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According to international law, Libya is directly responsible for such violations. The present essay argues that Italy is responsible for complicity in the gross human rights violations perpetrated in Libya. It further suggests that also the EU is probably responsible for complicity in the same context. In particular, Italy has adopted a policy of… *Issue: *2 *Journal Name: *Studi sull'integrazione europea *Publication Date: *Mar 2018 Show more ▾Show less ▴ Migration Studies International Migration and Immigration Policy International Responsibility International Law Commission Responsibility of International Organisations * 496 Views * •PaperRank: * •Top 5% / / Download / / Save to Library Library / / Share / /More //Report *Abstract:* As widely known, Libyan authorities have been committing gross human rights violations to the detriment of migrants coming from abroad and arrested in their territory. According to international law, Libya is directly responsible for such violations. The present essay argues that Italy is responsible for complicity in the gross human rights violations perpetrated in Libya. It further suggests that also the EU is probably responsible for complicity in the same context. In particular, Italy has adopted a policy of borders outsourcing to Libya with the aim of controlling and reducing irregular migration. The EU has been supporting such policy. The responsibility of Italy and the EU for complicity is assessed in light of the relevant international norms, as basically codified in the UN ILC Drafts on State Responsibility (2001) and on International Organisations Responsibility (2011) for Internationally Wrongful Acts. *Issue: *2 *Journal Name: *Studi sull'integrazione europea *Publication Date: *Mar 2018 *Research Interests: *Migration Studies , International Migration and Immigration Policy , International Responsibility , International Law Commission e Responsibility of International Organisations Loading Preview 413 Studi sull’integrazione europea , XIII (2018), pp. 413-440 Giuseppe Pascale * “Esternalizzazione” delle frontiere in chiave antimigratoria e responsabilità internazionale dell’Italia e dell’UE per complicità nelle gross violations dei diritti umani commesse in Libia S󰁯󰁭󰁭󰁡󰁲󰁩󰁯: 1. Introduzione. Gli obiettivi dell’Italia e dell’UE di controllare e di ridurre i flussi migratori nel Mediterraneo e i risultati recentemente raggiunti. – 2. La politica migratoria di esternalizzazione delle frontiere attuata dall’Italia con il sostegno dell’UE e il trattenimento in Libia dei migranti provenienti da Stati terzi. – 3. La commissione di gross violations dei diritti umani a danno dei migranti trattenuti sul territorio libico e la responsabilità internazio-nale della Libia. – 4. La possibilità di configurare una forma di responsabilità internazionale dell’Italia e dell’UE connessa alla responsabilità internazionale della Libia precedentemente delineata. – 5. Le norme sulla responsabilità internazionale per complicità. – 6. Segue : i requisiti e i caratteri della responsabilità internazionale per complicità. – 7. La responsabilità internazionale dell’Italia e dell’UE per complicità nelle gross violations dei diritti umani dei migranti compiute in Libia. 1. Da ormai diversi anni, il controllo e la riduzione dei flussi migratori prove-nienti dall’Africa e dal Medio Oriente costituiscono degli obiettivi prioritari per gli Stati membri dell’UE. L’importanza del raggiungimento di tali obiettivi si accentua per gli Stati che gestiscono le frontiere esterne dell’UE. Com’è noto, configurandosi naturalmente come Paesi di primo approdo dei richiedenti asilo, in applicazione del c.d. regolamento Dublino III, tali Stati sopportano i più pesanti oneri derivanti dalla crisi migratoria 1 . Essi subiscono anche le maggiori ripercussioni politiche ed * Dottore di ricerca in Diritto internazionale e dell’Unione europea dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza”. 1 Lo Stato membro di primo ingresso del richiedente asilo deve farsene carico, occupandosi dell’e-same della sua domanda di asilo, dell’accoglienza, dell’eventuale rimpatrio e di ogni altra questione connessa, ai sensi dell’art. 13 del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Con-siglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato mem- Giuseppe Pascale 414 “emotive” di detta crisi, che si manifestano non solo quando si verificano delle gravi tragedie, purtroppo non infrequenti, ma anche in occasione di incidenti locali che assumono grande visibilità. Il caso dell’Italia, che con la Grecia rappresenta la più permeabile frontiera esterna dell’UE, è paradigmatico. In Italia da più parti si invocano azioni di forte contrasto ai flussi migratori che attraversano il Mediterraneo dirigendosi verso le coste nazionali. Per dare séguito a tali richieste, l’Italia non può bombardare i “barconi” degli scafisti, né chiudere i propri porti alle imbarcazioni che trasportano le persone salvate dai naufragi 2 . Ai sensi del diritto internazionale, l’Italia non può nemmeno intercettare i migranti nelle acque internazionali e respingerli verso i Paesi di provenienza o di transito, dato che, inter alia , essi probabilmente verrebbero qui sottoposti ad atti di tortura e altre gravi violazioni dei loro diritti. Nella sentenza resa nel caso Hirsi Jamaa e a. c. Italia , la Corte EDU ha chiarito che l’Italia deve rispettare l’obbligo di non-refoulement non solo in relazione ai migranti che si trovano sul territorio nazionale o alla frontiera, ma anche rispetto ai migranti che in alto mare sono posti sotto il controllo di organi statali italiani 3 . Peraltro, da una lettera recentemente inviata dal Commissario del Consiglio d’Europa per i diritti umani, Muižnieks, al Ministro degli Interni italiano, bro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo o da un apolide – rifusione (c.d. regolamento Dublino III). Ne deriva una situazione di chiaro squilibrio strutturale tra gli Stati membri i cui confini coincidono con le frontiere esterne dell’UE e gli altri Stati. Su questo punto, e per una più attenta analisi del c.d. “sistema Dublino”, svolta in particolare rispetto al principio di solidarietà che dovrebbe applicarsi tra gli Stati membri in materia migratoria ex art. 80 TFUE, v. M.I. P󰁡󰁰󰁡, Crisi dei rifugiati e principio di solidarie-tà ed equa ripartizione delle responsabilità tra gli Stati membri dell’UE , in Costituzionalismo , 2016, reperibile online , p. 287 ss., in particolare pp. 299-302 per quel che concerne la regola dello “Stato di primo ingresso” e gli altri criteri fissati per la determinazione dello Stato competente e per il richiamo dell’ulteriore bibliografia in proposito. In tema, v. anche G. C󰁡󰁧󰁧󰁩󰁡󰁮󰁯, Alla ricerca di un nuovo equi-librio istituzionale per la gestione degli esodi di massa: dinamiche intergovernative, condivisione delle responsabilità fra gli Stati membri e tutela dei diritti degli individui , in Studi sull’integrazione europea , 2015, p. 459 ss., e C. D󰁩 S󰁴󰁡󰁳󰁩󰁯, La crisi del Sistema europeo comune di asilo (SECA) fra inefficienze del sistema Dublino e vacuità del principio di solidarietà , in Il Diritto dell’Unione Europea , 2017, p. 209 ss. È attualmente in corso d’esame una proposta di riforma del regolamento Dublino III, secondo cui il Paese d’arrivo non sarà più automaticamente responsabile per il trattamento delle domande di asilo, sulla quale il Parlamento europeo ha già espresso la sua posizione comune. 2 Per un commento sulla proposta di bombardamento dei “barconi” degli scafisti, v. G. C󰁡󰁲󰁥󰁬󰁬󰁡, Tratta degli esseri umani, uso della forza internazionale e prevenzione dei naufragi (… dello Stato di diritto) , in SIDI Blog , 5 maggio 2015, reperibile online . A proposito dell’invocata chiusura dei porti italiani allo scopo di bloccare gli sbarchi dei migranti, v. P. 󰁤󰁥 S󰁥󰁮󰁡, F. 󰁤󰁥 V󰁩󰁴󰁴󰁯󰁲, La “minaccia” italiana di “bloccare” gli sbarchi di migranti e il diritto internazionale , ivi , 1° luglio 2017. 3 Sentenza della Corte EDU [GC] del 23 febbraio 2012. L’obbligo di non-refoulement è previsto dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati e da diversi altri trattati, tra cui la Carta dei diritti fondamentali dell’UE (art. 19). La CEDU non sancisce tale obbligo, che nella giurisprudenza dalla Corte omonima è comunque ricavato con un’interpretazione estensiva ed evolutiva del divieto di tortura posto dall’art. 3. In ogni caso, sembra che l’obbligo di non-refoulement sia ormai previsto da una norma internazionale consuetudinaria. Resta fermo che esso non comporta il diritto di asilo, ma solo quel-lo di non essere respinti in un Paese non “sicuro” e di vedere esaminata la propria domanda di asilo. In proposito, v. Ufficio dell’Alto commissariato ONU per i rifugiati, UNHCR Note on the Principle of Non-Refoulement, 4 novembre 1997, reperibile online . Tra i tanti scritti sul tema, v. per tutti E. L󰁡󰁵󰁴󰁥󰁲󰁰󰁡󰁣󰁨󰁴, D. B󰁥󰁴󰁨󰁬󰁥󰁨󰁥󰁭, The Scope and Content of non-refoulement, in E. F󰁥󰁬󰁬󰁥󰁲, V. T󰃼󰁲󰁫, F. N󰁩󰁣󰁨󰁯󰁬󰁳󰁯󰁮 (eds.), Refugee Protection in International Law , Cambridge, 2003, p. 140 ss., e F. S󰁡󰁬󰁥󰁲󰁮󰁯, L’obbligo interna- zionale di non-refoulement dei richiedenti asilo , in Diritti umani e diritto internazionale , 2010, p. 487 ss. “Esternalizzazione” delle frontiere in chiave antimigratoria e responsabilità internazionale 415 Minniti, si evince che l’obbligo di non-refoulement , come interpretato nella sentenza Hirsi , si applicherebbe anche alle azioni italiane nelle acque libiche 4 . Allora, di concerto con l’UE, il Governo italiano ha optato per una strategia antimigratoria alternativa, che consiste nell’“esternalizzazione” delle proprie fron-tiere in Libia, Paese in cui notoriamente convergono quasi tutte le ondate migratorie provenienti dall’Africa sub-sahariana e talvolta anche dal Nord Africa e dal Medio Oriente prima di attraversare il Mediterraneo 5 . Di fatto, come si evidenzierà nel paragrafo seguente, l’Italia ha ottenuto che la Libia – rectius , i diversi attori che detengono il potere nel territorio libico 6 – blocchi i migranti entro i suoi confini, impedendo che salpino verso le coste italiane. È stato così ripreso e sviluppato il modello di cooperazione già sperimentato con il Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica popo-lare socialista, firmato a Bengasi il 30 agosto 2008 dal Presidente del Consiglio dei Ministri italiano, Berlusconi, e dal Capo di Stato libico, Gheddafi, appunto con lo scopo principale di arginare le migrazioni nel Mediterraneo 7 . In effetti, dopo l’“esternalizzazione” delle frontiere italiane in Libia, gli arrivi di migranti in Italia si sono affievoliti. A dimostrazione di ciò, basti confrontare i 4 V. il documento CommHR/INM/sf0345-2017, del 28 settembre 2017, reperibile online . 5 Secondo l’OIM, i migranti che salpano dalla Libia verso l’Italia provengono per il 60% dall’Africa sub-sahariana, per il 32% dal Nord Africa e per il 7% dal Medio Oriente. Sulle ragioni della conver-genza in Libia di tali ondate migratorie, v. il report n. 179 dell’ONG International Crisis Group, How Libya’s Fezzan Became Europe’s New Border , del 31 luglio 2017, reperibile online . 6 Com’è noto, la Libia è attualmente caratterizzata da una forte instabilità politica. In verità, un Gover-no centrale con sede nella capitale libica formalmente esiste. Si tratta del Governo di riconciliazione na-zionale presieduto da Serraj, costituito nel gennaio 2016 in applicazione dell’intesa conclusa tra le parti del conflitto libico il 17 dicembre 2015 a Skhirat, in Marocco, grazie alla mediazione dell’ONU (per il testo v. il sito della Missione delle Nazioni Unite in Libia), che lo hanno prontamente riconosciuto come unico detentore del potere esecutivo in Libia (v. le risoluzioni del Consiglio di sicurezza 2259/2015 e 2278/2016, confermate da altre successive risoluzioni). Con la dichiarazione resa al termine del Summit di Parigi del 13 marzo 2016, anche Francia, Germania, Italia, Regno Unito, UE e USA hanno qualifi-cato il Governo di Serraj come il solo legittimo Governo libico (v. lo Statement on Libya sul sito della diplomazia francese). Il Governo di riconciliazione nazionale controlla parzialmente la Tripolitania, ma non è in grado di tenere unite le altre componenti dello Stato libico: mentre la Cirenaica, a Est, è sottoposta al Governo presieduto dal generale Haftar con sede a Tobruk, nel resto della Libia, e princi-palmente nella regione meridionale del Fezzan, varie bande e tribù controllano singole città o territori, fluttuando tra alleanze precarie. Tale quadro è documentato nel Final Report of the Panel of Experts on Libya Established Pursuant to Resolution 1973 (2011) , UN doc. S/2017/466, del 1° giugno 2017, re-datto su richiesta del Consiglio di sicurezza ONU e reperibile online . Come si vedrà nel prosieguo, per ottenere l’“esternalizzazione” in Libia delle proprie frontiere, l’Italia ha dovuto negoziare non soltanto con il Governo di Tripoli, ma anche con gli attori che controllano i territori meridionali. 7 Il Trattato di Bengasi prevede che la Libia cooperi con l’Italia nel contrasto all’immigrazione; in cambio, l’Italia si impegna ad assistere la Libia, finanziandone le infrastrutture, fornendo assistenza tecnica e formando la guardia costiera e la guardia di frontiera. Soprattutto, il Trattato stabilisce che l’I-talia versi alla Libia notevoli somme di denaro per il pattugliamento costante della costa. Per maggiori dettagli, v. N. R󰁯󰁮󰁺󰁩󰁴󰁴󰁩, Luci e ombre del Trattato tra Italia e Libia , in Affari Internazionali , 8 febbraio 2009, reperibile online . All’indomani dell’intervento italiano in Libia nel 2011, il Trattato di Bengasi non si è estinto ma, al più, è stato sospeso. Pur essendo stato criticato già nel 2008 da chi denunciava che la sua attuazione avrebbe condotto a numerose violazioni dei diritti dei migranti da parte delle au-torità libiche, tale Trattato è stato poi confermato dal Processo verbale del 3 aprile 2012 intercorso tra i Ministri degli Interni italiano e libico (reperibile online ). Inoltre, esso è oggi ripreso dal Memorandum del 2 febbraio 2017 (su cui v. infra , par. 2), che ne conferma la validità. Anche nell’archivio online del Ministero degli Esteri il Trattato di Bengasi risulta in vigore dal 2 marzo 2009. Giuseppe Pascale 416 dati dell’estate del 2017 con quelli dello stesso periodo del 2016. Le note di aggior-namento del Ministero degli Interni sottolineano che ad agosto gli sbarchi si sono ridotti dell’81%, mentre a luglio il calo era stato del 66% 8 . Tali dati sono confermati dall’Agenzia per i diritti fondamentali dell’UE 9 , da alcune ONG 10 e da varie fonti giornalistiche 11 . Il flusso dei migranti appare di conseguenza diminuito anche se ci si colloca nel più ampio contesto dell’UE 12 . Dopo aver illustrato la politica di “esternalizzazione” delle frontiere italiane in Libia, attuata con il sostegno dell’UE, si darà conto delle gross violations dei diritti umani subite dai migranti provenienti da Stati terzi che vengono trattenuti sul territorio libico. Nel prosieguo, si delineerà la responsabilità internazionale della Libia per tali violazioni, soprattutto alla luce del Progetto di articoli sulla responsabilità degli Stati per atti internazionalmente illeciti adottato dalla Commissione del diritto internazio-nale (CDI) nel 2001 13 . Si cercherà poi di inquadrare il ruolo dell’Italia in relazione alle medesime violazioni, volgendo in particolare lo sguardo all’art. 16 del Progetto del 2001, inerente all’aiuto o all’assistenza prestati da uno Stato per la commissione di un illecito da parte di un altro Stato. In aggiunta, si esaminerà l’ipotesi secondo cui anche l’UE fornirebbe aiuto o assistenza nella realizzazione dell’illecito libico, tenendo conto in particolare del Progetto di articoli sulla responsabilità delle organizzazioni interna-zionali adottato nel 2011 dalla CDI 14 , sulla falsariga del Progetto del 2001. 2. Il modello dell’esternalizzazione (anche detto dell’ outsourcing ) ha origine nelle scienze economiche, dove indica la pratica delle imprese di ricorrere ad altre imprese per lo svolgimento di alcune fasi del proprio processo produttivo o per attività di supporto. Tale modello economico è talvolta impiegato anche dagli Stati quando affidano la gestione di certi servizi pubblici a imprese private straniere 15 . Nel diritto internazionale delle migrazioni, il modello dell’esternalizzazione ha 8 V. la sezione “dati e statistiche degli sbarchi e dell’accoglienza dei migranti” del sito del Ministero degli Interni. 9 V. i Regular Overviews of Migration-Related Fundamental Rights Concerns , pubblicati dall’Agen-zia per i diritti fondamentali dell’UE sul proprio sito. 10 Oltre ai rapporti delle ONG citati nel prosieguo, v. l’ Analisi flussi gennaio/agosto 2017 , pubblicata online da Save the Children. 11 Tra le varie fonti giornalistiche, v. Libia, arrivano meno migranti , in Repubblica , 8 agosto 2017; Perché gli sbarchi sono diminuiti? , in Il Post , 10 agosto 2017; Migranti, l’UE: “in Italia sbarchi in calo dell’81% ad agosto” , in Il Messaggero , 6 settembre 2017. 12 La Commissione europea ha recentemente presentato alcuni documenti che attestano i buoni risultati conseguiti nella gestione dei flussi migratori dai nuovi strumenti messi in campo dall’UE e dai suoi Stati membri, tra cui principalmente l’Italia. In particolare, il 15 novembre 2017, essa ha diffuso la comunica-zione COM(2017)669 fin., contenente il progress report sull’Agenda europea sulla migrazione, e l’allega-to intitolato Best Practices on the Implementation of the Hotspot Approach , che menzionano diversi dati, da cui si evince la netta diminuzione sia dei richiedenti asilo sia del numero dei morti e scomparsi in mare. 13 Draft Articles on Responsibility of States for Internationally Wrongful Acts, with Commentaries , UN Doc. A/56/10. 14 Draft Articles on Responsibility of International Organizations, with Commentaries , UN Doc. A/66/10. 15 In tema, v. I. M󰁣C󰁡󰁲󰁴󰁨󰁹, A. A󰁮󰁡󰁧󰁮󰁯󰁳󰁴󰁯󰁵, The Impact of Outsourcing on the Transaction Costs and Boundaries of Manufacturing , in International Journal of Production Economics , 2004, p. 61 ss., p. 63, dove si legge che l’esternalizzazione si realizza attraverso “an agreement in which one company contracts-out a part of the existing internal activity to another company abroad”. Nell’esternalizzazione vi è dunque un rapporto tra due imprese di diversa nazionalità, cosa che permette di distinguere questo mo- “Esternalizzazione” delle frontiere in chiave antimigratoria e responsabilità internazionale 417 ispirato la prassi del trasferimento del controllo e della gestione dei flussi migratori dagli Stati di (auspicata) destinazione a quelli di transito. In sostanza, i primi stipu-lano degli accordi internazionali o raggiungono delle intese politiche con i secondi, che accettano di trattenere entro i propri confini i migranti, ai quali viene così impe-dito di approdare negli Stati di destinazione. In cambio, questi ultimi si impegnano a inviare agli Stati di transito finanziamenti, mezzi tecnologici e supporti logistici indirizzati al rafforzamento delle frontiere e alla creazione di centri di accoglienza. Inoltre, gli Stati di destinazione spesso si occupano della formazione della guardia costiera, della guardia di confine e del personale impiegato nei centri di accoglienza degli Stati di transito. È dunque in questo senso che gli Stati di destinazione effet-tuano l’esternalizzazione delle proprie frontiere negli Stati di transito 16 . Sembra che l’Australia per prima abbia ideato un sistema di esternalizzazione delle proprie frontiere per controllare le ondate migratorie 17 . Il modello australiano ha poi riscosso successo presso alcuni Governi europei, tra cui quello italiano, che sin dal c.d. Processo di Khartoum del 2014 è tra i più convinti promotori dell’esternalizzazione delle frontiere esterne dell’UE quale strategia congiunta di contrasto ai flussi migratori 18 . Come anticipato nell’introduzione, l’Italia attua anche una propria politica di esternalizzazione. Nel momento in cui si scrive (gen-naio 2018), mentre degli accordi o delle intese sono in corso di negoziazione con i Paesi dell’Africa sub-sahariana da cui partono i migranti 19 , tra cui specialmente dello da quello della delocalizzazione, consistente nel trasferimento all’estero di parte delle attività pro-duttive di un’impresa, senza che tali attività siano affidate ad altre imprese ma, al più, a filiali o sedi estere. 16 Cfr. F. 󰁤󰁥 V󰁩󰁴󰁴󰁯󰁲, Respingimenti in mare ed “esternalizzazione” della protezione: il confine terri-toriale come limite agli obblighi di tutela , in M. M󰁥󰁣󰁣󰁡󰁲󰁥󰁬󰁬󰁩, P. P󰁡󰁬󰁣󰁨󰁥󰁴󰁴󰁩, C. S󰁯󰁴󰁩󰁳 (a cura di), Ius peregrinandi : il fenomeno migratorio tra diritti fondamentali, esercizio della sovranità e dinamiche dell’esclusione , Macerata, 2012, p. 183 ss., e B. F󰁲󰁥󰁬󰁩󰁣󰁫, I.M. K󰁹󰁳󰁥󰁬, J. P󰁯󰁤󰁫󰁵󰁬, The Impact of Exter-nalization of Migration Controls on the Rights of Asylum Seekers and Other Migrants , in Journal of Mi-gration and Human Security , 2016, p. 190 ss. Inoltre, v. i saggi raccolti in F. C󰁨󰁥󰁲󰁵󰁢󰁩󰁮󰁩 (a cura di), Le migrazioni in Europa. UE, Stati terzi e migration outsourcing, Roma, 2015. Come indicato da Z. B󰁡󰁵-󰁭󰁡󰁮, Globalization. The Human Consequences , Cambridge, 1998 (rist. 2016), p. 12 ss., il fenomeno della esternalizzazione delle frontiere nazionali, indipendentemente dal fine perseguito, costituisce una delle motivazioni principali e, allo stesso tempo, un’inevitabile conseguenza della “fine della geografia” imposta dalla globalizzazione; da un lato, la “fine della geografia” agevola certe politiche (come quelle di esternalizzazione per il contrasto ai flussi migratori) e, dall’altro, essa permette di porre gli individui sotto la responsabilità di Stati il cui standard di rispetto dei diritti umani è basso. 17 A proposito dell’esternalizzazione delle frontiere attuata dall’Australia a Nauru e nell’isola di Manus e delle gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani che sarebbero ivi commesse, è stata presentata una comunicazione all’Ufficio del Procuratore della Corte penale internazionale (CPI): v. il Communiqué to the Office of the Prosecutor of the International Criminal Court under Article 15 of the Rome Statute. The Si-tuation in Nauru and Manus Island: Liability for Crimes Against Humanity , del 14 febbraio 2017, reperibile online . Secondo la Stanford International Human Rights and Conflict Resolution Clinic, che ha effettuato la comunicazione, la politica australiana di esternalizzazione delle frontiere in Paesi non “sicuri” configura delle violazioni gravi e sistematiche dei diritti umani, per le quali i singoli governanti che la promuovono possono personalmente incorrere in responsabilità penale internazionale per crimini contro l’umanità. 18 V. la Declaration of the Ministerial Conference of the Khartoum Process , resa da trentanove Stati africani ed europei, dall’Unione africana e dall’UE, al termine dell’ EU-Horn of Africa Migration Route Initiative , promossa dall’Italia e svoltasi a Roma il 28 novembre 2014. La Dichiarazione è consultabile sul sito dell’OIM. 19 La piena e corretta attuazione della politica di esternalizzazione delle frontiere dallo Stato di desti-nazione (l’Italia) allo Stato di transito (la Libia) dipende anche dalla gestione dei confini che quest’ul-timo condivide con gli Stati di origine dei flussi migratori. Inoltre, il rafforzamento dei confini libici Giuseppe Pascale 418 il Niger 20 , l’Italia ha individuato da tempo lo Stato di transito in cui effettuare l’e-sternalizzazione delle sue frontiere in chiave antimigratoria: la Libia. Lo strumento principale della politica di esternalizzazione delle frontiere italiane in Libia è il Memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al con-trabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica italiana 21 . Si tratta di un accordo internazionale bilaterale, stipulato in forma semplificata ed entrato quindi in vigore alla data della firma 22 , avvenuta a Roma il 2 febbraio 2017, la cui durata prevista è di tre anni con rinnovo tacito alla scadenza per altri tre anni se nessuna delle due parti si oppone. Il Memorandum è stato sottoscritto dal Presidente del Consiglio dei Ministri italiano, Gentiloni, e dal meridionali è complementare al rafforzamento dei confini settentrionali. Pertanto, il 21 maggio e il 28 agosto 2017 si sono svolti a Roma due vertici tra i Ministri degli Interni italiano e libico e i loro omo-loghi ciadiano, maliano e nigerino. Nel corso di questi vertici, sono state raggiunte delle intese per un maggiore controllo dei confini condivisi dai quattro Paesi africani, la creazione di una rete di contatti diretti tra questi Paesi e l’Italia e lo sviluppo di centri di accoglienza lungo le aree di confine. Tali intese sono state iscritte nell’ambito di una c.d. “cabina di regia” per la gestione congiunta dei flussi migratori. Sul sito del Ministero degli Interni italiano sono disponibili i comunicati stampa riguardanti i due incon-tri e l’istituzione della c.d. “cabina di regia”. L’Italia sta attualmente negoziando intese simili anche con Camerun, Eritrea, Nigeria e Repubblica Centroafricana, dai quali pure provengono numerose ondate migratorie dirette verso l’Europa: v. G. C󰁡󰁲󰁥󰁬󰁬󰁡, Il sonno della ragione genera politiche migratorie , in SIDI Blog , 11 settembre 2017, reperibile online . 20 Alla fine di dicembre 2017, il Governo italiano ha annunciato che, a norma della l. 145/2016 sulle missioni internazionali, presenterà al Parlamento una richiesta di autorizzazione per l’invio di circa cinquecento militari in Niger. L’iniziativa italiana si prefigge ufficialmente di contribuire alla lotta al terrorismo di matrice islamica nel Sahel, affiancandosi all’impegno già assunto a tal fine da altri Paesi europei, tra cui principalmente la Francia con l’operazione Barkhane . Sembra, però, che la missione italiana abbia anche l’obiettivo di provare a bloccare sul nascere i flussi migratori che dal Niger, pas-sando per la Libia, tentano poi di attraversare il Mediterraneo, dirigendosi verso l’Italia. Per maggiori informazioni v., tra gli altri, J.P. D󰁡󰁲󰁮󰁩󰁳, Niger: la missione militare italiana, un nuovo corso , in Affari Internazionali , 21 dicembre 2017, reperibile online , e G. G󰁡󰁩󰁡󰁮󰁩, Luci e ombre sulla missione italiana in Niger , in Analisi Difesa , 25 dicembre 2017, reperibile online . In precedenza, l’Italia aveva già stan-ziato circa 50 milioni di euro per lo sviluppo di un programma di imprenditoria femminile in Niger (v. il Protocollo di accordo relativo all’esecuzione del programma per la responsabilizzazione delle donne e lo sviluppo locale, con due allegati, firmato a Roma il 31 marzo 2017 dal Presidente del Consiglio italiano e dal Presidente della Repubblica nigerina e subito entrato in vigore), dietro il quale, secondo alcuni giornali, si nasconderebbe il sostegno al rafforzamento delle frontiere nigerine per contrastare le migrazioni illegali (v., per esempio, Dall’Italia 50 milioni al Niger per rinforzare le sue frontiere in chiave antimigratoria , in La Stampa , 1° aprile 2017). Sia la missione militare recentemente annunciata, sia i flussi finanziari inviati nel marzo 2017 potrebbero iscriversi nel contesto di un’intesa (o forse un accordo stipulato in forma semplificata) in precedenza raggiunta tra i Ministri della Difesa dei due Pa-esi, il cui testo non è stato reso pubblico, ma cui fanno cenno le fonti appena citate. 21 Il testo del Memorandum è disponibile nell’archivio online del Ministero degli Esteri. La sua stipu-lazione era stata concordata il 9 gennaio 2017, in occasione della missione a Tripoli del Ministro degli Interni italiano: v. il comunicato Minniti a Tripoli: al via una nuova fase di cooperazione tra i due Paesi , reperibile online . Sul Memorandum , v. A. P󰁡󰁬󰁭, The Italy-Libya Memorandum of Understanding: The Baseline of a Policy Approach Aimed at Closing All Doors to Europe? , in EU Immigration and Asylum Law and Policy , 2 ottobre 2017, reperibile online , e M. T󰁡󰁺󰁺󰁩󰁯󰁬󰁩, Rethinking Containment through the EU-Libya Migration Deal , in Völkerrechtsblog , 23 ottobre 2017, reperibile online . 22 Come si noterà, il Memorandum si annovera sia nell’ampia categoria dei trattati di natura politica sia in quella dei trattati che impongono oneri alle finanze. Pertanto, la sua stipulazione in forma sempli-ficata potrebbe ritenersi non conforme all’art. 80 Cost., che richiede l’autorizzazione parlamentare per la ratifica dei trattati appartenenti alle due categorie. “Esternalizzazione” delle frontiere in chiave antimigratoria e responsabilità internazionale 419 Capo del Governo di riconciliazione nazionale libico, Serraj. Ai negoziati hanno però partecipato anche i “sindaci” dei villaggi abitati dalle tribù Tuareg e Toubou, che nei fatti governano le aree semidesertiche del Fezzan, nella Libia meridionale 23 . In sintonia con il modello di esternalizzazione delle frontiere sopra descritto, il Memorandum prevede un maggiore impegno della Libia nel controllo dei suoi confini e l’obbligo dell’Italia di fornire supporto a tal fine. Nello specifico, è previ-sto che l’Italia invii in Libia dei formatori della guardia costiera e delle guardie di confine; presti assistenza tecnica, tecnologica e finanziaria per il completamento del sistema di controllo dei confini libici meridionali; sostenga tutti gli organismi libici incaricati della lotta contro l’immigrazione clandestina; finanzi l’istituzione o l’a-deguamento dei centri di accoglienza libici e la formazione del personale ivi impie-gato. Inoltre, l’Italia accetta di avviare dei programmi per lo sviluppo sociale delle regioni libiche attraversate dai flussi migratori. Più in generale, l’Italia si impegna a destinare aiuti alla Libia attraverso il Fondo per l’Africa 24 e a favorire investimenti che stimolino la crescita libica 25 . In seguito, il 2 agosto 2017, in risposta a una richiesta del Governo di Tripoli, per-venuta nel quadro della cooperazione stabilita con il Memorandum , l’Italia ha appro-vato l’invio di una missione di sostegno alla guardia costiera libica, aggiungendo così un tassello alla politica di esternalizzazione delle proprie frontiere in Libia. Nello specifico, il Parlamento italiano ha autorizzato il distaccamento di unità navali italiane nel mare territoriale e nelle acque interne della Libia per lo svolgimento di azioni di contrasto ai flussi migratori irregolari e al traffico di esseri umani 26 . Nello stesso periodo, l’Italia ha adottato il Codice di condotta per le organiz-zazioni non governative impegnate nelle operazioni di salvataggio dei migranti in mare, che appunto le ONG sono tenute a firmare per poter continuare a intervenire nel canale di Sicilia in aiuto dei migranti. Tale documento ufficialmente dovrebbe scongiurare i rischi di collusione tra le ONG e i trafficanti di esseri umani attivi nel Mediterraneo centrale; in pratica, però, esso impedisce alle ONG di interferire nel processo di esternalizzazione delle frontiere italiane in Libia. Infatti, il Codice di 23 È facile presumere che i rappresentanti delle tribù Tuareg e Toubou siano stati invitati a partecipare ai negoziati in qualità di gestori effettivi dell’ingresso in Libia della grande maggioranza dei migranti, che passano appunto attraverso i confini meridionali della Libia, dove queste tribù sono stanziate. V. l’ Africa-Frontex Intelligence Community Joint Report 2016 , aprile 2017, p. 17, disponibile sul sito di Frontex. 24 Il Fondo per l’Africa è stato istituito con l’art. 1, co. 621, l. 232/2016 (legge di bilancio 2017); la sua gestione è affidata al Ministero degli Esteri. 25 Il Memorandum si compone del preambolo e di otto articoli. Gli obblighi sopra enunciati sono pre-visti dagli articoli 1 e 2. L’art. 3 dispone l’istituzione di un Comitato misto italo-libico, che si occuperà di individuare le priorità di intervento e monitorare l’adempimento degli obblighi assunti dalle parti. L’art. 4 riguarda la copertura finanziaria delle attività italiane in Libia. L’art. 5 prevede che il Memoran-dum sia interpretato e applicato nel rispetto degli obblighi internazionali sui diritti umani. Gli articoli 6, 7 e 8 hanno a oggetto la soluzione delle controversie, gli emendamenti e l’entrata in vigore. Sembra che, il 20 marzo 2017, poco più di un mese dopo l’adozione del Memorandum , il Governo di Serraj abbia presentato all’Italia la lista delle richieste più urgenti per la sua attuazione concreta. Si tratterebbe di attrezzature dal valore equivalente a circa 800 milioni di euro. V. l’inchiesta Perché l’accordo tra l’Italia e la Libia sui migranti è sotto accusa , in Internazionale , 29 novembre 2017. 26 Come previsto dalla l. 145/2016 sulla partecipazione dell’Italia alle missioni internazionali, il 28 luglio 2017 il Consiglio dei Ministri ha trasmesso la delibera di accoglimento della richiesta libica al Parlamento, che ha appunto provveduto ad approvarla: v. Camera dei deputati, Resoconto stenografico del 2 agosto 2017 , p. 48, e Senato della Repubblica, Resoconto stenografico del 2 agosto 2017 , p. 71. Giuseppe Pascale 420 condotta restringe notevolmente il raggio d’azione di questi attori non statali, soprat-tutto poiché prevede il divieto di ingresso nei mari libici, salvo in situazioni di grave e imminente pericolo che richiedano assistenza immediata, purché non si intralcino le attività della guardia costiera libica 27 . L’UE appoggia la politica italiana di esternalizzazione delle frontiere. In pro-posito, è significativa la dichiarazione resa dal Consiglio europeo al termine del Vertice informale svoltosi alla Valletta il 3 febbraio 2017, cioè il giorno dopo la firma del Memorandum italo-libico, dove si legge che “l’UE accoglie con favore il Memorandum d’intesa firmato il 2 febbraio 2017 dalle autorità italiane e dal Presidente Serraj ed è pronta a sostenere l’Italia nella sua attuazione” 28 . Il Consiglio europeo è andato poi oltre, lasciando intendere che l’esternalizzazione delle frontiere, così come eseguita dall’Italia, potrebbe costituire un modello per l’UE. Dopo aver rinnovato il loro sostegno al Governo di Serraj, i capi di Stato e di governo hanno anche prospettato il possibile sviluppo di una cooperazione diretta tra UE e Libia per il contrasto ai flussi migratori e per altre esigenze legate a questo obiettivo 29 . Il supporto dell’UE alla politica migratoria italiana e l’intenzione dell’UE di collaborare direttamente con la Libia non devono stupire. Innanzitutto, la missione navale europea EUNAVFOR MED Operazione Sophia si occupa da qualche tempo pure dell’addestramento della guardia costiera libica e, di fatto, sembrerebbe anche agevolare il trattenimento dei migranti in Libia 30 . Inoltre, e più in generale, l’UE 27 Il Codice di condotta è stato redatto dal Ministero degli Interni (sul cui sito internet è consultabile) a conclusione dell’indagine conoscitiva avviata dalla Commissione Difesa del Senato (doc. XVII n. 9, Sul contributo dei militari italiani al controllo dei flussi migratori nel Mediterraneo e l’impatto delle attivi-tà delle organizzazioni non governative , 16 maggio 2017) dopo le polemiche innescate dalla denuncia della Procura di Trapani, poi rivelatasi infondata, di una presunta complicità di certe ONG nei crimini dei trafficanti libici di esseri umani. Il Codice è stato presentato il 31 luglio 2017 ed emendato più volte fino al successivo 8 agosto. Tra i tredici punti di cui il Codice si compone, oltre al divieto di ingresso nel mare territoriale libico, ha provocato diverse critiche l’obbligo di ricevere a bordo, su richiesta delle autorità italiane, funzionari di polizia deputati a raccogliere informazioni e prove finalizzate alle inda-gini sul traffico e sulla tratta di esseri umani. 28 V. la Dichiarazione di Malta dei membri del Consiglio europeo, Gli aspetti esterni della migrazio-ne: affrontare la rotta del Mediterraneo centrale , del 3 febbraio 2017, par. 6, lett. i), reperibile online . 29 Come si legge nel comunicato relativo al Consiglio europeo informale della Valletta, reperibile onli-ne , le priorità dell’eventuale cooperazione diretta tra UE e Libia in ambito migratorio comprenderebbe-ro: la formazione, l’equipaggiamento e il supporto della guardia costiera libica; lo smantellamento delle attività dei trafficanti di esseri umani attraverso un’azione operativa rafforzata; il miglioramento della si-tuazione socioeconomica delle comunità libiche stanziate nelle zone costiere, presso le frontiere terrestri e lungo le rotte migratorie; un impegno volto a garantire, in Libia, capacità e condizioni di accoglienza adeguate per i migranti, soprattutto attraverso la creazione di nuovi centri di accoglienza; il sostegno all’OIM per l’intensificazione delle attività di rimpatrio volontario; il potenziamento delle campagne di informazione rivolte ai migranti. Infine, il Consiglio europeo ha sottolineato la necessità di contribuire a ridurre la pressione sulle frontiere terrestri della Libia, rafforzando anche le frontiere dei Paesi vicini. 30 L’operazione navale EUNAVFOR MED è stata istituita con decisione (PESC) n. 2015/778 del Con-siglio, del 18 maggio 2015, con gli obiettivi di contribuire alla gestione delle rotte migratorie nel Medi-terraneo centrale, proteggere i migranti e combattere i trafficanti di esseri umani. Articolata in quattro fasi, l’operazione è stata rinnovata dal Consiglio una prima volta, con un’estensione del mandato all’ad-destramento della guardia costiera libica, e una seconda volta, fino al 31 dicembre 2018, con un’ulteriore modifica del mandato finalizzata ad assicurare l’efficienza a lungo termine della formazione della guar-dia costiera libica. Peraltro, i compiti dell’operazione sono stati ampliati anche da alcune risoluzioni del Consiglio di sicurezza ONU, tra cui la n. 2240/2015 e la n. 2292/2016. Ciò rende EUNAVFOR MED una missione “quasi congiunta” tra UE e ONU. F. M󰁵󰁳󰁳󰁩, Countering Migrant Smuggling in the Me- “Esternalizzazione” delle frontiere in chiave antimigratoria e responsabilità internazionale 421 ha già dettato una propria politica migratoria che, per certi aspetti, è assimilabile a quella italiana. È espressione di tale politica il recente “accordo” che l’UE ha con-cluso con la Turchia 31 , impegnandosi a versare un’ingente somma di denaro nelle casse di questo Stato, che ha così accettato di svolgere il ruolo di gatekeeper dei migranti che tentano di giungere in Europa seguendo la c.d. rotta balcanica 32 . Del resto, le difficoltà di gestire il fenomeno migratorio “dentro” l’UE, anche applicando il principio di solidarietà tra gli Stati membri ex art. 80 TFUE, sono state rese sempre più evidenti sia dalla manifestazione di contrapposti interessi nazionali sia dallo scarso successo della maggior parte delle politiche migratorie europee “straordinarie” adottate finora 33 . Pertanto, sembra che oggi all’UE con-venga favorire il contenimento dei migranti negli Stati di transito. Introdotto nella diterranean Sea under the Mandate of the UN Security Council: What Protection for the Fundamental Rights of Migrants? , in corso di pubblicazione in International Journal of Human Rights , ora reperibile online , evidenzia che, pur rientrando tra gli obiettivi della missione, la tutela dei diritti dei migranti nei fatti sembra posta in secondo piano rispetto al contrasto ai flussi migratori. In tema, v. anche M. G󰁥󰁳󰁴󰁲󰁩, EUNAVFOR MED: Fighting Migrant Smuggling under UN Security Council Resolution 2240 (2015) , in Italian Yearbook of International Law , 2015, p. 21 ss., e F. 󰁤󰁥 V󰁩󰁴󰁴󰁯󰁲, F. M󰁵󰁳󰁳󰁩, EUNAVFOR MED Ope-ration Sophia One Year After: An Effective Measure to Tackle Human Trafficking and Migrant Smuggling Networks? , in Questions of International Law , 5 agosto 2016, reperibile online . 31 Cfr. Tribunale dell’UE, ordinanza del 28 febbraio 2017, causa T-192/16, N.F. c. Consiglio europeo , dove si afferma che ciò che nei comunicati stampa e nelle dichiarazioni pubbliche dell’UE viene tut-tora definito “accordo tra UE e Turchia” non è un atto dell’UE, senza che però se ne chiarisca la reale natura giuridica. Nello specifico, il Tribunale nota che l’“accordo” non è stato negoziato dal Consiglio europeo (e cioè dall’UE), ma dai capi di Stato e di governo europei, senza una partecipazione attiva del Presidente del Consiglio europeo, del Presidente della Commissione e dell’Alto rappresentante, che pure erano presenti negli incontri con i delegati turchi. Inoltre, non vi è stato il coinvolgimento del Parlamento europeo, previsto dalla procedura per la conclusione degli accordi internazionali. Peraltro, il Tribunale precisa che l’espressione “UE”, quando è impiegata nei comunicati stampa delle istituzioni europee, andrebbe intesa, salvo prova contraria, come “insieme degli Stati membri”, in quanto questo sarebbe il comune sentire. Come giustamente osserva G. C󰁡󰁲󰁥󰁬󰁬󰁡, Il sonno della ragione , cit., sembra quasi che il Tribunale abbia posto le basi per una sorta di “Eurexit”, cioè quasi un’uscita dell’UE da se stessa. Nel frattempo, il 21 aprile 2017, l’ordinanza del Tribunale è stata impugnata davanti alla Corte di giustizia, che ha quindi iscritto al ruolo la causa C-208/17 P, N.F. c. Consiglio europeo . In attesa della sentenza, sebbene si parli diffusamente di un “accordo” concluso tra l’UE e la Turchia in materia migratoria, sarebbe più corretto riferirsi a un’intesa tra la Turchia e i capi di Stato e di governo dell’UE. 32 Per un quadro di analisi più ampio e dettagliato della cooperazione tra UE e Turchia in materia mi-gratoria, v. G. C󰁡󰁧󰁧󰁩󰁡󰁮󰁯, Ascesa e caduta della rotta balcanica. Esternalizzazione contro solidarietà per i richiedenti-asilo , in Studi sull’integrazione europea , 2016, p. 221 ss., e C. F󰁡󰁶󰁩󰁬󰁬󰁩, La coopera- zione UE-Turchia per contenere il flusso dei migranti e richiedenti asilo: obiettivo riuscito? , in Diritti umani e diritto internazionale , 2016, p. 405 ss. 33 Per rendere l’idea dei contrapposti interessi all’interno dell’UE a proposito della gestione della crisi migratoria, si possono confrontare la posizione degli Stati del c.d. Gruppo EUROMED7 (Cipro, Francia, Grecia, Italia, Malta, Portogallo e Spagna; ma soprattutto Grecia e Italia), che ambisce a rifor-mare il “sistema Dublino” nel segno della solidarietà europea ed eliminando la regola dello “Stato di primo ingresso”, e la posizione profondamente diversa degli Stati del c.d. Gruppo di Visegrad (Polo-nia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria), che propone la sostituzione del principio di solidarietà con il metodo dei contributi volontari degli Stati membri. Quanto allo scarso successo delle politiche migratorie “straordinarie” finora adottate dall’UE, si considerino per esempio i risultati del c.d. Piano temporaneo di ricollocazione, approvato in deroga al c.d. regolamento Dublino III dopo la crisi del 2015-2016. Per approfondimenti, v. G. C󰁡󰁧󰁧󰁩󰁡󰁮󰁯, Alla ricerca di un nuovo equilibrio , cit., p. 468 ss., e M.I. P󰁡󰁰󰁡, op. cit ., p. 305 ss. Giuseppe Pascale 422 comunicazione sull’Agenda europea sulla migrazione 34 , poi posto tra le basi dell’i-stituzione del Fondo fiduciario per l’Africa 35 , tale orientamento è stato ripreso nella comunicazione sulla creazione di un nuovo quadro di partenariato tra UE e Paesi terzi nell’ambito dell’Agenda europea sulla migrazione 36 . 3. È ormai innegabile che i migranti trattenuti in Libia siano vittime di gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani 37 . Di recente, ha destato scalpore l’inchiesta giornalistica riguardante la riduzione in schiavitù di alcuni giovani migranti, liberati soltanto in seguito al pagamento di un riscatto o altrimenti venduti all’asta, praticata in centri di accoglienza come quello di Treeq, nelle vicinanze di Tripoli 38 . Queste e altre massicce violazioni sono altresì dimostrate nei numerosi documenti pubblicati da diverse ONG. Per esempio, si segnalano le testimonianze, raccolte in un rap-porto di Oxfam, che denunciano situazioni di lavoro forzato, privazione arbitraria della libertà, rapimenti, torture e sevizie sessuali 39 . Da ultimo, ha avuto notevole risonanza mediatica anche un rapporto di Amnesty International in cui, con molti dettagli, si descrive la mercificazione dei migranti realizzata in Libia 40 .Oltre che dalle fonti giornalistiche e dai documenti delle ONG, le gross viola-tions dei diritti dei migranti compiute in Libia sono evidenziate dai rapporti diffusi da alcune organizzazioni internazionali. Negli ultimi tempi, specialmente l’Ufficio 34 V. la comunicazione della Commissione europea al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni, del 13 maggio 2015, sull’Agenda europea sulla migrazione, COM(2015)240 fin., soprattutto il titolo “Collaborare con i Paesi terzi per affrontare a monte la questione della migrazione”; per un commento, v. F. C󰁨󰁥󰁲󰁵󰁢󰁩󰁮󰁩, L’Agenda europea sulla migrazione: la macchina ora (forse?) funziona, ma ne occorre comunque un’altra , in SIDI Blog , 3 giu-gno 2015, reperibile online . Per i risultati più recentemente conseguiti in base all’Agenda europea sulla migrazione, v. la citata comunicazione COM(2017)669 fin. 35 Il Fondo fiduciario di emergenza dell’UE per la lotta contro le cause profonde della migrazio-ne irregolare in Africa è stato istituito a esito del vertice della Valletta sulle migrazioni, organizzato dall’UE congiuntamente all’Unione africana l’11 e 12 novembre 2015. Esso mira a promuovere una più efficiente gestione dei flussi migratori nei Paesi africani interessati, attraverso finanziamenti volti a sostenere lo sviluppo economico, la stabilizzazione democratica e il rafforzamento delle frontiere. Dun-que, il Fondo non si propone espressamente di finanziare l’esternalizzazione delle frontiere europee nei Paesi africani di transito, ma rappresenta comunque uno strumento utilizzabile a tal fine. Esso dispone di una dotazione di quasi due miliardi di euro, stanziati sia dal budget ordinario dell’UE sia dal Fondo di sviluppo europeo, cui si aggiungono i contributi volontari degli Stati membri e di donatori privati. Per maggiori informazioni, v. la scheda intitolata A European Union Emergency Trust Fund for Africa , reperibile online . 36 V. la comunicazione della Commissione europea al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al Consiglio e alla Banca europea per gli investimenti, del 7 giugno 2016, sulla creazione di un nuovo qua-dro di partenariato con i Pesi terzi nell’ambito dell’Agenda europea sulla migrazione, COM(2016)385 fin. 37 D’ora in avanti, a proposito degli stranieri trattenuti in Libia, si utilizzerà il termine “migranti” inteso nella sua accezione più generale. Infatti, le violazioni dei diritti umani in Libia sono perpetrate, senza alcuna distinzione, a danno non solo dei migranti economici, ma anche di individui che sarebbero meritevoli di asilo secondo le norme internazionali. 38 V. l’inchiesta People for Sale. Where Lives Are Auctioned for $ 400 , reperibile sul sito della CNN e ripresa dai mezzi d’informazione italiani (v. Libia, migranti venduti all’asta come schiavi , in Corriere della sera , 14 novembre 2017, e Perché l’accordo tra l’Italia e la Libia sui migranti è sotto accusa , in Internazionale , 29 novembre 2017). 39 V. il rapporto You Aren’t Human Any More , del 9 agosto 2017, reperibile online . 40 V. il rapporto Libya’s Dark Web of Collusion. Abuses Against Europe-Bound Refugees and Mi-grants , dell’11 dicembre 2017, reperibile online . “Esternalizzazione” delle frontiere in chiave antimigratoria e responsabilità internazionale 423 dell’Alto commissario ONU per i diritti umani ha denunciato tali violazioni in almeno tre diversi documenti: il parere dell’8 settembre 2017; la dichiarazione formulata il 12 ottobre 2017 al termine della visita in Libia; il comunicato del 14 novembre 2017 41 . L’Alto commissario ha precisato che “some migrants die of thirst, hunger or easily-cured illnesses, some are tortured or beaten to death while working as slave labour, others are just casually murdered. The unidentified bodies are buried in unmarked graves. Others simply disappear, unrecorded” 42 . Informazioni analoghe si rinvengono nel rapporto del Panel di esperti sulla Libia istituito dal Consiglio di sicurezza 43 , nei comunicati sulla Libia pubblicati negli ultimi anni dall’Ufficio dell’Alto commissario ONU per i rifugiati 44 e nella gran mole di documentazione raccolta dall’OIM, che riporta tra l’altro casi di ridu-zione in schiavitù anche dei migranti intercettati ai confini meridionali della Libia 45 . In uno studio dell’UNICEF si pone poi l’accento sulla drammatica situazione dei minori non accompagnati, i quali spesso rimangono “intrappolati” in Libia 46 . In aggiunta, anche l’Ufficio del Procuratore della CPI ha reso noto di aver ricevuto delle comunicazioni inerenti alle gross violations dei diritti dei migranti commesse in Libia 47 . Durante un’audizione davanti al Consiglio di sicurezza, il Procuratore ha quindi dichiarato che “my Office is carefully examining the feasibility of opening an investigation into migrant-related crimes in Libya, should the Court’s jurisdictional requirements be met” 48 .Le gross violations dei diritti umani fin qui descritte implicano la responsabilità internazionale della Libia, innanzitutto per il mancato rispetto della norma di diritto 41 V. Ufficio dell’Alto commissario ONU per i diritti umani, Returned Migrants Are Being Robbed, Raped and Murdered in Libya , parere dell’8 settembre 2017; Statement by UN High Commissioner for Human Rights Zeid Ra’ad Al Hussein at the End of Visit to Libya , del 12 ottobre 2017 (si tratta della prima visita compiuta, nella storia della Libia, da un rappresentante ONU per verificare la situazione del rispetto dei diritti umani); UN Human Rights Chief: Suffering of Migrants in Libya Outrage to Con-science of Humanity , comunicato del 14 novembre 2017. I documenti sono tutti online . 42 La citazione è tratta dal parere Returned Migrants Are Being Robbed . 43 V. Final Report of the Panel of Experts on Libya , soprattutto i paragrafi 93, 104, 105 e gli allegati 17, 30 e 31. In questo documento, tra l’altro, si riferisce come la guardia costiera libica sia composta di quelle stesse bande che esercitano il traffico e la tratta di persone. 44 Da ultimo, v. Ufficio dell’Alto commissario ONU per i rifugiati, UNHCR Position on Returns to Libya , 1° ottobre 2015, e gli updates , reperibili online . 45 V. la pagina del sito dell’OIM dedicata alla Libia. 46 V. UNICEF, Un viaggio fatale per i bambini. La rotta migratoria del Mediterraneo centrale , 28 febbraio 2017, reperibile online . 47 V. i rapporti annuali sulla Libia dell’Ufficio del Procuratore della CPI e, in particolar modo, i pa-ragrafi 23-25 del più recente Thirteenth Report Pursuant to para. 7 of UN Security Council Resolution 1970 , dell’8 maggio 2017, reperibile online . 48 V. lo Statement of ICC Prosecutor to the UNSC on the Situation in Libya , 8 maggio 2017, special-mente i punti 23-33 (la citazione è tratta dal punto 29). Sembra che il Procuratore miri a ricondurre le gross violations dei diritti umani perpetrate in Libia, in generale, e il reato transnazionale di traffico di esseri umani, in particolare, ai crimini contro l’umanità sui quali la CPI ha giurisdizione, benché ciò inevitabilmente comporti una qualche forzatura delle pertinenti disposizioni dello Statuto di Roma. Condividendo tale strategia, la Francia ha richiesto una riunione del Consiglio di sicurezza, poi svoltasi il 28 novembre 2017, in cui si è ventilata l’ipotesi di adottare una risoluzione che qualifichi ufficial-mente come crimini conto l’umanità i maltrattamenti e le violenze di massa subiti dai migranti in Libia: v. UN Doc. S/PV.8114 e il comunicato stampa SC/13094; v. anche Esclavage en Libye: Emmanuel Macron dénonce des “crimes contre l’humanité” et saisit l’ONU , 22 novembre 2017, reperibile online . Giuseppe Pascale 424 internazionale generale che ne pone complessivamente il divieto 49 . Inoltre, alcune di tali violazioni attengono a diritti tutelati da specifiche norme internazionali consue-tudinarie, come il diritto a non essere ridotti in schiavitù o quello a non subire atti di tortura 50 . Altre violazioni si riferiscono a diritti umani sanciti in strumenti conven-zionali che la Libia ha ratificato e da cui continua a essere vincolata 51 , nonostante il mutamento radicale di governo intervenuto dopo la c.d. Primavera araba 52 . Le gross violations dei diritti dei migranti sono imputabili alla Libia, essendo materialmente commesse soprattutto da persone appartenenti alla guardia costiera e alla guardia di confine o dai dipendenti del Dipartimento per il contrasto all’immigra-zione clandestina (Department to Counter Illegal Migration – DCIM) del Ministero degli Interni libico, cui è affidata la gestione dei centri di accoglienza 53 . Gli ufficiali 49 Per la configurazione di una norma di diritto internazionale generale che vieta di compiere gross violations dei diritti umani e per la specificazione dei caratteri di gravità e di sistematicità delle violazioni ai fini dell’invocazione della suddetta norma, v. il par. 30 della parte I della Dichiarazione e del Program-ma d’azione di Vienna, adottati il 25 giugno 1993 dalla Conferenza mondiale sui diritti umani, peraltro ripreso dall’Assemblea generale ONU nella risoluzione n. 60/147 del 16 dicembre 2005, Basic Principles and Guidelines on the Right to a Remedy and Reparation for Victims of Gross Violations of Internatio-nal Human Rights Law and Serious Violations of International Humanitarian Law . In dottrina, v. L.F. D󰁡󰁭󰁲󰁯󰁳󰁣󰁨, Gross and Systematic Human Rights Violations , in Max Planck Encyclopaedia of Public In-ternational Law , febbraio 2011, reperibile online , la quale evidenzia come il divieto di commettere gross violations dei diritti umani, pur non riferendosi a un catalogo fisso di specifici diritti, sia contenuto in una norma di diritto internazionale consuetudinario di natura cogente (v. specialmente i paragrafi 10 e 11). 50 Il divieto di schiavitù ha ormai assunto carattere consuetudinario: cfr. F. L󰁥󰁮󰁺󰁥󰁲󰁩󰁮󰁩, La definizione internazionale di schiavitù secondo il Tribunale per la ex Iugoslavia: un caso di osmosi tra consue-tudine e norme convenzionali , in Rivista di diritto internazionale , 2001, p. 1026 ss. Invece, pare più complessa la configurazione di una norma internazionale consuetudinaria sul divieto di tortura, ma v. E. 󰁤󰁥 W󰁥󰁴, The Prohibition of Torture as an International Norm of Jus Cogens and Its Implications for National and Customary Law , in European Journal of International Law , 2004, p. 97 ss., la quale am-bisce a dimostrare come il divieto di tortura sia finanche previsto da una norma internazionale cogente. 51 Si tratta, per esempio, della Convenzione contro la schiavitù del 1926 (poi emendata nel 1953 sotto gli auspici dell’ONU), del Patto ONU sui diritti civili e politici del 1966, della Convenzione ONU contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani e degradanti del 1984, del Protocollo per la prevenzione, la repressione e la punizione del traffico di esseri umani, specialmente donne e bambini del 2000. Sul piano regionale, si ricordano la Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli del 1981 e la Carta araba dei diritti umani del 2004. 52 Il mutamento radicale di Governo verificatosi in Libia a seguito della c.d. Primavera araba può configurare, secondo alcune tesi, un’ipotesi di successione tra Stati (per una sintesi di tali tesi, v. C. F󰁯󰁣󰁡󰁲󰁥󰁬󰁬󰁩, Trattato di diritto internazionale , Torino, 2015, p. 425 ss.). Tuttavia, la “nuova” Libia con-tinua a essere vincolata dagli accordi internazionali sui diritti umani ricordati nella nota precedente, tutti stipulati dal precedente Governo di Gheddafi. Innanzitutto, una volta giunti al potere, gli insorti si erano prontamente espressi nel senso del rispetto degli impegni convenzionali assunti dal destituito Governo ( ivi , p. 429). Inoltre, negli ultimi tempi si registra una generale propensione a favore della continuità dei trattati sui diritti umani, nonostante i mutamenti radicali di regime, in considerazione del loro “carattere speciale” ( ivi , pp. 429-431, anche per ulteriore bibliografia). 53 L’Ufficio dell’Alto commissario ONU per i diritti umani non ha esitato a definire i centri di acco-glienza libici come “centri di detenzione”, sottolineando nello specifico come le condizioni del centro di Mitigia siano “of particular concern, given the horrific reports emerging from them” e come in quello di Surman siano stati registrati episodi di gravi e sistematici abusi sessuali: v. lo Statement by UN High Commissioner for Human Rights . Secondo l’Alto commissario anche la guardia costiera libica “beat, rob and even shoot the migrants they intercept”: v. il parere Returned Migrants Are Being Robbed . In sostanza, l’Alto commissario ha confermato ed esteso le denunce contenute nel rapporto del 13 dicem-bre 2016, Detained and Dehumanised: Report on Human Rights Abuses against Migrants in Libya , elaborato insieme alla Missione delle Nazioni Unite di supporto in Libia (UNSMIL), reperibile online . “Esternalizzazione” delle frontiere in chiave antimigratoria e responsabilità internazionale 425 della guardia costiera che monitora il tratto di mare prospiciente la regione della Tripolitania, operando per conto del Governo di Serraj, sono degli organi statali libici. Pur presumendo che essi agiscano ultra vires nel momento in cui violano i diritti dei migranti, la responsabilità internazionale della Libia non viene meno, specialmente ove si consideri la norma internazionale codificata nell’art. 7 del Progetto del 2001. Lo stesso vale per il personale del DCIM che amministra i centri di accoglienza, che fa appunto capo al Governo di Serraj. Peraltro, parecchi centri di accoglienza sono situati in Tripolitania, in aree poste effettivamente sotto il controllo del Governo di Serraj 54 . Appare problematica soltanto l’imputabilità alla Libia delle violazioni perpe-trate dalle guardie che controllano i confini meridionali. In effetti, tali guardie in massima parte non rispondono né al Governo di Serraj né al Governo ribelle della Cirenaica presieduto da Haftar. Esse sono spesso autonome o svolgono le loro man-sioni per conto dei “sindaci” delle città e dei villaggi del Fezzan. Allo stato corrente, però, non è del tutto chiaro se le guardie che presidiano le frontiere meridionali agiscano nel contesto di veri e propri movimenti insurrezionali o – com’è più pro-babile – nel quadro dell’autonomia “regionale” storicamente assicurata al Fezzan, oggi accentuatasi 55 . Nella prima ipotesi, la condotta illecita di queste guardie non sarebbe imputabile alla Libia, almeno attualmente 56 . Invece, nella seconda più plau-sibile ipotesi, troverebbe forse applicazione l’art. 9 del Progetto del 2001, che per-metterebbe di imputare anche la condotta illecita di tali guardie alla Libia. Secondo l’art. 9, il comportamento di una persona o di un gruppo di persone è considerato come atto di uno Stato se quella persona o quel gruppo di persone di fatto svolge delle prerogative di governo in assenza delle autorità ufficiali e in circostanze tali da richiedere l’esercizio di quelle prerogative. Nel caso di specie, la condotta illecita delle guardie che monitorano i confini libici meridionali pare collegata ad atti propri del potere esecutivo (il presidio dei confini nazionali, appunto), che è necessario porre in essere, anche solo per ragioni di ordine pubblico e sicurezza, in un contesto in cui il governo centrale è chiaramente assente 57 . 54 La creazione dei centri di accoglienza è prevista dalla legge di riorganizzazione delle strutture del Ministero degli Interni (Decree n. 145/2012) e perfezionata dalla legge istitutiva del DCIM (Decree n. 386/2014), entrambe reperibili online . La mappa dei circa trentatré centri di accoglienza esistenti in Libia è invece aggiornata dall’OIM ed è reperibile online . 55 Il Governo di Gheddafi aveva sempre concesso una certa autonomia alla popolazione del Fezzan. Attualmente, anche se le guardie che presidiano i confini libici meridionali sono autonome sia dal Gover-no di Serraj sia dal Governo di Haftar, non è facile stabilire se esse in effetti operino per conto di gruppi ribelli eventualmente esistenti nel Fezzan: v. Nel Fezzan dimenticato si gioca la stabilità libica , in Il Manifesto , 20 settembre 2016; How Libya’s Fezzan Became Europe’s New Border , 31 luglio 2017; Libia. Minniti alle prese con l’immigrazione, “le tribù del Sud elemento di forza di una guardia di frontiera coordinata” , 17 settembre 2017. In ogni caso, il Ministero degli Interni italiano ha associato i “sindaci” della Libia meridionale alle trattative che hanno condotto al Memorandum del 2 febbraio 2017, conti-nuando poi a incontrarli periodicamente a Roma. Dal canto loro, i “sindaci” si sono impegnati a rispet-tare un accordo internazionale firmato dal Capo del Governo libico centrale, facendo così intendere di non identificarsi come ribelli. Sul punto, v. anche Amnesty International, Libya’s Dark Web , pp. 49-50. 56 Se nel Fezzan fosse in atto un’insurrezione e se i ribelli riuscissero a costituire lì un nuovo Stato, secondo l’art. 10, par. 2, del Progetto del 2001, ogni condotta illecita del movimento insurrezionale sa-rebbe attribuibile al nuovo Stato. Se invece la Libia riuscisse a sedare le eventuali forze ribelli operative nel Fezzan, ogni loro azione illecita sarebbe considerata alla stregua della condotta di privati. 57 V. Draft Articles on Responsibility of States , commento all’art. 9, p. 49, paragrafi 1-6. Nel Com-mentario si precisa il rilievo dell’art. 9 rispetto agli illeciti internazionali commessi in parti del territorio di uno Stato che, nel momento considerato, sfuggono al controllo della legittima autorità di governo a Giuseppe Pascale 426 4. L’Italia declina ogni addebito di responsabilità internazionale per le gross violations dei diritti umani subite dai migranti bloccati entro i confini libici e quindi fuori dalla giurisdizione italiana, sottolinea ripetutamente di non aver più effettuato respingimenti verso la Libia dopo la sentenza Hirsi e precisa come i migranti siano trattenuti o ricondotti in territorio libico direttamente dagli stessi organi statali libici. Peraltro, secondo l’Italia, in ragione dell’irregolarità della presenza dei migranti in Libia, quest’ultima avrebbe per certi aspetti anche il diritto di proibirne la libera circolazione sul suo territorio. Con precipuo riferimento all’esternalizzazione delle proprie frontiere in Libia, enfatizzando il pieno sostegno ricevuto dall’UE, l’Italia nega di agevolare così le autorità libiche nel compimento di gravi e sistematiche violazioni dei diritti dei migranti. Anzi, alcuni esponenti del Governo italiano ritengono che il principale strumento di esternalizzazione, cioè il summenzionato Memorandum del 2 febbraio 2017, contribuisca a una maggiore tutela dei diritti dei migranti che si trovano in Libia, dato che l’art. 5 impegna le due Parti contraenti a “interpretare e applicare il Memorandum nel rispetto degli obblighi internazionali e degli accordi sui diritti umani di cui i due Paesi siano parti” 58 . Sebbene le ragioni dell’Italia appaiano a un primo sguardo plausibili, non possono comunque tacersi le critiche mosse da diversi organismi internazionali nei confronti della politica migratoria attuata dall’Italia in collaborazione con la Libia. In parti-colare, nella recente lettera inviata al Ministro degli Interni italiano, il Commissario del Consiglio d’Europa per i diritti umani ha espresso perplessità a proposito degli esiti di tale politica, mostrando preoccupazione specialmente per le condizioni in cui versano i migranti che vengono bloccati in Libia dalla guardia costiera e trasferiti nei centri di accoglienza. Il Commissario si è poi soffermato sul recente intervento causa di situazioni di collasso totale o parziale dello Stato, conseguenti anche a rivoluzioni o conflitti. La Commissione cita il caso Yeager come esempio cui ricondurre la norma contenuta nell’art. 9. Il caso riguardava gli illeciti commessi dai privati che assunsero il controllo dell’aeroporto di Teheran all’indo-mani della rivoluzione khomeinista, quando il nuovo Governo era ancora di fatto assente in quell’area. Nella sentenza resa in questo caso, il Tribunale Iran-USA ha attribuito all’Iran gli illeciti commes-si dalle guardie dell’aeroporto, in quanto queste ultime “at least exercised elements of governmental authority in the absence of official authorities”: v. Tribunale per i reclami tra Iran e USA, Kenneth P. Yeager c. Iran , sentenza del 2 novembre 1987, par. 43. In dottrina, l’esame dell’art. 9 non sembra essere stato finora molto approfondito. 58 La posizione dell’Italia rispetto alle gross violations dei diritti umani subite dai migranti trattenuti in territorio libico è sintetizzata, innanzitutto, nella lettera di risposta del Ministro Minniti al Commis-sario Muižnieks, immediatamente citata nel prosieguo di questo paragrafo (per i riferimenti, v. infra , nota 60). Inoltre, v. la trascrizione del c.d. question time del Ministro alla Camera dei deputati del 15 novembre 2017. Sono comunque numerose le interviste di membri del Governo italiano che rifiutano ogni addebito di responsabilità all’Italia nelle vicende libiche: v. Italian Minister Defends Method That Led to 87% Drop in Migrants from Libya , in The Guardian , 7 settembre 2017; Italy, Going It Alone, Stalls the Flow of Migrants. But at What Cost? , in New York Times , 17 settembre 2017; Italy’s Libyan “Vision” Pays off as Migrant Flows Drop , in Politico , 8 ottobre 2017. È poi interessante l’audizione, davanti alla Commissione LIBE (Libertà civili, giustizia e affari interni) del Parlamento europeo, del Capo di gabinetto del Ministro Minniti, Mario Morcone, il quale ha dichiarato che l’Italia “sta svol-gendo l’azione intelligente di chi vuole fare, di chi vuole investire in quei Paesi, di chi vuole cercare di recuperare diritti per quelle persone”, aggiungendo che l’Italia “non si accontenta di gridare alla luna la propria solidarietà e la denuncia di lesione di diritti”. Egli ha però anche anticipato che l’Italia, con l’ac-cordo e il supporto economico dell’UE, nei prossimi mesi gestirà “un progetto pilota di coordinamento” della guardia di frontiera libica che opera sulla terraferma, mentre entro il 2023 invierà alla guardia costiera libica 285 milioni di finanziamenti provenienti da fondi europei. La trascrizione dell’audizione è reperibile online . “Esternalizzazione” delle frontiere in chiave antimigratoria e responsabilità internazionale 427 delle navi italiane nelle acque territoriali libiche e sul Codice di condotta imposto alle ONG che intendono effettuare operazioni di salvataggio nel Mediterraneo, evi-denziandone le potenziali conseguenze negative ancora per i migranti trattenuti in Libia 59 . Nella sua lettera di risposta, il Ministro ha fornito rassicurazioni formali, che non sembrano però sufficienti a smentire i timori del Commissario 60 . Risultano più dure le dichiarazioni dell’Alto commissario ONU per i diritti umani, il quale ha qualificato come “inumana” la politica italiana di “assistenza” prestata agli organi statali libici impegnati a intercettare i migranti e a condurli e contenerli nei “terrificanti” centri di accoglienza situati in Libia. Peraltro, l’Alto commissario ha esteso le sue critiche all’UE, che appoggia apertamente la politica migratoria italiana e in qualche modo presta anch’essa forme di “assistenza” alle autorità libiche 61 . Vanno nella stessa direzione i documenti diffusi da alcune ONG. È interessante la lettera pubblica di Medici senza frontiere dove, accanto alle violazioni dei diritti umani commesse in Libia, si denuncia la “complicità” degli Stati europei, che nei fatti continuano a praticare un malcelato respingimento dei migranti verso la Libia 62 . Dopo aver reso note le violazioni praticate nei confronti dei migranti dalle autorità libiche, anche il succitato rapporto di Amnesty International delinea le responsabi-lità dell’UE, dell’Italia e degli altri attori internazionali che “assistono strettamente” tali autorità 63 . Il rapporto si focalizza anche sulla cooperazione instaurata tra il Ministero degli Interni italiano e il DCIM del Ministero degli Interni libico, che amministra i centri di accoglienza dei migranti 64 .I documenti fin qui menzionati hanno naturalmente uno scopo di denuncia soprattutto politica. Nondimeno, sul piano del diritto internazionale, fermo restando che la Libia è direttamente responsabile per le gross violations dei diritti umani per-petrate a danno dei migranti bloccati entro i suoi confini, sembra in effetti rilevante anche l’assistenza assicurata dall’Italia e dall’UE alla Libia in esecuzione della politica di esternalizzazione delle frontiere in chiave antimigratoria. Nell’ottica dello Stato di destinazione, tale politica non appare in sé contraria al diritto internazionale, almeno quando è attuata in cooperazione con uno Stato di transito “sicuro” 65 , ossia uno Stato che esamina le domande di asilo ricevute, che 59 Si tratta della lettera già citata nel par. 1; per i riferimenti, v. supra , nota 4. 60 Il Ministro Minniti ha risposto al Commissario Muižnieks con una lettera dell’11 ottobre 2017, consultabile sul sito del Ministero degli Interni e su quello della Rappresentanza permanente d’Italia presso il Consiglio d’Europa. In essa si legge che “l’Italia non sottovaluta affatto il tema del rispetto dei diritti umani in Libia e, anzi, lo considera cruciale, al punto da farne una componente essenziale della complessiva strategia sviluppata dal Governo”. 61 V. i documenti pubblicati dall’Ufficio dell’Alto commissario già menzionati supra , nota 41. Nel testo è in particolare richiamata una parte del comunicato UN Human Rights Chief: Suffering of Mi-grants in Libya . 62 V. il documento Libya: Open Letter – European Governments Are Feeding the Business of Suffe-ring , del 6 settermbre 2017, reperibile online . 63 V. Amnesty International, Libya’s Dark Web , specialmente p. 6, dove si legge che “the European Union, its member States – and Italy in particular – have pursued their own goal of restricting the flow of refugees and migrants across the Mediterranean, with little thought, or seeming care, for the conse-quences for those trapped in Libya as a result”. 64 Ivi , soprattutto p. 7. 65 Anche F. 󰁤󰁥 V󰁩󰁴󰁴󰁯󰁲, Respingimenti in mare , cit., p. 193 ss.; F. 󰁤󰁥 V󰁩󰁴󰁴󰁯󰁲, Il diritto di traversare il Mediterraneo … o quantomeno di provarci , in Diritti umani e diritto internazionale , 2014, p. 63 Giuseppe Pascale 428 non viola l’obbligo di non-refoulement e che rispetta i diritti dei migranti 66 . Senza dubbio la Libia non possiede tali requisiti. Anzi, come già illustrato, è del tutto evi-dente che i migranti bloccati in Libia subiscono delle gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani, perpetrate da organi statali libici. Inoltre, l’ordinamento libico non riconosce il diritto di asilo e qualifica l’ingresso e il soggiorno irregolari come reati punibili con la detenzione 67 . In più, la Libia non aderisce alla Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati. D’altronde, già nella sentenza Hirsi , accertando la responsabilità dell’Italia per violazione dell’obbligo di non-refoule-ment , la Corte EDU aveva qualificato la Libia come uno Stato non “sicuro” 68 .Prestando assistenza alla Libia allo scopo di attuare l’esternalizzazione delle proprie frontiere, l’Italia e l’UE cooperano con uno Stato non “sicuro” e quindi facilitano le autorità di quello Stato nella realizzazione delle gravi e sistematiche violazioni dei diritti dei migranti. Per chiarire dal punto di vista del diritto interna-zionale il quadro così delineato, occorre adesso volgere l’attenzione alle norme sulla responsabilità internazionale di uno Stato o di un’organizzazione internazionale per complicità nell’altrui illecito 69 . 5. Nel diritto penale dei principali ordinamenti interni, l’istituto della complicità indica in genere una forma di partecipazione o di concorso nell’azione criminosa o colpevole di altri. In linea di principio, l’atto del complice non costituisce in sé un reato ma produce conseguenze penali se e in quanto è connesso all’altrui reato 70 . Nei Progetti del 2001 e del 2011, la ratio della complicità è posta, mutatis mutan-dis , alla base della responsabilità di uno Stato o di un’organizzazione internazionale per gli atti di aiuto o assistenza che, pur essendo leciti, agevolano la realizzazione di ss., p. 76 ss., si sofferma sulla conformità della politica di esternalizzazione delle frontiere al diritto internazionale, distinguendo la posizione dello Stato di destinazione da quella dello Stato di transito. Per quest’ultimo, secondo l’A., tale politica si sostanzia di fatto nella limitazione del diritto di ogni individuo di lasciare qualsiasi Paese, incluso il proprio, garantito da molte norme internazionali, tra cui soprattutto l’art. 12 del Patto ONU sui diritti civili e politici. Pertanto, perlomeno la condotta dello Stato di transito, “sicuro” o meno, sarebbe contraria al diritto internazionale, rendendo l’esternalizzazione delle frontiere in chiave antimigratoria una pratica illecita. 66 Per una più precisa nozione di Stato “sicuro”, v. i documenti dell’EASO, l’Agenzia dell’UE istituita allo scopo di fornire agli Stati membri informazioni utili a tale qualificazione. In dottrina, v. per tutti G. C󰁥󰁬󰁬󰁡󰁭󰁡󰁲󰁥, In tema di “Paese sicuro” nel sistema europeo di asilo , in E. T󰁲󰁩󰁧󰁧󰁩󰁡󰁮󰁩 et al . (a cura di), Dialoghi con Ugo Villani , I, Bari, 2017, p. 417 ss. 67 V. la legge che disciplina l’uscita, l’ingresso e la residenza dei cittadini stranieri in Libia (Decree n. 6/1987) del 20 giugno 1987, ancora in vigore e reperibile online , anche in inglese. 68 Sentenza Hirsi , paragrafi 36 ss., 97 ss., specialmente 127 ss. 69 Il termine “complicità” naturalmente definisce un istituto proprio del diritto interno e, per molti versi, non si presta a essere impiegato nel diritto internazionale, con riferimento agli Stati. Al più, di “complicità” potrebbe parlarsi nel diritto internazionale penale. A ogni modo, tale termine è stato ormai trasposto anche nel diritto della responsabilità internazionale, tanto da essere impiegato da quasi tutti gli autori che si sono occupati del tema dell’assistenza nell’illecito internazionale, finanche nei titoli di alcune monografie di seguito citate. Per tali motivi, oltre che per opportunità di scorrevolezza della trattazione, il termine “complicità” verrà utilizzato anche in questa sede. Per la differente accezione del termine “complicità” nel diritto della responsabilità internazionale e nel diritto internazionale penale, v. infra , nota 105. 70 Cfr. J. G󰁡󰁲󰁤󰁮󰁥󰁲, Complicity and Causality , in Criminal Law and Philosophy , 2007, p. 127 ss., p. 132, e M. J󰁡󰁣󰁫󰁳󰁯󰁮, Complicity in International Law , Oxford, 2015, pp. 10-14. Nel diritto italiano, v. G. F󰁩󰁡󰁮󰁤󰁡󰁣󰁡, E. M󰁵󰁳󰁣󰁯, Diritto penale. Parte generale , Bologna, 2010, rist. 2014, VI ed., p. 501 ss. “Esternalizzazione” delle frontiere in chiave antimigratoria e responsabilità internazionale 429 un illecito da parte di un altro Stato o di un’altra organizzazione 71 . In questo modo, la responsabilità per complicità viene differenziata dalla corresponsabilità, cioè la concomitante responsabilità di due o più Stati e/o organizzazioni internazionali nella commissione del medesimo illecito. Infatti, nelle situazioni di corresponsabilità l’atto del corresponsabile è già in sé illecito 72 . La responsabilità per complicità è quindi “derivativa” rispetto alla responsabilità “principale” dell’autore dell’illecito, mentre la corresponsabilità è parimenti “principale”. Le norme sulla responsabilità internazionale dello Stato per complicità sono inserite nel cap. IV del Progetto del 2001 (articoli 16-19). L’art. 19 contiene una disposizione di chiusura, secondo cui la responsabilità “principale” dello Stato autore dell’illecito rimane impregiudicata in caso di assistenza prestata da altri Stati. L’art. 18 è dedicato alla circostanza della coercizione di uno Stato nei confronti di un altro per la realizzazione di un illecito e non è chiaramente applicabile alla posi-zione dell’Italia in relazione alle gross violations dei diritti dei migranti perpetrate in Libia. L’art. 17 si occupa del caso in cui uno Stato impartisca direttive a un altro per la commissione di un illecito. Se dietro l’attività di formazione degli organi statali libici svolta dall’Italia si celassero delle direttive riguardanti direttamente la gestione dei migranti che ambiscono a sbarcare sulle coste italiane, potrebbe azzardarsi l’applicabilità nel caso di specie dell’art. 17. Tuttavia, allo stato corrente, risulta assai difficile sostenere che tali direttive esistano e, ancor più, che esse indi-chino alla Libia di violare in maniera grave e sistematica i diritti dei migranti ivi trattenuti. Nella situazione in esame è invece applicabile l’art. 16, relativo all’aiuto o all’assistenza prestati da uno Stato a un altro Stato per la commissione di un atto internazionalmente illecito da parte di quest’ultimo 73 . L’art. 16 recita: “[a] State which aids or assists another State in the commission of an internationally wrongful act by the latter is internationally responsible for doing so if: a) that State does so with knowledge of the circumstances of the internationally wrongful act; and b) the act would be internationally wrongful if committed by that State” 74 .L’art. 16 si basa su un progetto di disposizione presentato per la prima volta dal Relatore speciale Ago nel suo settimo rapporto con l’ambizione di trasporre l’istituto della complicità nel diritto della responsabilità internazionale 75 , ancorché 71 V. Draft Articles on Responsibility of States , introduzione al cap. IV, pp. 64-65. 72 L’art. 47 del Progetto del 2001 riguarda la corresponsabilità. Nei fatti, non è certamente semplice tracciare la differenza tra la responsabilità per complicità e la corresponsabilità. In proposito, v. M.L. P󰁡󰁤󰁥󰁬󰁬󰁥󰁴󰁴󰁩, Pluralità di Stati nel fatto illecito internazionale , Milano, 1990, pp. 70 ss., 147 ss., e più recentemente V. L󰁡󰁮󰁯󰁶󰁯󰁹, Complicity in an International Wrongful Act , in A. N󰁯󰁬󰁬󰁫󰁡󰁥󰁭󰁰󰁥󰁲, I. P󰁬󰁡-󰁫󰁯󰁫󰁥󰁦󰁡󰁬󰁯󰁳 (eds.), Principles of Shared Responsibility in International Law. An Appraisal of the State of the Art , Cambridge, 2014, p. 134 ss., specialmente p. 144. 73 L’art. 16 del Progetto del 2001 è esattamente rubricato “Aid or Assistance in the Commission of an Internationally Wrongful Act”. 74 Il regime previsto dall’art. 16 del Progetto del 2001 ha naturalmente carattere generale e si applica in via residuale rispetto alle specifiche norme convenzionali, che impongono agli Stati parti il divieto di prestare assistenza ad altri Stati parti in certe circostanze: cfr. ampiamente H.P. A󰁵󰁳󰁴, Complicity and the Law of State Responsibility , Cambridge, 2011, p. 376 ss. 75 Si trattava dell’allora art. 25, rubricato “Complicity of a State in the Internationally Wrongful Act of Another State”: v. R. A󰁧󰁯, Seventh Report on State Responsibility , in Yearbook of the International Law Commission , 1978, I, p. 60, per il testo dell’articolo proposto, e pp. 53-60, per il relativo commento. Suggerendo di inserire questa disposizione nel Progetto di articoli sulla responsabilità internazionale dello Stato, Ago mutò l’impostazione che aveva dato alla trattazione della questione nel 1939, quando Giuseppe Pascale 430 in un quadro di sviluppo progressivo della materia 76 . In seno alla CDI sorsero però dei dubbi sulla configurabilità di forme di complicità in senso proprio nel diritto internazionale 77 . Allora, in luogo del termine “complicità”, si preferì utilizzare l’espressione “aiuto o assistenza” 78 , poi mantenuta nell’attuale art. 16 dal Relatore speciale Crawford 79 .Secondo il Commentario della CDI, l’art. 16 potrebbe applicarsi al caso in cui uno Stato mettesse le proprie basi militari a disposizione di un altro Stato che com-pie raid aerei contro un terzo Stato in violazione del diritto internazionale 80 . Allo stesso modo, l’art. 16 dovrebbe probabilmente venire in rilievo ogniqualvolta lo Stato territoriale facilitasse gli agenti di un altro Stato nel rapimento di cittadini di uno Stato terzo, come accade nella pratica delle c.d. extraordinary renditions 81 . In aveva scritto: “ce qui paraît inconcevable en droit international, c’est toute forme de complicité, de participation, ou de provocation au délit” (R. A󰁧󰁯, Le délit international , in Recueil des Cours , 1939-II, 68, p. 415 ss., p. 523). 76 V. Yearbook of the International Law Commission , 1978, I, p. 240. 77 Ivi , II, pp. 98-105. Sull’uso del termine “complicità” nel diritto della responsabilità internazionale, v. infra , nota 105. 78 Come si vedrà meglio tra breve, nell’attuale art. 16 del Progetto del 2001, corrispondente all’art. 25 in origine proposto da Ago, non compare il termine “complicità”, ma continua a essere utilizzata l’espressione “aiuto o assistenza”. Oltre che per risolvere i dubbi in origine espressi dalla CDI, si po-trebbe ritenere che tale espressione fosse volta a codificare due forme distinte di connessione dell’atto di uno Stato con l’altrui illecito. L’“assistenza” potrebbe quindi indicare una partecipazione più intensa e complessa dell’“aiuto” nel compimento dell’altrui illecito. Tuttavia, non si trova alcuna traccia di questa ipotetica differenza né nei lavori della CDI né nelle posizioni espresse dagli Stati davanti alla stessa CDI o nel corso dei dibattiti in seno all’Assemblea generale ONU. Pertanto, è presumibile che i due termini siano impiegati come sinonimi, in maniera quasi pleonastica o perifrastica. L’espressione “aiuto o assistenza” è presente anche nell’art. 41, par. 2, del Progetto del 2001, che impone agli Stati di non riconoscere come legittima una situazione creata da un altro Stato attraverso una violazione grave di norme imperative del diritto internazionale generale e di non prestare aiuto o assistenza nel mante-nere tale situazione. Sebbene tale disposizione attenga alle conseguenze dell’illecito e non sia pertanto in questa sede esaminata, è comunque interessante notare come neanche nel commento all’art. 41 ci si soffermi sull’eventuale differenza tra i due termini: v. Draft Articles on Responsibility of States , p. 115, paragrafi 11-12. 79 Dopo il dibattito in seno alla CDI, l’art. 25 presentato da Ago venne rinumerato come art. 27 e intitolato “Aid or Assistance by a State to Another State for the Commission of an Internationally Wrongful Act”. L’art. 27 fu mantenuto nel Progetto poi approvato in prima lettura nel 1996. Nella sua formulazione finale, esso stabiliva dei requisiti rigorosi allo scopo di dimostrare la responsabilità dello Stato assistente: bisognava accertare sia l’intenzionalità della condotta di tale Stato sia il carattere essenziale della sua assistenza per la commissione dell’illecito da parte dello Stato assistito. L’art. 27, però, ammetteva che la responsabilità dello Stato assistente potesse sorgere anche per l’assistenza pre-stata nella violazione di un obbligo vincolante esclusivamente lo Stato assistito. Per il testo dell’art. 27, v. Yearbook of the International Law Commission , 1978, II, p. 99; per un commento, v. B. G󰁲󰁡󰁥󰁦󰁲󰁡󰁴󰁨, Complicity in the Law of International Responsibility , in Revue belge de droit international , 1996, p. 370 ss. In vista dell’approvazione del Progetto in seconda lettura nel 2001, l’art. 27 fu rinumerato come art. 16, nuovamente rubricato “Aid or Assistance in the Commission of an Internationally Wrongful Act” e in gran parte modificato nel contenuto: v. J. C󰁲󰁡󰁷󰁦󰁯󰁲󰁤, Second Report on State Responsibility , in Yearbook of the International Law Commission , 1999, II, pp. 49-51, 54. Per un confronto tra l’art. 16 del Progetto del 2001 e l’art. 27 del Progetto del 1996, v. N. S󰁣󰁨󰁲󰁩󰁪󰁶󰁥󰁲, Regarding “Complicity in the Law of International Responsibility” from Bernhard Graefrath (1996-II): The Evolution of Complicity in International Law , in Revue belge de droit international , 2015, p. 444 ss. 80 V. Draft Articles on Responsibility of States , commento all’art. 16, pp. 66-67, par. 8. 81 L’esempio delle c.d. extraordinary renditions è valorizzato con riferimento all’art. 16 del Progetto del 2001 da P. P󰁵󰁳󰁴󰁯󰁲󰁩󰁮󰁯, Responsabilità internazionale degli Stati , in Enciclopedia del diritto, An- “Esternalizzazione” delle frontiere in chiave antimigratoria e responsabilità internazionale 431 queste circostanze, lo Stato che concede le basi militari e lo Stato territoriale sareb-bero responsabili per complicità o, più precisamente, secondo il dettato dell’art. 16, per aver aiutato o assistito lo Stato autore dell’illecito. Dal punto di vista materiale, in base a quanto si legge nel Commentario, si può supporre che la responsabilità internazionale per complicità sorga per qualsiasi tipo di assistenza: commerciale, finanziaria, logistica, militare, politica 82 . È invece incerto se tale responsabilità possa essere invocata anche con riferimento a forme di aiuto o di assistenza che si sostanzino in una omissione 83 . Il Progetto del 2011 si occupa della responsabilità internazionale per complicità negli articoli 14 e 58. L’art. 14 tratta della responsabilità internazionale dell’orga-nizzazione internazionale che aiuta o assiste uno Stato o un’altra organizzazione nella commissione di un illecito 84 . L’art. 58 prevede invece la responsabilità inter-nazionale dello Stato (membro o non membro) che aiuta o assiste un’organizzazione nella realizzazione di un illecito, fermo restando che gli atti posti in essere da uno Stato ai sensi del diritto dell’organizzazione di cui è membro non conducono alla sua responsabilità internazionale per complicità 85 . Entrambi gli articoli sono formulati sulla falsariga dell’art. 16 del Progetto del 2001. La scarsa prassi inerente alla responsabilità internazionale per assistenza pre-stata da (o a favore di) una organizzazione internazionale ha indotto la CDI a non operare delle differenziazioni sostanziali nella formulazione degli articoli 14 e 58 nali , VII, 2014, p. 908 ss., p. 915. In proposito, cfr. anche la sentenza della Corte EDU [GC] del 13 dicembre 2012, El-Masri c. Ex Repubblica Iugoslava di Macedonia , par. 154 ss. 82 Cfr. E. 󰁤󰁥 W󰁥󰁴, Complicity in the Violations of Human Rights and Humanitarian Law by Incumbent Governments through Direct Military Assistance on Request , in corso di pubblicazione in International and Comparative Law Quarterly , 2018, al momento reperibile online , p. 1 ss., p. 3. 83 Sul problema della configurabilità della responsabilità internazionale per complicità rispetto ad atti omissivi, v. A. A. D. B󰁲󰁯󰁷󰁮, To Complicity…and Beyond! Passive Assistance and Positive Obligations in International Law , in Hague Yearbook of International Law , 2014, p. 133 ss., che ipotizza anche l’ul-teriore e diversa nozione di responsabilità internazionale per complicità derivante da inazione. In propo-sito, la CDI tace. Invece, O. C󰁯󰁲󰁴󰁥󰁮, P. K󰁬󰁥󰁩󰁮, The Limits of Complicity as a Ground for Responsibi-lity: Lessons Learned from the Corfu Channel Case , in K. B󰁡󰁮󰁮󰁥󰁬󰁩󰁥󰁲, T. C󰁨󰁲󰁩󰁳󰁴󰁡󰁫󰁩󰁳, S. H󰁥󰁡󰁴󰁨󰁣󰁯󰁴󰁥 (eds.), The ICJ and the Evolution of International Law , London, 2011, p. 314 ss., richiamando pure la risalente sentenza resa dalla Corte internazionale di giustizia nel caso del Canale di Corfù , sostengono che da un atto omissivo non derivi alcuna forma di responsabilità per complicità, poiché situazioni del genere condurrebbero più che altro alla violazione di obblighi di due diligence . 84 Inserito in apertura del cap. IV del Progetto del 2011, intitolato “Responsibility of an International Organization in Connection with the Act of a State or Another International Organization”, l’art. 14 dispone: “[a]n international organization which aids or assists a State or another international organiza-tion in the commission of an internationally wrongful act by the State or the latter organization is inter-nationally responsible for doing so if: (a) the organization does so with knowledge of the circumstances of the internationally wrongful act; and (b) the act would be internationally wrongful if committed by that organization”. 85 Collocato all’inizio del cap. V, rubricato “Responsibility of a State in Connection with the Con-duct of an International Organization”, l’art. 58 del Progetto del 2011 prevede, al par. 1, che “[a] State which aids or assists an international organization in the commission of an internationally wrongful act by the latter is internationally responsible for doing so if: (a) the State does so with knowledge of the circumstances of the internationally wrongful act; and (b) the act would be internationally wrongful if committed by that State” e precisa, al par. 2, che “[a]n act by a State member of an international orga-nization done in accordance with the rules of the organization does not as such engage the international responsibility of that State under the terms of this article”. Giuseppe Pascale 432 del Progetto del 2011 rispetto a quella dell’art. 16 del Progetto del 2001 86 . Anzi, i requisiti e i caratteri della responsabilità internazionale per complicità individuati nell’art. 16 del Progetto del 2001 sono riportati in maniera pressoché identica negli articoli 14 e 58 del Progetto del 2011. Pertanto, il discorso svolto nel paragrafo seguente sui requisiti e sui caratteri della responsabilità degli Stati per complicità varrà anche a proposito della responsabilità per complicità delle (o a favore delle) organizzazioni internazionali. 6. Tra i requisiti e i caratteri che qualificano la responsabilità internazionale per complicità, rileva preliminarmente la connessione tra l’atto lecito dello Stato assistente e l’atto illecito dello Stato assistito. Tale connessione deve essere intesa nel senso di una “agevolazione”. Infatti, dalla formulazione dell’art. 16 si desume che, affinché sia configurabile la responsabilità per complicità, è necessario che uno Stato con la sua assistenza faciliti un altro Stato nella realizzazione di un illecito. In altre parole, non occorre che l’assistenza prestata sia indispensabile per il com-pimento dell’illecito, presumendosi che lo Stato assistito sia o sarebbe comunque in grado di commettere l’illecito. Il Commentario della CDI evidenzia il punto, rimarcando che l’assistenza concessa deve contribuire in modo sufficientemente significativo all’attuazione dell’illecito e specificando che “there is no requirement that the aid or assistance should have been essential to the performance of the inter-nationally wrongful act” 87 . A norma della lett. a) dell’art. 16, è responsabile lo Stato che fornisce assistenza a un altro Stato nella consapevolezza di agevolarne così il comportamento illecito. L’interpretazione del requisito della consapevolezza non è chiara, non essendo defi-nito il livello di specificità richiesta. Nella sentenza resa nel caso dell’ Applicazione della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio ( Bosnia-Erzegovina c. Serbia e Montenegro ), la Corte internazionale di giustizia (CIG) ha applicato l’elemento della consapevolezza in modo rigoroso, come “piena consapevolezza” 88 . Essa ha però valutato tale elemento in relazione al caso di specie, quindi rispetto all’assistenza prestata nella commissione del crimine di genocidio, 86 V. Draft Articles on Responsibility of International Organizations , commento introduttivo al cap. IV, p. 35, par. 1, e commento all’art. 14, p. 36, par. 1. 87 V. Draft Articles on Responsibility of States , commento all’art. 16, p. 66, par. 5. Peraltro, in seno alla CDI, rispetto alla corrispondente disposizione inserita nel Progetto del 1996, era stato osservato che la condotta di uno Stato che si fosse rivelata essenziale per il compimento dell’illecito di un altro Stato non sarebbe dovuta rientrare nella nozione di “aiuto o assistenza”, perché avrebbe probabilmente implicato essa stessa un illecito. In proposito, v. soprattutto la dichiarazione di Ushakov, in Yearbook of International Law Commission , 1978, I, p. 239, par. 11: “while participation must necessarily be of an active and direct character, [complicity] must not be too direct, because then the participant (…) becomes a co-author of the offence, and that goes beyond complicity”. Come già accennato supra , nota 72, è notevolmente complesso il problema inerente all’individuazione di una soglia oltre la quale l’atto di uno Stato non rappresenta più una forma di assistenza nella commissione dell’illecito altrui ma costituisce esso stesso un illecito, delineando così uno scenario di corresponsabilità di due Stati, e non più di responsabilità di uno Stato per complicità nell’illecito di un altro Stato. Per un tentativo di chiarimento della questione, v. M.L. P󰁡󰁤󰁥󰁬󰁬󰁥󰁴󰁴󰁩, op. cit. , p. 67 ss.; S. T󰁡󰁬󰁭󰁯󰁮, A Plurality of Respon-sible Actors. International Responsibility for Acts of the Coalition Provisional Authority in Iraq , in P. S󰁨󰁩󰁮󰁥󰁲, A. W󰁩󰁬󰁬󰁩󰁡󰁭󰁳 (eds.), The Iraq War and International Law , Oxford, 2008, p. 185 ss.; H.P. A󰁵󰁳󰁴, op. cit. , pp. 219-225. 88 Sentenza del 26 febbraio 2007, par. 432. “Esternalizzazione” delle frontiere in chiave antimigratoria e responsabilità internazionale 433 i cui caratteri di illecito internazionale sono evidentemente peculiari. In situazioni meno specifiche, potrebbe apparire corretto il riscontro del requisito della consapevo-lezza anche quando lo Stato assistente avrebbe dovuto essere ragionevolmente con-sapevole di facilitare con la sua assistenza la condotta illecita dello Stato assistito 89 . In base alla lett. b) dell’art. 16, la responsabilità internazionale per complicità può sorgere soltanto in relazione a condotte illecite concernenti la violazione di norme internazionali vincolanti sia lo Stato assistito sia lo Stato assistente. Si tratta del requisito della c.d. opposability 90 .Tra gli elementi che determinano la responsabilità internazionale per complicità ex art. 16 del Progetto del 2001, oltre a quelli appena ricordati, la CDI ne aggiunge un altro nel Commentario: l’intenzionalità. Nello specifico, essa prevede che, ai fini dell’applicabilità dell’art. 16, “the aid or assistance must be given with a view to facilitating the commission of the wrongful act”, puntualizzando di seguito che “a State is not responsible for aid or assistance under Article 16 unless the relevant State organ intended , by the aid or assistance given, to facilitate the occurrence of the wrongful conduct” 91 . Si pone così il problema del valore effettivo dell’intenzio-nalità nella definizione della responsabilità internazionale per complicità 92 . 89 In dottrina, è stato suggerito di accertare questo elemento applicando un test che tenga conto della notorietà della propensione dello Stato assistito a compiere illeciti; dell’esistenza di documenti riguar-danti la pregressa commissione di illeciti da parte dello Stato assistito; degli interessi dello Stato assi-stente nella regione in cui lo Stato assistito commette l’illecito; della prossimità geografica tra lo Stato assistente e la regione in cui lo Stato assistito realizza l’illecito; della mancata conclusione dell’illecito dello Stato assistito previamente accertato, che quindi è ancora in corso di svolgimento quando l’altro Stato presta la propria assistenza: così V. L󰁡󰁮󰁯󰁶󰁯󰁹, op. cit ., pp. 155-156. 90 Per esempio, non potrebbe invocarsi la responsabilità per complicità di uno Stato che assistesse un altro Stato nella violazione di un obbligo bilaterale contratto da questo secondo Stato con uno Stato terzo, dal momento che l’obbligo in questione sarebbe inesistente per lo Stato assistente. La proposta di inserire il requisito della c.d. opposability nell’art. 16, in origine avanzata dalla Svezia per conto del gruppo dei Paesi scandinavi (v. Yearbook of the International Law Commission , 1981, II, parte 1, p. 77), è stata in seguito accolta dal Relatore speciale Crawford, che ne ha ricollegato la ratio alla regola pacta tertiis neque nocent neque iuvant , codificata nell’art. 34 della Convenzione di Vienna del 1969 sul diritto dei trattati (v. Second Report , p. 51). Alcuni autori ritengono che tale requisito sia superfluo o ne mettono in dubbio l’appartenenza alla norma consuetudinaria sulla responsabilità internazionale per complicità. Essi reputano inoltre che l’inclusione della c.d. opposability nell’art. 16 finisca con l’offrire perlopiù una clausola di salvaguardia, favorevole in molte circostanze allo Stato complice. Così C. G󰁵󰁴󰁩󰃩󰁲󰁲󰁥󰁺-E󰁳󰁰󰁡󰁤󰁡, El hecho illìcito internacional , Madrid, 2005, pp. 215-220; H.P. A󰁵󰁳󰁴, op. cit. , pp. 265-266; V. L󰁡󰁮󰁯󰁶󰁯󰁹, op. cit ., pp. 158-159. In senso analogo, v. la dichiarazione di Economides, in Yearbook of International Law Commission , 1999, I, p. 68, par. 5. 91 V. Draft Articles on Responsibility of States , commento all’art. 16, p. 66, par. 3, per l’enumerazione dei tre requisiti, e par. 5, per la specifica indicazione dell’elemento dell’intenzionalità e per la citazione; il corsivo è aggiunto. 92 Una parte della dottrina si è interrogata sull’effettivo valore dell’intenzionalità nella definizione del-la responsabilità internazionale per complicità. Secondo J. Q󰁵󰁩󰁧󰁬󰁥󰁹, Complicity in International Law: A New Direction in the Law of State Responsibility , in British Year Book of International Law , 1986, p. 77 ss., p. 113, non esiste una reale differenza tra intenzionalità e consapevolezza ai fini della confi-gurazione della responsabilità per complicità nel diritto internazionale. Del resto, lo stesso Ago aveva dichiarato che la complicità “necessarily presupposes intent to collaborate (…) and hence knowledge of the specific purpose”: v. Seventh Report , par. 72. Invece, B. G󰁲󰁡󰁥󰁦󰁲󰁡󰁴󰁨, op. cit ., p. 378, ritiene che, per la definizione della responsabilità internazionale per complicità, l’intenzionalità debba essere accertata autonomamente dalla consapevolezza, con l’eccezione del caso in cui uno Stato assista un altro Stato nel compimento di violazioni del diritto internazionale che interessano l’intera comunità internazio-nale. In maniera pressoché simile, H.P. A󰁵󰁳󰁴, op. cit. , pp. 235-249, suggerisce un’interpretazione non Giuseppe Pascale 434 Il riferimento all’intenzionalità nel Commentario, nonostante l’assenza di un’e-spressa indicazione di tale requisito nel testo dell’art. 16, rappresenta probabilmente una soluzione di compromesso raggiunta in conseguenza delle diverse posizioni espresse in proposito dagli Stati in seno ai lavori di codificazione delle norme sulla responsabilità internazionale 93 . Infatti, mentre il Regno Unito e gli USA ritenevano che occorresse menzionare l’elemento dell’intenzionalità nel testo dell’art. 16 94 , i Paesi Bassi reputavano più che sufficiente l’indicazione del requisito della consa-pevolezza 95 . Altri Stati, come per esempio la Corea del Sud e la Danimarca, assu-mevano invece delle posizioni più sfumate 96 . Il punto non è stato chiarito neanche negli anni successivi, in occasione dell’elaborazione del Progetto del 2011 sulla responsabilità internazionale delle organizzazioni internazionali. Nel suo ottavo rapporto, il Relatore speciale Gaja ha dichiarato di aver volutamente scelto di non approfondire la questione in esame, nonostante le sollecitazioni ricevute, proprio a causa delle posizioni discordanti degli Stati e delle organizzazioni internazionali 97 . La norma sulla responsabilità internazionale degli Stati per complicità, così come codificata nell’art. 16 del Progetto del 2001, può ritenersi conforme al diritto inter-nazionale generale. Invero, nel corso del processo di elaborazione del Progetto del 2001, un numero non elevato di Stati (tra cui l’Italia) si era espresso a favore della natura consuetudinaria della norma contenuta nell’art. 16 98 . Pertanto, pur riportando l’opinione di tali Stati nel Commentario, la CDI aveva evitato di prendere una posi-zione netta sul punto 99 . Nondimeno, in seguito, la CIG ha dichiarato la corrispon-denza del dettato dell’art. 16 al diritto internazionale consuetudinario nella pronuncia resa nel caso del Genocidio 100 . Benché la CIG non abbia condotto un’attenta rico- rigorosa dell’intenzionalità nel caso di assistenza prestata nella violazione di norme cogenti, ma non rinuncia a considerarla tra i requisiti che qualificano la responsabilità internazionale per complicità; anzi, questo A. attribuisce un peso notevole all’intenzionalità al fine di delineare la responsabilità di uno Stato per complicità in illeciti non riguardanti norme cogenti (v. specialmente p. 249). Pur riferendosi al caso specifico della complicità di uno Stato nella commissione di atti di genocidio, P. P󰁡󰁬󰁣󰁨󰁥󰁴󰁴󰁩, State Responsibility for Complicity in Genocide , in P. G󰁡󰁥󰁴󰁡 (ed.), The UN Genocide Convention – A Com-mentary , Oxford, 2009, p. 380 ss., p. 389, ritiene che la frase “with the view to facilitating” utilizzata dalla CDI nel commento all’art. 16 vada intesa nel senso di richiedere che l’atto di fornire assistenza abbia carattere deliberato. 93 Invece, secondo E. 󰁤󰁥 W󰁥󰁴, Complicity , cit., p. 21, il riferimento all’intenzionalità nel Commen-tario avrebbe lo scopo di riportare la responsabilità per complicità entro confini più certi, evitando che essa sia invocata in maniera eccessivamente ampia. 94 V. Yearbook of International Law Commission , 1998, II, parte 1, p. 129. 95 Ivi , 2001, II, parte 1, p. 52. 96 Ibidem . La Danimarca si è espressa a nome del gruppo dei Paesi scandinavi, comprendente anche Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia. 97 V. Eighth Report on Responsibility of International Organizations , in Yearbook of the Internatio-nal Law Commission , 2011, II, parte 1, pp. 95-96, paragrafi 45-49, specialmente il par. 49, dove Gaja richiama le posizioni contrastanti di Banca mondiale, Cuba e UE. 98 Si tratta di Bulgaria, Cipro, Cecoslovacchia, Cina, Danimarca (per conto del gruppo degli Stati scandinavi), Etiopia, Federazione Russa, Grecia, Italia, Giamaica, Giappone, Mali, Messico, Nigeria, Nuova Zelanda, Romania, Slovenia, Trinidad e Tobago, Tunisia, Ucraina, Venezuela. Cfr. H.P. A󰁵󰁳󰁴, op. cit ., pp. 173-174. 99 V. Draft Articles on Responsibility of States , commento all’art. 16, p. 66, par. 2. 100 Sentenza Genocidio , p. 217, par. 420. Sebbene nel caso di specie fosse chiaramente applicabile l’art. III, lett. e), della Convenzione sulla prevenzione e la repressione del genocidio, prima di verificare la responsabilità della Serbia per complicità nel genocidio perpetrato in Bosnia, la CIG si è soffermata in via generale anche sull’art. 16 del Progetto del 2001. “Esternalizzazione” delle frontiere in chiave antimigratoria e responsabilità internazionale 435 gnizione degli elementi costitutivi della norma consuetudinaria sulla responsabilità internazionale per complicità, le conclusioni cui essa è giunta sono state condivise dalla dottrina che negli anni successivi ha affrontato il tema 101 . La posizione della CIG è stata altresì ripresa dalla c.d. Commissione Mucyo, istituita dal Parlamento del Ruanda per far luce sul coinvolgimento della Francia nel genocidio del 1994. Nel suo rapporto finale, tale Commissione ha tentato di provare la responsabilità interna-zionale della Francia per complicità nel genocidio ruandese, citando anche l’art. 16 quale espressione di una consuetudine internazionale 102 . Di recente, pure l’Austria, il Regno Unito, la Turchia e gli USA hanno richiamato, inter alia , la natura consuetu-dinaria del dettato dell’art. 16 per supporre la responsabilità degli Stati (primi fra tutti l’Iran e la Federazione Russa) che forniscono aiuti alle parti coinvolte nel conflitto siriano per complicità nelle violazioni commesse in tale contesto 103 . Infine, vale la pena rammentare che il Bundesverfassungsgericht tedesco, già nel 2003, aveva rico-nosciuto che la norma contenuta nell’art. 16 ha valore consuetudinario 104 . Quanto al succitato elemento dell’intenzionalità, nel quadro della ricostruzione della norma consuetudinaria sulla responsabilità internazionale per complicità, sem-bra preferibile non tenerne conto. Infatti, nella pronuncia resa nel caso del Genocidio , la CIG ha dichiarato la natura consuetudinaria della disposizione codificata nell’art. 16 senza accennare all’elemento aggiuntivo dell’intenzionalità 105 . Inoltre, la prassi 101 Così G. N󰁯󰁬󰁴󰁥, H.P. A󰁵󰁳󰁴, Equivocal Helpers – Complicit States, Mixed Messages and Interna-tional Law , in International and Comparative Law Quarterly , 2009, p. 1 ss., pp. 7-10; V. L󰁡󰁮󰁯󰁶󰁯󰁹, op. cit ., p. 135; M. J󰁡󰁣󰁫󰁳󰁯󰁮, op. cit ., p. 150 ss.; E. 󰁤󰁥 W󰁥󰁴, Complicity , cit., p. 4. Per una più ampia discussione, v. H.P. A󰁵󰁳󰁴, op. cit ., cap. 4. 102 V. il rapporto finale, del 5 agosto 2008, diffuso dalla Commission nationale indépendante chargée de rassembler les éléments de preuve montrant l’implication de l’État français dans la préparation et l’exécution du génocide perpétré au Rwanda en 1994, istituita dal Parlamento ruandese il 14 aprile 2005, con l. 5/2005, reperibile online . Il rapporto ha avuto risonanza in Francia: v., per esempio, Le Rwanda publie son réquisitoire contre la France , in Le Monde , 6 agosto 2008. In argomento, v. anche F. R󰁥󰁹󰁮󰁴󰁪󰁥󰁮󰁳, Political Governance in Post-Genocide Rwanda , Cambridge, 2013, pp. 148-149. 103 Sulla posizione dell’Austria, v. Austrian Position on Arms Embargo in Syria , in The Guardian , 15 maggio 2013. Con riferimento alle posizioni di Regno Unito e USA, v. UN Doc. S/PV.7777, del 25 settembre 2016, pp. 5-9. Rispetto alla posizione britannica, v. anche Russian Arms Shipment Bound for Syria Foiled by Britain’s Insurers , in The Guardian , 19 giugno 2012, e Boris Johnson: Russian Com- plicity in War Crimes Precludes Syria Talks , ivi , 20 ottobre 2016. Quanto alla posizione della Turchia, v. Turkey Accuses Russia of Supplying Syria with Munitions , ivi , 11 ottobre 2012. V. anche E. 󰁤󰁥 W󰁥󰁴, Complicity , cit., pp. 9-10. 104 Decisione del 5 novembre 2003, caso n. 1506/03, Al-M. , la cui traduzione in inglese è reperibile online . Tale decisione è riportata e commentata da A. N󰁯󰁬󰁬󰁫󰁡󰁥󰁭󰁰󰁥󰁲, Internationally Wrongful Acts in Domestic Courts , in American Journal of International Law , 2007, p. 760 ss., p. 780; M. J󰁡󰁣󰁫󰁳󰁯󰁮, op. cit ., p. 151; E. 󰁤󰁥 W󰁥󰁴, Complicity , cit., p. 4. 105 Sentenza Genocidio , par. 420 ss. La CIG ha poi aggiunto che avrebbe comunque valutato l’e-ventuale complicità della Serbia anche in ragione della sua intenzionalità, precisando però il rilievo dell’intenzionalità alla luce del carattere assai peculiare dell’illecito di genocidio e delle specifiche norme convenzionali applicabili (par. 421). Del resto, l’analisi in seguito condotta per verificare la complicità della Serbia non ha ruotato intorno all’art. 16 del Progetto del 2001 ma all’art. III, lett. e), della Convenzione sulla prevenzione e la repressione del genocidio: un’importante differenza tra le due disposizioni risiede appunto nel rilievo dell’intenzionalità. Alla luce di questa differenza, oltre che di altre, e riprendendo quanto accennato supra , note 69, 77 e 78, sembra che per quel che concerne l’isti-tuto della complicità non vi sia molta coincidenza tra il diritto della responsabilità internazionale (nel cui ambito si dovrebbe quindi utilizzare più propriamente l’espressione “aiuto o assistenza”) e il diritto internazionale penale (nel cui contesto si parla invece di complicità in senso proprio): cfr. A. B󰁵󰁦󰁡󰁬󰁩󰁮󰁩, Giuseppe Pascale 436 in proposito è circoscritta. È stata già sottolineata anche la difficoltà di individuare, almeno in seno ai lavori di codificazione, una propensione della maggior parte degli Stati a favore dell’inclusione dell’intenzionalità tra i requisiti della responsabilità internazionale per complicità. Infine, il rilievo che nel Commentario si conferisce all’intenzionalità potrebbe creare una sorta di contraddizione all’interno dello stesso Commentario, dove, rispetto all’art. 2 del Progetto del 2001, si legge a chiare lettere che “it is only the act of a State that matters, independently of any intention” 106 . Nel Commentario al Progetto del 2011 non si trova invece traccia della posi-zione della CDI sull’eventuale corrispondenza del dettato degli articoli 14 e 58 di tale Progetto al diritto internazionale generale. La natura consuetudinaria delle norme sulla responsabilità internazionale per complicità dello Stato e/o dell’or-ganizzazione internazionale che aiutano o assistono un altro Stato e/o un’altra organizzazione nella realizzazione di un illecito internazionale non è stata neanche oggetto di dibattito in seno alla CDI, verosimilmente a causa dell’assai scarsa prassi in proposito. È dunque presumibile che si sia scelto di inserire gli articoli 14 e 58 nel Progetto del 2011 in un’ottica di sviluppo progressivo del diritto internazionale. 7. Si è osservato che la politica di esternalizzazione delle frontiere elaborata dagli Stati di destinazione allo scopo di contrastare i flussi migratori, condivisibile o meno sui piani politico e morale, potrebbe astrattamente essere considerata lecita ai sensi del diritto internazionale 107 . Nondimeno, nelle particolari circostanze del caso di specie, tale politica configura la responsabilità dell’Italia per complicità nelle gross violations dei diritti umani che la Libia compie a danno dei migranti 108 . Infatti, ricorrono tutti i requisiti e i caratteri individuati nell’art. 16 del Progetto del 2001. Innanzitutto, la condotta in sé lecita dell’Italia è posta in connessione con la condotta illecita della Libia 109 . La piena attuazione della politica di esternalizza-zione delle frontiere dell’Italia in Libia comporta l’invio di aiuti e la prestazione di assistenza da parte della prima nei confronti della seconda. In questo modo, in linea con gli obiettivi di tale politica, l’Italia ottiene che i migranti siano bloccati in Libia. Allo stesso tempo, però, con il suo aiuto e la sua assistenza, l’Italia facilita in maniera significativa – quantunque non essenziale 110 – anche gli organi statali libici La responsabilità internazionale dello Stato per atti di genocidio: un regime in cerca di autonomia , in Diritti umani e diritto internazionale , 2015, p. 571 ss., pp. 574-579. 106 V. Draft Articles on Responsibility of States , commento all’art. 2, p. 36, par. 10. V. L󰁡󰁮󰁯󰁶󰁯󰁹, op. cit ., p. 152, considera tale passaggio del Commentario come premessa e scrive che “construing intent as one of the conditions for responsibility for complicity is at odds with the general framework of inter-national responsibility of States and international organizations”. 107 In proposito, v. supra , parte finale del par. 4. 108 Per le circostanze del caso di specie, v. ancora supra , parte finale del par. 4. Giungono alla medesi-ma conclusione, rispetto non solo all’Italia ma anche all’UE, gli autori di alcuni post di recente apparsi online : v. S. T󰁡󰁬󰁭󰁯󰁮, Brother, Where Art Thou? Libya, Spaces of Violence and the Diffusion of Knowled-ge , in Völkerrechtsblog , 11 ottobre 2017; R. M󰁡󰁣󰁫󰁥󰁮󰁺󰁩󰁥-G󰁲󰁡󰁹 S󰁣󰁯󰁴󰁴, Torture in Libya and Questions of EU Member States Complicity , in EJIL Talk! , 11 gennaio 2018; A. S󰁫󰁯󰁲󰁤󰁡󰁳, A “Blind Spot” in the Migration Debate? International Responsibility of the EU and Its Member States for Cooperating with the Libyan Coastguard and Militias , in EU Immigration and Asylum Law and Policy , 30 gennaio 2018. 109 R. M󰁡󰁣󰁫󰁥󰁮󰁺󰁩󰁥-G󰁲󰁡󰁹 S󰁣󰁯󰁴󰁴, op. cit ., conferma che “there is a sufficient nexus between this ‘aid or assistance’ of EU states and its contribution to torture in Libya”. 110 Sembra infatti ragionevole supporre che la Libia sia nelle condizioni di porre in essere delle viola-zioni gravi e sistematiche dei diritti dei migranti anche senza l’assistenza italiana. “Esternalizzazione” delle frontiere in chiave antimigratoria e responsabilità internazionale 437 che compiono le gravi e sistematiche violazioni dei diritti dei migranti 111 . In primo luogo, l’Italia coopera in varia misura con la guardia costiera e le altre autorità che presidiano i confini libici per agevolare il contenimento dei migranti in Libia 112 . In secondo luogo, l’Italia contribuisce al conseguente internamento dei migranti nei centri di accoglienza gestiti dal DCIM, in quanto la costruzione e amministrazione di tali centri, così come la formazione del personale ivi impiegato, dipendono in parte dalle risorse stanziate dall’Italia 113 . Si è in precedenza illustrato come le gross violations dei diritti umani imputabili alla Libia si verifichino appunto quando le autorità libiche intercettano i migranti nelle aree di confine o in mare e poi all’in-terno dei centri di accoglienza 114 . 111 L’aiuto e l’assistenza offerti dall’Italia alle autorità libiche che violano massicciamente i diritti dei migranti si concretizzano non solo con l’adozione di atti interni (come il Codice di condotta imposto alle ONG), ma anche attraverso le misure di attuazione di accordi o intese (quale appunto il Memoran-dum del 2 febbraio 2017). Come chiarito da V. L󰁡󰁮󰁯󰁶󰁯󰁹, op. cit ., pp. 142-143, “complicity can also originate on the basis of cooperation under less formal arrangements or memoranda of understanding between States or inter-agencies. These may allow for a non-scrutinized exchange of intelligence, ope-rational collaboration, common training, and exchanges of technical equipment that is used, for exam-ple, for the commission of human rights violations by other States”. Nel caso di specie, con riferimento a tutti gli Stati membri dell’UE in generale, e non solo all’Italia, R. M󰁡󰁣󰁫󰁥󰁮󰁺󰁩󰁥-G󰁲󰁡󰁹 S󰁣󰁯󰁴󰁴, op. cit ., precisa che “the ‘aid or assistance’ spoken of is the funding, technical and logistical support given to Libyan border control authorities by EU states”. 112 Per esempio, la succitata missione nelle acque libiche deliberata dal Parlamento italiano in risposta alla richiesta del Governo di Tripoli (v. supra , par. 2) conduce a tale esito. Peraltro, tale missione non sarebbe in linea con l’art. 3, par. 2, della risoluzione dell’Institut de droit international sull’assistenza militare su richiesta, adottata durante la sessione di Rodi del 2011, secondo cui “l’assistance militaire est interdite lorsqu’elle s’exerce en violation (…) des normes généralement reconnues en matière de droits de l’homme”, se si accogliesse l’interpretazione, conforme all’art. 16 del Progetto del 2001, secondo cui è vietato l’intervento militare che si traduca in forme di assistenza nella violazione dei diritti umani da parte dello Stato territoriale: così E. 󰁤󰁥 W󰁥󰁴, Complicity , cit., pp. 1-3. Si può pure ri-cordare il decreto del Ministro degli Esteri italiano n. 4110/47, con cui un finanziamento di 2,5 milioni di euro è stato trasferito dal Fondo per l’Africa al Ministero degli Interni per la riparazione di quattro motovedette da riconsegnare alla guardia costiera libica. Il 14 novembre 2017 l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione ha impugnato davanti al TAR Lazio il suddetto decreto per sviamento di fondi pubblici, ritenendo che il Governo italiano in realtà utilizzi il Fondo per “pagare” la guardia costiera libica e i “sindaci” dei villaggi libici meridionali ai quali è affidata la gestione dei flussi mi-gratori diretti verso l’Italia (v. il sito www.asgi.it). Sono poi significativi i tanti episodi denunciati dalle ONG cui è impedito di prestare effettivo soccorso ai naufraghi individuati nel Canale di Sicilia a causa del Codice di condotta a esse imposto (v. ancora supra , par. 2). Per esempio, il 23 novembre 2017, pur avendo avvistato dei gommoni in difficoltà, la nave Aquarius dell’ONG SOS Méditerranée ha dovuto aspettare quattro ore prima di intervenire, poiché la centrale operativa della guardia costiera italiana aveva imposto che soltanto le motovedette libiche procedessero ai salvataggi. In conseguenza di quanto accaduto, SOS Méditerranée ha accusato l’Italia di fermare o ritardare l’intervento dei mezzi di soc-corso delle ONG per favorire gli interventi della guardia costiera libica, che ha naturalmente riportato i migranti in Libia. In proposito, inter alia , v. La denuncia della ONG: Soccorsi in mare ritardati per dare priorità ai libici, noi costretti a guardare impotenti , in Repubblica , 27 novembre 2017. Denunce simili nei confronti dell’Italia sono state pubblicamente formulate anche da altre ONG, come Sea Watch e Pro Activa Open Arms. 113 A norma dell’art. 2, paragrafi 2 e 3, del Memorandum del 2 febbraio 2017, una parte dell’aiuto finanziario che l’Italia destina alla Libia riguarda l’istituzione o l’adeguamento dei centri di accoglienza per i migranti e la formazione del personale del DCIM ivi impiegato. A proposito del coinvolgimen-to dell’Italia nella rete dei centri di accoglienza libici, v. anche il rapporto di Amnesty International, Libya’s Dark Web , pp. 7, 26-29. 114 V. ampiamente supra , paragrafi 3 e 4. Giuseppe Pascale 438 Anche l’elemento della consapevolezza risulta soddisfatto. Le autorità libiche violano i diritti dei migranti in maniera notoriamente generalizzata e sistematica, come peraltro è confermato dalle inchieste giornalistiche, dalle denunce delle ONG e dai rapporti delle organizzazioni internazionali 115 . È da ritenere che l’Italia sia a conoscenza di tutto ciò da tempo, almeno sin dall’epoca della sentenza Hirsi 116 . Pertanto, l’Italia non può non avere anche la consapevolezza del fatto che l’aiuto e l’assistenza offerti alla Libia per il trattenimento dei migranti o per la costruzione e la gestione dei centri di accoglienza facilitano gli organi statali libici nella commis-sione di gross violations dei diritti dei migranti 117 . Quanto alla c.d. opposability , gli illeciti commessi dalla Libia consistono nella violazione non solo di norme consuetudinarie, come il divieto di praticare la schia-vitù e l’obbligo di non commettere atti di tortura, ma anche di norme convenzionali, che sono parimenti incombenti sull’Italia. È sufficiente ricordare che entrambi gli Stati sono parti della Convenzione del 1926 contro la schiavitù, così come emendata nel 1953 sotto l’egida dell’ONU 118 , del Patto del 1966 sui diritti civili e politici 119 , della Convenzione del 1984 contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inu-mani e degradanti 120 e del Protocollo del 2000 per la prevenzione, la repressione e la punizione del traffico di esseri umani 121 . Infine, non è necessaria alcuna dimostrazione dell’intenzionalità dell’Italia al fine di provarne la responsabilità per complicità nel caso di specie 122 . Come evi-denziato nel paragrafo precedente, l’intenzionalità non si annovera tra gli elementi dell’art. 16 e della corrispondente norma consuetudinaria. 115 V. supra , par. 3. 116 Come già osservato, nella sentenza Hirsi la Corte EDU ha qualificato la Libia come uno Stato non “sicu-ro”: v. supra , par. 4, specialmente la parte corrispondente alla nota 68. La stessa Corte avrebbe potuto andare oltre e almeno menzionare la responsabilità dell’Italia per complicità nelle gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani subite dai migranti in Libia. In particolare, dopo aver accertato la responsabilità “principale” dell’Italia per la violazione, tra l’altro, dell’obbligo di non-refoulement , essa avrebbe potuto perlomeno citare l’ipotesi della responsabilità dell’Italia anche per complicità negli atti di tortura e nei trattamenti inumani e degradanti patiti dai migranti una volta rientrati in Libia. In tal senso, cfr. l’opinione concordante del giudice Pinto de Albuquerque, pp. 12-13. La correlazione tra l’art. 16 e la violazione dell’obbligo di non-refoulement è confermata ed enfatizzata da C.J. T󰁡󰁭󰁳, The Abuse of Executive Powers: What Remedies? , in A. B󰁩󰁡󰁮󰁣󰁨󰁩, A. K󰁥󰁬󰁬󰁥󰁲 (eds.), Counterterrorism: Democracy’s Challenge , Oxford, 2008, p. 313 ss., p. 318. 117 Si potrebbe qui svolgere, mutatis mutandis , un ragionamento analogo a quello séguito dalla Corte EDU nelle sue sentenze riguardanti i casi di estradizione o di espulsione. In tali sentenze, essa accerta la responsabilità dello Stato per il solo fatto di aver consapevolmente esposto un individuo al rischio reale di subire all’estero delle violazioni dei diritti umani. Peraltro, per la valutazione della nozione di rischio reale cui è sottoposto l’individuo da estradare o da espellere, la Corte prende di solito in considerazione soprattutto la situazione generale di rispetto dei diritti umani nel Paese di estradizione o di espulsione e verifica che quest’ultimo sia un Paese “sicuro”. Cfr. le sentenze dell’11 gennaio 2007, Salah Sheekh c. Paesi Bassi , par. 138 ss.; [GC] del 28 febbraio 2008, Saadi c. Italia , par. 126 ss.; del 23 settembre 2010, Iskandarov c. Federazione Russa , par. 127 ss. In proposito, v. P. P󰁵󰁳󰁴󰁯󰁲󰁩󰁮󰁯, Art. 3 , in S. B󰁡󰁲󰁴󰁯󰁬󰁥, P. D󰁥 S󰁥󰁮󰁡, V. Z󰁡󰁧󰁲󰁥󰁢󰁥󰁬󰁳󰁫󰁹 (a cura di), Commentario breve alla Convenzione europea per la salva-guardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali , Padova, 2012, p. 63 ss., pp. 71-73, 84-87, e, per una più ampia discussione, anche M. J󰁡󰁣󰁫󰁳󰁯󰁮, Freeing Soering: The ECHR, State Complicity in Torture and Jurisdiction , in European Journal of International Law , 2016, p. 817 ss. 118 Ratificata dall’Italia il 4 febbraio 1954 e dalla Libia il 14 febbraio 1957. 119 Ratificato dall’Italia il 15 settembre 1978 e dalla Libia il 15 maggio 1970. 120 Ratificata dall’Italia il 12 gennaio 1989 e dalla Libia il 16 maggio 1989. 121 Ratificato dall’Italia il 2 agosto 2006 e dalla Libia il 24 settembre 2004. 122 Contra , ma limitatamente al caso di specie, cfr. S. T󰁡󰁬󰁭󰁯󰁮, op. cit. , e A. S󰁫󰁯󰁲󰁤󰁡󰁳, op. cit . “Esternalizzazione” delle frontiere in chiave antimigratoria e responsabilità internazionale 439 In alcuni documenti prima citati, tra cui spiccano quelli pubblicati dall’Ufficio dell’Alto commissariato ONU per i diritti umani e da Amnesty International, ci si riferisce anche all’UE, la cui condotta è associata a quella dell’Italia per ciò che concerne l’assistenza prestata alla Libia 123 . In effetti, come più volte ricordato, l’UE sostiene pubblicamente la politica migratoria italiana. Lo stesso Ministro degli Interni italiano, rispondendo alla lettera del Commissario del Consiglio d’Europa per i diritti umani, ha sottolineato che l’Italia attua la propria politica migratoria in stretta collaborazione con l’UE. Peraltro, si è visto che l’UE promuove anche una propria politica di progressiva esternalizzazione delle frontiere e che, in tale ambito, la missione navale EUNAVFOR MED Operazione Sophia, addestrando la guardia costiera libica, in qualche modo favorirebbe il trattenimento dei migranti in Libia 124 . Già prima facie , dunque, non sembra difficile provare che anche l’UE è respon-sabile per complicità nelle gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani subite dai migranti bloccati in Libia 125 . Prima di tutto, l’aiuto e l’assistenza concessi alla Libia dall’UE, quasi al pari e per le medesime ragioni dell’aiuto e dell’assistenza assicurati dall’Italia, sono connessi alle massicce violazioni commesse dagli organi statali libici. Inoltre, così come poc’anzi dimostrato per l’Italia, anche l’UE è o dovrebbe essere consapevole che il proprio aiuto e la propria assistenza facilitano le gross violations dei diritti dei migranti perpetrate in Libia. Infine, le norme internazionali consuetudi-narie che stabiliscono i divieti di schiavitù e di tortura dovrebbero vincolare tanto la Libia quanto l’UE. La sussistenza di tali requisiti permetterebbe quindi di richiamare la norma sulla responsabilità delle organizzazioni internazionali per complicità nell’il-lecito di uno Stato, contenuta nell’art. 14 del Progetto del 2011, la cui già illustrata formulazione è pressoché analoga a quella dell’art. 16 del Progetto del 2001. Invero, con poche eccezioni, tra cui una sarebbe rappresentata dalla succitata missione navale EUNAVFOR MED Operazione Sophia, le forme di assistenza in ambito migratorio prestate alla Libia dall’UE sono meno “evidenti” di quelle assicurate dall’Italia. Si tratta perlopiù di contributi finanziari, spesso inviati conte-stualmente ad altri Stati africani e indicati come intesi a promuovere esternamente i 123 V. supra , paragrafi 3 e 4. Probabilmente in reazione alle critiche dell’Alto commissario, l’UE ha recentemente proposto a ONU e Unione africana (UA) l’istituzione di una task force congiunta con compiti attinenti sia al contenimento dei flussi migratori nel Mediterraneo sia al monitoraggio dei centri di accoglienza che ospitano i migranti trattenuti in Libia. L’UE vorrebbe così mostrarsi disposta ad ab-bracciare un approccio più chiaro nella gestione della crisi migratoria nel Mediterraneo, quasi sottopo-nendosi a una sorta di “controllo” da parte dell’UA e, soprattutto, dell’ONU. Non si conoscono ancora i dettagli di questa proposta, né si capisce se essa sarà avviata in base a un vero e proprio accordo stipulato dalle tre organizzazioni internazionali o a seguito di una intesa politica. Allo stato attuale, si sa soltanto che la proposta prevede anche ulteriori interventi dell’UE in Africa in ambiti correlati alle migrazioni, quali quello dello sviluppo economico, dell’incremento degli investimenti diretti esteri e della lotta al cambiamento climatico. In proposito, v. il Joint Statement on the Migrants Situation in Libya , reso al termine del V Summit tra UA e UE, svoltosi il 29-30 novembre 2017 ad Abidjan, reperibili online . 124 V. supra , par. 2. 125 Nel rapporto di Amnesty International, Libya’s Dark Web , p. 7, si chiarisce che “EU and Italian officials cannot plausibly claim to be unaware of the grave violations being committed by some of the detention officials and [Libyan Coast Guard] agents with whom they are so assiduously co-operating. Nor can they credibly claim to have insisted on key rights protection mechanisms and guarantees from their Libyan counterparts, as, in reality, they have not done so. They are, as a result, complicit in these abuses and in breach of their own human rights obligations”. Per maggiori dettagli, v. pp. 56-59. In proposito, cfr. anche R. M󰁡󰁣󰁫󰁥󰁮󰁺󰁩󰁥-G󰁲󰁡󰁹 S󰁣󰁯󰁴󰁴, op. cit . Giuseppe Pascale 440 valori democratici dell’UE, ad agevolare la ripresa economica o a incentivare lo svi-luppo. La gestione dei flussi migratori è collegata a tali obiettivi, ma non è posta in primo piano. Sembra invece che altre risorse, più precipuamente stanziate dall’UE per il contrasto ai flussi migratori nel Mediterraneo, giungano in Libia in via indi-retta, attraverso gli Stati membri. Così, tali risorse transitano prima quasi sempre per l’Italia 126 , dove poi confluiscono spesso nelle spese destinate alla politica migratoria nazionale, e vengono quindi da qui canalizzate soprattutto verso la Libia 127 . Abstract Borders Outsourcing to Control Irregular Migration and the International Responsibility of Italy and the EU for Complicity in the Human Rights Gross Violations Perpetrated in Libya As widely known, Libyan authorities have been committing gross human rights violations to the detriment of migrants coming from abroad and arrested in their terri-tory. According to international law, Libya is directly responsible for such violations. The present essay argues that Italy is responsible for complicity in the gross human rights violations perpetrated in Libya. It further suggests that also the EU is prob-ably responsible for complicity in the same context. In particular, Italy has adopted a policy of borders outsourcing to Libya with the aim of controlling and reducing irreg-ular migration. The EU has been supporting such policy. The responsibility of Italy and the EU for complicity is assessed in light of the relevant international norms, as basically codified in the UN ILC Drafts on State Responsibility (2001) and on International Organisations Responsibility (2011) for Internationally Wrongful Acts. 126 Il “passaggio” dall’Italia delle risorse dell’UE destinate al controllo delle migrazioni nel Mediterra-neo centrale è testimoniato dalla Commissione europea nella già citata comunicazione COM(2017)669 fin., accompagnata da allegati su questioni specifiche, tra i quali si segnalano quello con i dati sul sostegno diretto dell’UE all’Italia per i problemi legati alla crisi migratoria e quello dedicato al Fon-do fiduciario dell’UE per l’Africa. Inoltre, v. la scheda informativa sul contributo finanziario dell’UE alla politica migratoria italiana, intitolata Managing Migration. EU Financial Support to Italy , del 6 settembre 2017. Per una sintesi di tali documenti e per i rispettivi collegamenti ipertestuali, v. il comu-nicato stampa della Commissione, Agenda europea sulla migrazione: consolidare i progressi compiuti , reperibile online . 127 Per esempio, nel preambolo del Memorandum italo-libico del 2 febbraio 2017 si rinvia, per quel che riguarda la copertura finanziaria, al meccanismo definito nell’art. 19 del Trattato di Bengasi del 2008, che proprio in tema di lotta alle migrazioni prevede che un onere pari al 50% sia direttamente imputato a carico del bilancio italiano (di fatto pagato attraverso una tassa versata dalle imprese italiane che operano in Libia, come l’ENI), mentre le risorse pari al restante 50% dovranno essere tratte dai finanziamenti ricevuti dall’UE. L’art. 4 del Memorandum ribadisce che l’Italia provvederà al finanzia-mento delle iniziative menzionate negli articoli precedenti senza oneri aggiuntivi per il bilancio statale, avvalendosi in parte dei fondi provenienti dall’UE. Inoltre, a titolo di esempio, si ricorderà che, nel corso di una audizione davanti alla Commissione LIBE del Parlamento europeo, è stato reso noto che l’UE finanzierà un progetto pilota dell’Italia per il coordinamento della guardia di frontiera libica e che canalizzerà verso l’Italia 285 milioni di euro entro il 2023 da destinare alla formazione della guardia costiera libica; v. supra , nota 58. A conferma di questa notizia, v. EU and Italy Put Aside €285m to Boost Libyan Coast Guard , in EU Observer , 29 novembre 2017, reperibile online . Via Nicolai, 39 – 70122 Bari – Tel. 080/5214220http://www.cacucci.it e-mail: info@cacucci.it Sorry, preview is currently unavailable. You can download the paper by clicking the button above. Abstract As widely known, Libyan authorities have been committing gross human rights violations to the detriment of migrants coming from abroad and arrested in their territory. According to international law, Libya is directly responsible for such violations.... *Issue: *2 *Journal Name: *Studi sull'integrazione europea *Publication Date: *Mar 2018 Show more ▾Show less ▴ About Author Giuseppe Pascale Giuseppe Pascale 1.7 3% Università degli Studi di Trieste Faculty Member Giuseppe Pascale is assistant professor in international law at the University of Trieste (Department of Political and Social Sciences). 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The responsibility of Italy and the EU for complicity is assessed in light of the relevant international norms, as basically codified in the UN ILC Drafts on State Responsibility (2001) and on International Organisations Responsibility (2011) for Internationally Wrongful Acts. *Issue: *2 *Journal Name: *Studi sull'integrazione europea *Publication Date: *Mar 2018 Show more ▾Show less ▴ About Author Giuseppe Pascale Giuseppe Pascale 1.7 3% Università degli Studi di Trieste Faculty Member Giuseppe Pascale is assistant professor in international law at the University of Trieste (Department of Political and Social Sciences). He previously was post-doc research assistant in international law at the University of Bergamo (Department of La... more ▾ Papers 25 Views 496 Followers 130 / / Follow // Following 24 More By Giuseppe Pascale Extraterritorial Applicability of the African Charter on Human and Peoples’ Rights Giuseppe Pascale 317 Views PaperRank: //Download //More Options Save to Library Report Paper Thumbnail View All ▸ Related Papers Le risposte dell’Italia e dell’Unione europea alla crisi migratoria Adele Del Guercio 111 Views PaperRank: //Download //More Options Save to Library Report Paper Thumbnail Migrazioni e relazioni bilaterali tra Italia e Libia dal Trattato di Bengasi del 2008 al Memorandum of Understanding del 2017, in Rassegna di diritto pubblico europeo XVII 1/2018 Luca Di Majo 70 Views PaperRank: //Download //More Options Save to Library Report Paper Thumbnail La tutela dei diritti umani nell'ambito dell'attività di Frontex Andrea Spagnolo 112 Views PaperRank: //Download //More Options Save to Library Report Paper Thumbnail Responsabilità degli Stati e dell’Unione europea nella conclusione e nell’esecuzione di ‘accordi’ per il controllo extraterritoriale della migrazione Francesca De Vittor 51 Views PaperRank: //Download //More Options Save to Library Report Paper Thumbnail Art. 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