N. 519
SENTENZA 15-28 DICEMBRE 1995
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: avv. Mauro FERRI;
Giudici: prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato
GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY;
ha pronunciato la seguente
Sentenza
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 670, primo e
secondo comma, del codice penale, promossi con ordinanze emesse l'11
novembre 1994, dal Giudice per le indagini preliminari presso la
Pretura di Firenze, il 21 ottobre 1994, dal Pretore di Modena -
sezione distaccata di Carpi, e il 3 febbraio 1995, dal giudice per le
indagini preliminari presso la Pretura di Firenze, rispettivamente
iscritte ai nn. 22, 67 e 320 del registro ordinanze 1995 e pubblicate
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 5, 7 e 23, prima serie
speciale, dell'anno 1995;
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 18 ottobre 1995 il Giudice
relatore Francesco Guizzi.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso del procedimento penale a carico di Rufat Elmaz e
Kasumova Dzulistan, imputate del reato di mendicità, il Giudice per
le indagini preliminari presso la Pretura di Firenze ha sollevato,
per contrasto con gli artt. 2, 3 e 27, terzo comma, della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 670,
primo comma, del codice penale, riproponendola in termini identici,
con successiva ordinanza, nel procedimento a carico di Bajrami
Dzafar, imputato del medesimo reato.
Osserva il rimettente che la fattispecie contravvenzionale punitiva
della mendicità è posta a tutela dei beni giuridici della
tranquillità e del decoro della civile convivenza con offese che
sussisterebbero sia nel caso della mendicità aggravata da forme
particolari (vessatorie, ripugnanti, petulanti o fraudolente: art.
670, secondo comma), sia nel caso in cui si impieghino minori
nell'accattonaggio (art. 671). Non vi sarebbe, invece, offesa della
morale e della tranquillità pubblica quando l'accusato versi in una
situazione di bisogno non riconducibile a sua colpa, risolvendosi la
mendicità in una legittima richiesta di umana solidarietà, volta a
far leva sul sentimento della carità.
La previsione incriminatrice di cui all'art. 670, primo comma, del
codice penale, violerebbe - ad avviso del giudice a quo - i principi
costituzionali di solidarietà, di uguaglianza e della finalità
rieducativa della pena contenuti negli artt. 2, 3 e 27, terzo comma,
della Costituzione, giacché sarebbe riservato lo stesso trattamento
punitivo anche a soggetti che si trovino in condizioni
economico-sociali del tutto diverse. Essa, infatti, prescinde dallo
stato di indigenza non ascrivibile alla condotta individuale: di qui,
un trattamento inadeguato, poiché non finalizzato a rieducare
quanti, obiettivamente incapaci di mantenersi autonomamente, siano
perciò costretti a far ricorso all'altrui solidarietà.
2. - È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha
concluso per la infondatezza della questione per essersi questa Corte
già espressa in tal senso con la sentenza n. 51 del 1959, fornendo
una interpretazione adeguatrice del combinato disposto degli artt.
670 e 54 del codice penale e sostenendo, altresì, che i diritti
della persona umana, solennemente affermati come primari e
fondamentali, diverrebbero illusori se non venissero contemperati con
le esigenze di una tollerabile convivenza (sentenza n. 102 del 1975).
Priva di ogni fondamento sarebbe, poi, l'asserita violazione
dell'art. 27, terzo comma, dal momento che la consolidata
giurisprudenza costituzionale ha circoscritto la finalità
rieducativa e risocializzante della pena esclusivamente alla fase
dell'esecuzione.
3. - Nel corso del procedimento penale a carico di Ismail
Severdzan, di nazionalità iugoslava, che era stato colto a mendicare
nei locali di una scuola elementare mostrando la fotografia di un
bambino al quale erano stati parzialmente amputati gli arti
inferiori, il Pretore di Modena - sezione distaccata di Carpi - ha
sollevato due distinte questioni di legittimità costituzionale
sull'art. 670, primo e secondo comma, del codice penale.
Il giudice a quo avverte l'esigenza di individuare il bene
giuridico protetto dalla disposizione in esame, e lo identifica
nell'ordine pubblico inteso come moralità, decoro e pubblica quiete.
Egli dubita, però, che l'art. 670 offra una forma anche lata di
tutela del dovere di svolgere un'attività lavorativa o del diritto
all'integrità del patrimonio e alla tranquillità della persona; e
ritiene, anzi, che si profilerebbe una evidente e non giustificata
sproporzione nel sacrificio del diritto fondamentale, e inviolabile,
della libertà personale. Il rimettente richiama, perciò,
l'insegnamento di questa Corte, che anche da ultimo si è riservata
il compito di verificare se il legislatore rispetti il limite della
ragionevolezza nella determinazione della sanzione penale (sentenza
n. 341 del 1994); limite imposto alla sfera di discrezionalità
quando le finalità di prevenzione siano perseguite con strumenti
penali che producono danni all'individuo, e alla società,
sproporzionatamente maggiori dei vantaggi ottenuti attraverso l'uso
della incriminazione (sentenza n. 409 del 1989).
Sulla scia di tali principi, sottolinea il Pretore di Modena, la
Corte ha perciò censurato diverse disposizioni della legge penale
sia per lesione del principio di uguaglianza (sentenze nn. 422 e 344
del 1993 e 409 del 1989) sia per violazione della finalità
rieducativa della pena (sentenza n. 313 del 1990).
Il raffronto con talune disposizioni riguardanti l'ordine pubblico,
o la tranquillità, o l'incolumità pubblica, per le quali si
prevedono in via alternativa le sanzioni dell'arresto o dell'ammenda,
palesa un profilo di irragionevolezza quale si riscontra nel minimo
edittale dell'arresto, per un mese, comminato dall'art. 670, secondo
comma, del codice penale. Il disturbo delle occupazioni o quello del
riposo, la molestia o il disturbo alle persone, e finanche gli atti
contrari alla pubblica decenza, recherebbero un'offesa al pubblico
decoro inferiore a quella dell'accattonaggio, atteso che l'art. 726
del codice penale punisce con l'arresto sino a un mese, o con
l'ammenda da lire 20.000 a 400.000, i comportamenti da ultimo citati.
L'estrema severità della norma in esame è, certo, il prodotto
delle concezioni autoritarie che connotavano la cultura del
legislatore del 1930, inducendolo a una radicale inversione di
tendenza rispetto alla impostazione del codice Zanardelli, che -
ispirandosi alla tradizione del pensiero liberale - puniva la
mendicità con l'arresto fino a cinque giorni, nella forma meno grave
(art. 453), e con quello fino a un mese per l'accattonaggio
vessatorio (art. 454). Attribuendo peraltro al giudice la
possibilità di far scontare la pena mediante prestazione d'opera in
lavori di pubblica utilità (art. 455).
Altra doglianza prospettata dallo stesso Pretore riguarda infine,
per violazione degli artt. 13 e 97 della Costituzione, il principio
di sussidiarietà della tutela penale, che potrebbe dispiegare un
effetto perverso, nell'attuale stato di crisi dell'amministrazione
giudiziaria, contribuendo a incrementare il sovraffollamento delle
carceri. Più idonea sembra dunque la scelta della depenalizzazione,
anche perché la fattispecie incriminatrice tutela, ad avviso del
giudice a quo, un interesse anacronistico che, certo, non può
considerarsi rivitalizzato dall'intensificarsi dei movimenti
migratori dai paesi in condizioni precarie di sviluppo.
4. - È intervenuto, anche nel giudizio sulla questione sollevata
dal Pretore di Modena, il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,
concludendo per la infondatezza della questione.
In ordine al primo profilo di asserita illegittimità
costituzionale, che si concreta nella richiesta di una pronuncia
sostitutiva volta a ridimensionare le pene previste dal citato art.
670 per ricondurle entro limiti ragionevoli, l'Avvocatura ha ribadito
la discrezionalità del legislatore per la rispondenza della
fattispecie alla tutela dei beni giuridici della "tranquillità
pubblica, con qualche riflesso sull'ordine pubblico" (sentenza n. 51
del 1959).
Con riferimento, poi, al secondo profilo - quello in base al quale
sarebbe irrazionale la "criminalizzazione" della mendicità -
verrebbe in rilievo la pericolosità del comportamento di coloro i
quali possono porre in pericolo i beni giuridici della pubblica
tranquillità e dell'ordine pubblico. Sebbene la Costituzione non
reprima in sé il comportamento di quanti - astenendosi dal lavoro -
conducono un'esistenza diversa da quella della generalità dei
cittadini, essa demanda tuttavia al legislatore il compito di
predisporre i mezzi idonei a evitare che il diritto del singolo
contrasti con la tutela dei beni predetti (sentenza n. 12 del 1972).
Di conseguenza, la repressione penale dell'accattonaggio, conclude
l'Avvocatura, non comprimerebbe i diritti fondamentali della
personalità e, quindi, non sconfinerebbe nell'arbitrarietà e
nell'irragionevolezza, né lederebbe il canone del buon andamento di
cui all'art. 97 della Costituzione.
Considerato in diritto
1. - Viene riproposta, a distanza di circa vent'anni, la questione
di legittimità costituzionale dell'art. 670 del codice penale con
due ordinanze di identico tenore sollevate dal Pretore di Firenze, in
ordine al primo comma, e con una ordinanza del Pretore di Modena -
sezione distaccata di Carpi, in ordine al primo e secondo comma.
Ad avviso del Pretore di Firenze, vi sarebbe lesione dei principi
di solidarietà, di uguaglianza e della finalità rieducativa della
pena contenuti, rispettivamente, negli artt. 2, 3 e 27, terzo comma,
della Costituzione, assoggettandosi a sanzione penale coloro che
versano in condizioni di indigenza non ascrivibili alla propria
condotta, dolosa o colposa che sia. Oggetto di doglianza del Pretore
di Modena - sezione di Carpi, è il secondo comma del medesimo art.
670 del codice penale, nella parte in cui prevede come minimo
edittale la pena di un mese di arresto: sanzione penale che sarebbe
statuita in spregio dei principi di ragionevolezza e della finalità
rieducativa della pena (art. 3, primo comma, e 27, terzo comma, della
Costituzione), fra l'altro più severa di quella comminata dal codice
Zanardelli agli artt. 453 e 454.
Con tale ultima ordinanza viene prospettata, altresì, la questione
di costituzionalità dell'intero articolo 670 per contrasto, oltre
che con i valori costituzionali indicati, anche con il principio
della libertà personale e con il canone del buon andamento
dell'amministrazione (artt. 13 e 97, primo comma, della
Costituzione), apparendo violato il principio di sussidiarietà della
tutela penale perché si utilizza una sanzione non congrua, correlata
a un interesse che si palesa anacronistico, mentre sarebbe più
efficace la repressione amministrativa che eviterebbe, peraltro,
l'effetto indotto d'un sovraffollamento delle carceri.
Riguardando le questioni, oggetto delle tre ordinanze di
rimessione, la stessa disposizione di legge, si deve necessariamente
procedere alla loro riunione, esaminando per prima l'ordinanza del
Pretore di Modena - sezione di Carpi, che è logicamente da anteporre
alle altre, dato il suo carattere di globalità. E invero, ove
accolta, essa renderebbe superfluo l'esame delle altre due questioni.
2. - La Corte costituzionale si è già pronunciata sull'art. 670
del codice penale, nel senso della infondatezza, con le sentenze n.
51 del 1959 e n. 102 del 1975 in precedenza citate.
Con la prima decisione, limitata al controllo di conformità in
riferimento all'art. 38 della Costituzione, questa Corte escluse la
illegittimità costituzionale della disposizione, rilevando che "la
libertà di prestare assistenza in forme private e ad iniziativa
privata non comprende in alcun modo la libertà di accattonaggio".
Con la seconda, diede, sì, valore recessivo alla mendicità come
"scelta di libertà", ma nel contempo sostenne che - per coloro i
quali vi fossero indotti non essendo stati messi "in condizione di
poter tempestivamente usufruire di quell'assistenza pubblica" cui
avrebbero avuto diritto - ben potesse rientrare nella sfera di
applicazione dell'art. 54 del codice penale l'accattonaggio della
persona "fisicamente debilitata e priva di chi debba per legge
provvedere ai suoi bisogni essenziali".
3. - L'art. 670 del codice penale consta di due ipotesi criminose
che si devono mantenere fra loro nettamente distinte. La prima
punisce, con la pena dell'arresto fino a tre mesi, "chiunque mendica
in luogo pubblico o aperto al pubblico" (primo comma); la seconda
sanziona più gravemente, con l'arresto da uno a sei mesi, il fatto
"commesso in modo ripugnante o vessatorio, ovvero simulando
deformità o malattie, o adoperando altri mezzi fraudolenti per
destare l'altrui pietà" (secondo comma). È opportuno, sul piano
metodologico, distinguere le due ipotesi nel caso in cui questa Corte
dovesse accedere a una declaratoria di illegittimità, anche
parziale, delle questioni sollevate. E ciò al fine di consentire
una valutazione disgiunta dei due valori penalistici coinvolti, senza
pregiudicare, con l'esame di una figura, anche la valutazione
dell'altra (che è quanto accadrebbe qualora si configurasse il reato
di cui al secondo comma dell'art. 670 quale ipotesi aggravata).
La denuncia del Pretore di Modena - sezione distaccata di Carpi,
investe l'intera disposizione e, dunque, entrambe le figure di reato.
L'ipotesi della mendicità non invasiva integra una figura di reato
ormai scarsamente perseguita in concreto, mentre nella vita
quotidiana, specie nelle città più ricche, non è raro il caso di
coloro che - senza arrecare alcun disturbo - domandino compostamente,
se non con evidente imbarazzo, un aiuto ai passanti. Di qui, il
disagio degli organi statali preposti alla repressione di questo e
altri reati consimili - chiaramente avvertito e, talora, apertamente
manifestato - che è sintomo, univoco, di un'abnorme utilizzazione
dello strumento penale.
Gli squilibri e le forti tensioni che caratterizzano le società
più avanzate producono condizioni di estrema emarginazione, sì che
- senza indulgere in atteggiamenti di severo moralismo - non si può
non cogliere con preoccupata inquietudine l'affiorare di tendenze, o
anche soltanto tentazioni, volte a "nascondere" la miseria e a
considerare le persone in condizioni di povertà come pericolose e
colpevoli. Quasi in una sorta di recupero della mendicità quale
devianza, secondo linee che il movimento codificatorio dei secoli
XVIII e XIX stilizzò nelle tavole della legge penale, preoccupandosi
nel contempo di adottare forme di prevenzione attraverso la
istituzione di stabilimenti di ricovero (o ghetti?) per i mendicanti.
Ma la coscienza sociale ha compiuto un ripensamento a fronte di
comportamenti un tempo ritenuti pericolo incombente per una ordinata
convivenza, e la società civile - consapevole dell'insufficienza
dell'azione dello Stato - ha attivato autonome risposte, come
testimoniano le organizzazioni di volontariato che hanno tratto la
loro ragion d'essere, e la loro regola, dal valore costituzionale
della solidarietà. D'altra parte, i paventati effetti di ulteriore
affollamento delle carceri e d'un accrescimento del carico penale
sono irrealistici e comunque potranno essere scongiurati se e in
quanto si consoliderà l'indirizzo del legislatore verso la
"depenalizzazione".
In questo quadro, la figura criminosa della mendicità non invasiva
appare costituzionalmente illegittima alla luce del canone della
ragionevolezza, non potendosi ritenere in alcun modo necessitato il
ricorso alla regola penale. Né la tutela dei beni giuridici della
tranquillità pubblica, con qualche riflesso sull'ordine pubblico
(sentenza n. 51 del 1959), può dirsi invero seriamente posta in
pericolo dalla mera mendicità che si risolve in una semplice
richiesta di aiuto.
4. - Altro discorso attiene invece al secondo comma dell'art. 670,
che riguarda una serie di figure di mendicità invasiva. Per le forme
in cui prende corpo, questa disposizione rimane fattispecie idonea a
tutelare rilevanti beni giuridici, fra i quali anche lo spontaneo
adempimento del dovere di solidarietà, che appare inquinata in tutte
quelle ipotesi nelle quali il mendicante faccia impiego di mezzi
fraudolenti al fine di "destare l'altrui pietà".
La questione sollevata in ordine a questa parte non può, dunque,
essere accolta.
5. - Nella declaratoria di illegittimità costituzionale nei
termini esposti, resta assorbita la questione, particolare, sollevata
dal Pretore di Firenze con riguardo al primo comma in parte qua. Non
può essere invece assorbita la seconda questione sollevata dal
Pretore di Modena - sezione distaccata di Carpi, circa la
sproporzione della sanzione penale minima per l'ipotesi di reato più
grave. Essa, tuttavia, deve essere dichiarata infondata, perché
questa Corte non ritiene di poter ripercorrere, nella specie, l'iter
argomentativo della sentenza n. 341 del 1994, tenuta a modello
nell'ordinanza di rimessione, per l'evidente diversità delle
condotte indicate quali tertia comparationis.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi:
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 670, primo
comma, del codice penale;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 670, secondo comma, del codice penale, sollevata, in
riferimento agli artt. 3, primo comma, 13, 27, terzo comma, 97, primo
comma, della Costituzione, dal Pretore di Modena - sezione distaccata
di Carpi, con l'ordinanza in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 670, secondo comma, del codice penale nella parte in cui
prevede come pena minima un mese di arresto, sollevata, in
riferimento agli artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma, della
Costituzione, dal Pretore di Modena - sezione distaccata di Carpi,
con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 15 dicembre 1995.
Il Presidente: Ferri
Il redattore: Guizzi
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 28 dicembre 1995.
Il direttore di cancelleria: Di Paola
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