittadino, ancorché detenuto, ha diritto per dettato costituzionale (art. 32 Cost.) ed Europeo (art. 3 CEDU). In alternativa alla collocazione dell’imputato in idoneo luogo di cura carcerario, in ipotesi non praticabile, il giudice procedente o, per esso, il giudice dell’appello cautelare deve comunque sostituire la cautela carceraria con una delle previste meno afflittive misure. L’unica condizione subordinata che consente la permanenza del regime carcerario è costituita dalla possibilità del ricovero del soggetto “presso idonea struttura sanitaria penitenziaria”, la cui attitudine ad un efficace trattamento terapeutico del detenuto non è rimessa all’esclusiva determinazione della direzione del sanitaria e amministrativa del carcere, ma è pur sempre ancorata alla decisione del giudice, che ne verifica l’attuabilità anche con il supporto di utili contribuiti tecnici.
Impregiudicata la presunzione di inadeguatezza di misure cautelari diverse dalla custodia carceraria per i reati di cui all’art. 275 co. 3 c.p.p. anche nel prosieguo delle indagini e non nel solo momento dell’esecuzione del provvedimento coercitivo genetico (Cass. Sez. 6, 9.7.2010 n. 32222, Galdi, rv. 247596; Cass. Sez. 5, 8.6.2010 n. 27146, P.M. in proc. Femia, rv. 248034), agli acquisiti esiti peritali, asseveranti l’incompatibilità carceraria del G. , il g.i.p. ha fatto seguire deduzioni coerenti sulla ravvisata eccezionalità di protratte ragioni di cautela, ma non complete -quanto ai referenti normativi connessi all’accertata condizione patologica dell’imputato - in punto di verifica della reale fronteggiabilità di tale condizione attraverso idonee strutture del circuito penitenziario (artt. 11 O.P., 17 regol. O.P.). Anche su tale aspetto della vicenda, in uno alle doglianze critiche enunciate con l’appello dalla difesa del G. in rapporto alla disattesa incompatibilità carceraria dello stato di salute dell’indagato da parte del g.i.p. e ai connessi elementi avvaloranti le eccezionali esigenze di cautela, il Tribunale avrebbe dovuto - e deve - pronunciarsi in veste di giudice dell’appello cautelare.
Dinanzi a condizioni di salute dell’indagato o imputato affermate, anche all’esito di disposti accertamenti tecnici peritali, come non compatibili con la custodia carceraria, ma tali non ritenute l’impugnato provvedimento del g.i.p. per la presenza di peculiari e gravi esigenze cautelari, l’art. 275, co. 4 bis e co. 4 ter, c.p.p. introduce un divieto o, se si preferisce, una presunzione in bonam partem di inapplicabilità del regime carcerario superabile, appunto, soltanto in virtù di eccezionali esigenze cautelari e di una accertata curabilità del detenuto infermo in istituti penitenziari attrezzati, che il G. contesta invocandone un rimeditata verifica al giudice dell’appello cautelare e fondatamente dolendosi della denegata risposta offerta dal giudice di appello (Cass. Sez. 5, 10.3.2009 n. 16008, Lo Cricchio, rv. 243338; Cass. Sez. 1, 6.3.2008 n. 12716, Pipitone, rv. 239380: “La valutazione della gravità delle condizioni di salute del detenuto e della conseguente loro incompatibilità col regime carcerario deve essere effettuata anche in concreto, con riferimento alla possibilità di effettiva somministrazione nel circuito penitenziario delle terapie di cui egli necessita”).
Alla luce delle esposte osservazioni si impone l’annullamento dell’impugnata ordinanza resa il 3.1.2011 dal Tribunale di Roma, quale giudice dell’appello cautelare, per una nuova e più approfondita analisi delle emergenze processuali integranti la dedotta situazione di incompatibilità carcerarie dello stato di salute di G.D.
Analisi cui il Tribunale procederà facendosi carico di colmare le evidenziate lacune motivazionali con riferimento ai criteri ermeneutici dianzi indicati.P.Q.M.
La Corte di Cassazione annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Roma.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 co. 1 ter disp. att. c.p.p.
Depositata in Cancelleria il 03.03.2011