Sentenza 23/2013 Giudizio GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente GALLO - Redattore SILVESTRI
Camera di Consiglio del 16/01/2013 Decisione del 11/02/2013 Deposito del 14/02/2013 Pubblicazione in G. U. 20/02/2013 Norme impugnate: Art. 159, c. 1°, del codice penale. Massime: 36919 Atti decisi: ord. 171/2012
SENTENZA N. 23
ANNO 2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Franco GALLO; Giudici : Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 159, primo comma, del codice penale, promosso dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Alessandria, con ordinanza del 27 febbraio 2012, iscritta al n. 171 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 2012.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 16 gennaio 2013 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 27 febbraio 2012, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Alessandria ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 159, primo comma, del codice penale, «nella parte in cui prevede la sospensione del corso della prescrizione anche in presenza delle condizioni di cui agli artt. 71 e 72 c.p.p., laddove sia accertata l’irreversibilità dell’incapacità dell’imputato di partecipare coscientemente al processo», per contrasto con gli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione.
2.– Nel giudizio principale si procede per un delitto di omicidio colposo (art. 589, primo e secondo comma, cod. pen.), in relazione ad un sinistro stradale avvenuto il 16 ottobre 2001, nel quale aveva perso la vita la persona trasportata nell’autovettura guidata dall’imputato.
2.1.– Il rimettente riferisce che, nel corso del procedimento, si è accertato come, in esito al sinistro stradale di cui si è detto, l’imputato abbia riportato lesioni che gli hanno provocato un trauma encefalico grave, con conseguente condizione di infermità permanente e totale, e con prognosi di irreversibilità.
Lo stesso giudice a quo afferma, altresì, che «il grado di opinabilità della prognosi formulata, in termini di durata e di reversibilità della malattia è sostanzialmente nullo, tenuto conto delle nozioni mediche correnti, della gravità della patologia e del periodo di tempo già trascorso in assenza di qualsivoglia cambiamento delle condizioni cliniche e dello stato psichico del prevenuto».
Avuto riguardo alle conseguenze processuali della situazione descritta, il rimettente rileva che l’infermità mentale dell’imputato, in quanto sopravvenuta al fatto di reato, impedisce di definire il procedimento con pronuncia di proscioglimento o di non luogo a procedere, dovendo trovare applicazione il disposto dell’art. 71 del codice di procedura penale, che impone la sospensione del procedimento. Ciò che nella specie è puntualmente avvenuto, con ordinanza del 20 ottobre 2005, confermata da ultimo in data 14 luglio 2011, da confermare ulteriormente, all’esito del subprocedimento in corso, atteso il contenuto della documentazione medica acquisita.
In tale contesto, riferisce ancora il giudice a quo, la difesa dell’imputato ha eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art. 159, primo comma, cod. pen., per contrasto con gli artt. 3 e 111 Cost., «nella parte in cui prevede la sospensione del corso della prescrizione anche in presenza delle condizioni di cui agli artt. 71 e 72 cod. proc. pen., laddove sia accertata l’irreversibilità della incapacità dell’imputato di partecipare coscientemente al processo».
3.– Il rimettente esamina la questione introdotta dall’eccezione della difesa, evidenziando in primo luogo come la norma sospettata di illegittimità costituzionale sia rilevante nel giudizio principale.
Il procedimento, infatti, è stato sospeso a norma dell’art. 71 cod. proc. pen., e si prefigura una conferma della sospensione, sebbene, tenuto conto del tempus commissi delicti, qualora non fosse stata disposta la sospensione, il reato in oggetto risulterebbe prescritto alla data del 16 ottobre 2008 – in applicazione dell’art. 157 cod. pen., come modificato dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione) – ovvero alla data del 16 ottobre 2011, secondo il testo previgente del medesimo art. 157 cod. pen.
4.– Il giudice a quo ritiene non manifestamente infondato il dubbio di legittimità, «alla luce dei principi costituzionali di eguaglianza e di ragionevole durata del processo».
Osserva lo stesso giudice che la ratio della sospensione del termine di prescrizione del reato, nei casi di sospensione obbligatoria del procedimento richiamati dall’art. 159, primo comma, cod. pen., risponde alla logica secondo cui contra non valentem agere non currit praescriptio, posto che, nei casi predetti, l’impossibilità di procedere non può essere ascritta all’incapacità del sistema giudiziario di pervenire ad una verità processuale entro i termini imposti dall’ordinamento. Nondimeno, prosegue il rimettente, «la medesima logica sottende non soltanto l’esigenza che i casi di sospensione siano espressi e tassativi, ma altresì che detta situazione di “stallo” sia comunque contenuta nei limiti della transitorietà e temporaneità», ciò che risulta incompatibile con la reiterazione dei provvedimenti di sospensione del processo per la durata della vita dell’imputato, ridotto alla condizione di «eterno giudicabile».
Quanto alla ratio della prescrizione, le ragioni che giustificano l’estinzione del reato per decorso del tempo andrebbero ravvisate, secondo il rimettente, nel principio di ragionevole durata del processo e nell’attenuazione dell’interesse dello Stato alla punizione di fatti il cui ricordo sociale è ormai affievolito per effetto, appunto, del trascorrere del tempo, senza che vi sia stato l’accertamento della responsabilità o l’esecuzione della pena inflitta.
La rinuncia dello Stato alla pretesa punitiva si collega, dunque, al venir meno dell’allarme sociale o al suo affievolimento, prodotto dal decorso del tempo, nella prospettiva della funzione retributiva della pena (è richiamata, tra l’altro, la sentenza della Corte costituzionale n. 202 del 1971).
La norma censurata sacrificherebbe in modo significativo proprio l’interesse dello Stato ad evitare il dispendio di risorse quante volte, «nonostante l’inevitabile attenuazione del “bisogno di pena” connessa al sopravvenuto decorso del c.d. “tempo dell’oblio”, l’esercizio della potestà punitiva permanga per un periodo di tempo non determinato, né determinabile, e comunque verosimilmente destinato a cessare soltanto per la sopravvenuta integrazione della fattispecie estintiva di cui all’art. 150 c.p.».
4.1.– Secondo il giudice a quo, la disciplina dettata dall’art. 159, primo comma, cod. pen., nella parte in cui si applica anche ai casi di incapacità processuale permanente ed irreversibile dell’imputato, contrasterebbe con gli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost.
Sarebbe violato innanzitutto il principio di ragionevole durata del processo, nel duplice significato di «garanzia oggettiva» – inerente al funzionamento dell’amministrazione della giustizia, in considerazione dei gravi inconvenienti «individuali e collettivi» connessi ad una eccessiva dilatazione temporale del procedimento – e di «garanzia soggettiva», intesa come diritto dell’imputato ad essere giudicato in un tempo ragionevole, sancito dall’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848).
La norma censurata risulterebbe inoltre lesiva dei principi di uguaglianza e ragionevolezza, in quanto, senza giustificazione, riserva un trattamento diverso a soggetti che si trovano nella medesima condizione, «in relazione a fattispecie, come quella di cui all’art. 150 c.p., in cui, dinanzi ad una condizione di permanente ed irreversibile impossibilità di punire l’imputato, lo Stato rinunci all’esercizio della relativa potestà».
Sarebbe infine violato il diritto di difesa, che impone la libera ed effettiva partecipazione dell’imputato al procedimento, «inevitabilmente preclusa dal decorso di un periodo di tempo tale da rendere assai difficile l’individuazione di validi temi d’indagine ovvero l’assunzione di mezzi di prova a supporto delle linee difensive alternativamente percorribili».
A tale proposito, il rimettente segnala le difficoltà che l’odierno imputato incontrerebbe qualora, rientrato in possesso delle facoltà mentali, dovesse difendersi da una contestazione che ha per oggetto fatti accaduti oltre dieci anni prima.
5.– Con atto depositato il 1° ottobre 2012, è intervenuto in giudizio in Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ed ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.
5.1. – La difesa statale si sofferma sul merito della questione, nella prospettiva della non fondatezza, richiamando in particolare l’ordinanza n. 289 del 2011 della Corte costituzionale, che ha dichiarato manifestamente infondata la questione avente ad oggetto l’art. 150 cod. pen.
La norma indicata era sospettata di contrasto con il principio di uguaglianza, nella parte in cui non prevede che l’estinzione del reato consegua, oltre che alla morte del reo, allo stato di incapacità permanente ed irreversibile dell’imputato, tale da impedirne la cosciente partecipazione al processo.
La Corte costituzionale ha escluso l’equiparabilità delle fattispecie poste a raffronto. Dopo aver rimarcato che le cause di estinzione del reato costituiscono ius singulare, la cui disciplina rientra nella discrezionalità del legislatore, la Corte ha rilevato le differenze che segnano, quanto ai margini di possibile errore, l’accertamento dell’evento morte rispetto alla prognosi di irreversibilità della patologia impeditiva di una cosciente partecipazione dell’imputato al processo.
La stessa Corte ha infine evidenziato la diversità della ratio di tutela che l’ordinamento appresta nelle due situazioni. L’estinzione del reato per morte del reo costituisce, infatti, un riflesso del principio di personalità della responsabilità penale, mentre la preclusione allo svolgimento del processo nei confronti del soggetto incapace di parteciparvi è posta a tutela del diritto di difesa, inteso nella particolare accezione della difesa personale o autodifesa dell’imputato.
6. – Con riguardo al prospettato contrasto dell’art. 159, primo comma, cod. pen. con il principio di ragionevole durata del processo, la difesa statale osserva che nella materia in esame convergono una pluralità di principi, tra i quali occorre trovare un bilanciamento.
Come chiarito dalla sentenza n. 281 del 1995 della Corte costituzionale, la disciplina della sospensione del processo presenta un assetto improntato alla tutela della libertà di autodeterminazione dell’imputato, che consente il compimento di attività di acquisizione probatoria in favore dello stesso, ma preclude, per tutta la durata della condizione di infermità mentale, la pronuncia di una sentenza di condanna.
La difesa dello Stato osserva infine come, seppure nella richiamata sentenza la disciplina in esame non sia stata scrutinata sotto il profilo della compatibilità con il principio di ragionevole durata del processo, introdotto solo successivamente, con la legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2 (Inserimento dei principi del giusto processo nell’articolo 111 della Costituzione), nondimeno la Corte ha affermato, richiamando la sentenza n. 23 del 1979, che il diritto di autodifendersi deve ritenersi prevalente sul diritto di essere giudicato.
Considerato in diritto
1.– Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Alessandria dubita, in riferimento agli articoli 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, della legittimità dell’articolo 159, primo comma, del codice penale, «nella parte in cui prevede la sospensione del corso della prescrizione anche in presenza delle condizioni di cui agli artt. 71 e 72 c.p.p., laddove sia accertata l’irreversibilità dell’incapacità dell’imputato di partecipare coscientemente al processo».
2.– La questione è sollevata nell’ambito dell’udienza preliminare a carico di persona imputabile al momento del fatto, poi risultata, in esito al trauma subito nel medesimo frangente, in condizioni di infermità «permanente e totale», tale da escludere la capacità di partecipare coscientemente al procedimento, con prognosi di irreversibilità.
Il rimettente, che ha sospeso il procedimento ai sensi dell’art. 71 del codice di procedura penale e disposto gli accertamenti peritali periodici sullo stato di mente dell’imputato, dovrebbe, sulla scorta della documentazione medica acquisita, confermare il provvedimento di sospensione.
Tuttavia, sul rilievo che la prognosi di irreversibilità della condizione dell’imputato non sia seriamente opinabile (tenuto conto delle nozioni mediche correnti, della gravità della patologia, del periodo di tempo trascorso senza che si siano prodotti cambiamenti nella condizione stessa), il rimettente sottopone a scrutinio la norma sostanziale che prevede, come effetto della sospensione obbligatoria del procedimento, la sospensione del corso della prescrizione.
L’applicazione di tale regola anche nei casi in cui è del tutto irrealistico ipotizzare il recupero delle facoltà mentali dell’imputato e, quindi, la riattivazione del procedimento, comprometterebbe, allo stesso tempo, il principio della ragionevole durata del processo, il principio di ragionevolezza (presupponendo la norma censurata la transitorietà della situazione che impone la stasi processuale), il principio di uguaglianza (per il trattamento deteriore riservato alla persona che si trovi nella condizione anzidetta, resa eternamente giudicabile).
Sarebbe infine violato il diritto di difesa dell’imputato, in ipotesi di recupero del deficit mentale, giacché il lungo tempo trascorso dal fatto di reato renderebbe difficile approntare una difesa efficace.
3.– La questione è inammissibile.
3.1.– Il rimettente segnala una reale anomalia insita nelle norme correlate concernenti la sospensione della prescrizione estintiva dei reati (art. 159, primo comma, cod. pen.) e la sospensione del processo per incapacità dell’imputato (artt. 71 e 72 cod. proc. pen.). Se infatti – come avvenuto nel caso di specie – sia stata accertata (con le modalità di cui all’art. 70 cod. proc. pen.) la natura irreversibile dell’infermità mentale sopravvenuta al fatto, tale da precludere la cosciente partecipazione al giudizio dell’interessato, si verifica una situazione di pratica imprescrittibilità del reato. A questa incongrua situazione né il giudice né l’imputato possono porre rimedio. L’indefinito protrarsi nel tempo della sospensione del processo – con la conseguenza della tendenziale perennità della condizione di giudicabile dell’imputato, dovuta all’effetto, a sua volta sospensivo, sulla prescrizione – presenta il carattere della irragionevolezza, giacché entra in contraddizione con la ratio posta a base, rispettivamente, della prescrizione dei reati e della sospensione del processo. La prima è legata, tra l’altro, sia all’affievolimento progressivo dell’interesse della comunità alla punizione del comportamento penalmente illecito, valutato, quanto ai tempi necessari, dal legislatore, secondo scelte di politica criminale legate alla gravità dei reati, sia al “diritto all’oblio” dei cittadini, quando il reato non sia così grave da escludere tale tutela. La seconda poggia sul diritto di difesa, che esige la possibilità di una cosciente partecipazione dell’imputato al procedimento.
Nell’ipotesi di irreversibilità dell’impedimento di cui sopra risultano frustrate entrambe le finalità insite nelle norme sostanziali e processuali richiamate, con la conseguenza che le ragioni delle garanzie ivi previste si rovesciano inevitabilmente nel loro contrario.
3.2.– Il problema segnalato dal rimettente non può tuttavia essere risolto da questa Corte, giacché non è ravvisabile nella fattispecie una conclusione costituzionalmente obbligata dell’anomalia descritta al paragrafo precedente. Le possibilità di intervento normativo sono difatti molteplici in ordine alle modalità procedurali configurabili.
Si potrebbe ad esempio – tra le numerose soluzioni ipotizzabili – introdurre il rimedio radicale della pronuncia di una sentenza che, a seguito di prognosi di irreversibilità dell’infermità mentale dell’imputato, dichiari l’impromovibilità o improcedibilità dell’azione, con possibilità di revoca nel caso in cui, prima della maturazione dei termini prescrizionali, tale prognosi fosse smentita. Si potrebbe, con più gradualità, prevedere invece il compimento di un dato numero di accertamenti ai sensi dell’art. 72 cod. proc. pen., ovvero la decorrenza di una data frazione del termine prescrizionale, prima della declaratoria di cui all’art. 129 cod. proc. pen.
Si tratta di scelte equivalenti quanto al risultato finale, e cioè il superamento della rilevata incongruenza, ma diverse quanto all’iter da seguire per definire la situazione sostanziale e processuale dell’imputato, nei cui confronti sia stata accertata l’irreversibile incapacità di partecipare in modo cosciente al procedimento. Ad ognuna di esse corrispondono valutazioni discrezionali, inerenti al rapporto tra mezzi e fine, che non competono a questa Corte, ma al legislatore.
4.– Nel dichiarare l’inammissibilità dell’odierna questione – dovuta al rispetto della priorità di valutazione da parte del legislatore sulla congruità dei mezzi per raggiungere un fine costituzionalmente necessario – questa Corte deve tuttavia affermare come non sarebbe tollerabile l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa in ordine al grave problema individuato nella presente pronuncia.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità dell’articolo 159, primo comma, del codice penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Alessandria con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 febbraio 2013.
F.to:
Franco GALLO, Presidente
Gaetano SILVESTRI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 14 febbraio 2013.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI