Carceri, braccialetto elettronico: sprechi e flop
Ne paghiamo 2 mila. E ne usiamo 90. A 55 mila euro l'uno. Sui dispositivi una polemica di 10 anni.
www.lettera43.it/ Mercoledì, 15 Gennaio 2014

Bracciali gioiello. Almeno a vedere i costi. Perché la convenzione per i dispositivi elettronici per la detenzione domiciliare ci costa «fino a 9 milioni 83 mila euro, di cui 2,4 milioni per il solo costo di 2 mila braccialetti e 3 milioni e 160 per l'organizzazione». Ma al momento, parola del capo della Polizia Alessandro Pansa, che il 15 gennaio è intervenuto nel corso di un'audizione alla commissione Giustizia della Camera in relazione al decreto Cancellieri sulle carceri, «ne sono utilizzati solo 90, a un costo di circa 5 milioni di euro». Calcoli alla mano 55 mila euro l'uno.
L'AMMISSIONE DI PANSA. Tra l'altro la convenzione «è stata dichiarata illegittima». «Abbiamo sbagliato e l'amministrazione si assume le sue responsabilità», ha aggiunto Pansa, il quale ha ricordato che in attesa delle nuove norme vige la convenzione con la Telecom (che scade il 31 dicembre del 2018) sulla quale pende il giudizio della Corte di Giustizia europea, dopo il ricorso dell'azienda sulla sentenza del Consiglio di Stato che ha dichiarato illegittimo l'accordo rinnovato nel 2011. «Dobbiamo aspettare la norma», ha evidenziato il numero uno della Polizia, «e fare un decreto, anche in relazione alla nuova legge sullo stalking, sulle caratteristiche cui ci dobbiamo attenere. Poi verrà fatto un bando, con una gara europea. Non sarà niente di immediato».
Una cosa per Pansa è certa: «Oggi sul mercato è chiaro che troveremo cose che costano molto di meno e troveremo di meglio. Questa è una tecnologia un po' datata e il costo è enorme».
Braccialetti, una querelle durata 10 anni

La questione dei braccialetti elettronici è ormai un leitmotiv quando si parla di detenzione in Italia. Nonostante questo strumento sia operativo da quasi 10 anni, con costi già sostenuti dallo Stato, se n'è fatto finora un uso limitatissimo. Il problema della scarsa diffusione, secondo alcuni, nascerebbe dalla poca conoscenza di questa possibilità da parte dei magistrati e soprattutto della relativa procedura di attivazione. Tant'è che attualmente sono meno di una decina gli uffici giudiziari che utilizzano i braccialetti, in gran parte rappresentati dalle grandi città (Milano, Torino, Napoli, Palermo in testa), tra cui la diffusione è avvenuta con una sorta di passaparola.
L'ALLEGGERIMENTO DELLE CARCERI. Sui dispositivi poi sono nate fior fiore di polemiche. La loro introduzione risale a un decreto del novembre 2000 convertito poi nella legge 341 del 19 gennaio 2001. Ma se ne parlava già dalla seconda metà degli Anni 90, nell'ottica di un alleggerimento dell'emergenza legata al sovraffollamento carcerario.
La prima sperimentazione del braccialetto (o della variante cavigliera) fu svolta solo nelle città di Milano, Roma, Napoli, Catania e Torino con diverse aziende, mentre Telecom all'inizio doveva occuparsi solo della rete. Al termine della sperimentazione, il ministro dell'Interno dell'epoca, Giuseppe Pisanu, sentì l'Avvocatura dello Stato e poi firmò un accordo, il 6 novembre 2003, con il colosso della telefonia quale referente unico e fornitore diretto del sistema.
Il braccialetto elettronico doveva mandare impulsi radio a un'unità ricevente installata nell'abitazione del detenuto che, tramite linea telefonica, inviava segnalazioni alla centrale operativa Telecom.
CONTRATTO DA PIÙ DI 10 MLN DI EURO. Il contratto comportò un esborso per i contribuenti non indifferente, visto che valeva circa 10,3 milioni di euro per il solo 2003 e poi un canone da 10,9 milioni per ogni anno dal 2004 al 2011. In pratica, quasi 100 milioni in nove anni.
L'accordo firmato da Pisanu non fu proprio conveniente. Ma anche il pre-contratto firmato nel 2001 dall'esecutivo Amato (Enzo Bianco ministro dell'Interno) non era certo meglio.
LE FUGHE E I FLOP. Per non parlare dell'inefficacia. Nel 2001 il trafficante peruviano Cesar Augusto Albirena Tena, al quale era stato applicato uno dei primi 400 dispositivi, lo tagliò senza problemi facendo perdere le sue tracce. Lo stesso fece killer Antonino De Luca, mentre il 21 luglio 2002 un boss di Cosa nostra, malato di Aids, riuscì a fuggire con addosso il braccialetto elettronico dall'ospedale Sacco di Milano, dove era ricoverato in detenzione domiciliare.
Il rapinatore Mario Marino, invece, se lo tolse per tornare in carcere: il braccialetto lo disturbava.

I contratti e gli sprechi

Nel 2003 l'allora Guardasigilli Roberto Castelli decise di chiudere la sperimentazione a causa dei costi troppo elevati. Scontrandosi col collega Pisanu, che aveva affidato l'intero pacchetto a Telecom.
Ma le polemiche non sono finite qui. Angelino Alfano, ministro della Giustizia del Berlusconi IV, ci riprovò, presentando uno strumento che sarebbe servito a controllare 4.100 detenuti, ai quali restavano da scontare non più di due anni e che dunque potevano rimanere ai domiciliari. Il collega dell'Interno Roberto Maroni non si espose. E la questione rimase sospesa.
LE RASSICURAZIONI DI TELECOM. Nel 2010, Gianfilippo D'Agostino, allora direttore del public sector di Telecom Italia, disse in un'audizione in Commissione giustizia della Camera: «Il Viminale ci chiese di riorganizzare la sperimentazione, sempre con 400 braccialetti, ma allargandola a tutto il territorio nazionale». E Telecom ha disposto «un servizio attivo 24 ore al giorno, con una grande centrale di controllo installata a Oriolo Romano, ben protetta e collegata con tutte le questure d'Italia. L'allarme avrebbe suonato al più tardi dopo 90 secondi dalla fuga o dalla manomissione degli apparecchi. E dal 2003 a oggi non abbiamo rilevato alcun problema operativo». Come a dire: noi siamo in regola, non è un problema nostro.
CIRILLO: «DA BULGARI AVREMMO SPESO MENO». Nel 2011 il vicecapo della Polizia, Francesco Cirillo, si presentò in audizione al parlamento ammettendo: «Il braccialetto? Se fossimo andati da Bulgari avremmo speso meno».
In via Arenula intanto era arrivata Paola Severino.
Il ministro in persona rispose a Cirillo che la nuova normativa era stata totalmente concordata con l'Interno e con i vertici delle forze di polizia. Ma tant'è.
IL RINNOVO DI CANCELLIERI. Nel frattempo, è arrivato a scadenza il contratto con Telecom e il ministro dell'Interno Anna Maria Cancellieri si diede subito da fare per rinnovare la convenzione. Stavolta per sette anni, dal 2012 al 2018. Attirandosi le critiche di conflitto di interessi. Visto che in Telecom lavora suo figlio Piergiorgio Peluso, come responsabile del settore Administration, finance and control.
LA DECISIONE DELLA CORTE DEI CONTI. Intanto, però, alla fine del 2012, la Corte dei conti mise finalmente il becco nella vicenda e stabilì che 81 milioni di euro per 14 bracciali erano un po' troppi.
Morale? L'appalto da 521 milioni Viminale-Telecom (non comprendeva solo i braccialetti) andava rifatto daccapo e magari con una gara.
Nel frattempo, comunque, si è inserita Fastweb che ha deciso di presentare ricorso al Tar contro l'accordo e a quel punto si è scatenata la battaglia di fronte alla giustizia amministrativa con tanto di annullamento della convenzione da parte del Tribunale regionale e il successivo intervento del Consiglio di Stato che ha respinto il contro-ricorso Telecom, rimandando però tutto alla Corte di giustizia dell'Unione europea.
Le carceri scoppiano? Pazienza, la querelle sul braccialetto è destinata a continuare.