N. 204
SENTENZA 27 GIUGNO 1974
Deposito in cancelleria: 4 luglio 1974.
Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 180 del 10 luglio 1974.
Pres. BONIFACIO - Rel. AMADEI
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO, Presidente -
Dott. GIUSEPPE VERZÌ - Avv. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI - Dott. LUIGI
OGGIONI - Avv. ANGELO DE MARCO - Avv. ERCOLE ROCCHETTI - Prof. ENZO
CAPALOZZA - Prof. VEZIO CRISAFULLI - Dott. NICOLA REALE - Prof. PAOLO
ROSSI - Avv. LEONETTO AMADEI - Dott. GIULIO GIONFRIDA - Prof. EDOARDO
VOLTERRA - Prof. GUIDO ASTUTI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 43 del r.d.
28 maggio 1931, n. 602 (Disposizioni di attuazione del codice di
procedura penale), promosso con ordinanza emessa il 24 novembre 1972
dal giudice di sorveglianza del tribunale di Biella su istanza di
Trinca Giuseppe, iscritta al n. 6 del registro ordinanze 1973 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 55 del 28
febbraio 1973.
Udito nella camera di consiglio del 14 maggio 1974 il Giudice
relatore Leonetto Amadei.
Ritenuto in fatto:
In data 16 ottobre 1972 Giuseppe Trinca, detenuto in espiazione di
pena, inoltrava al Ministero di grazia e giustizia istanza diretta ad
ottenere la liberazione condizionale ai sensi e per gli effetti di cui
all'art. 176 del codice penale.
Il giudice di sorveglianza del tribunale di Biella ha sollevato, in
sede di parere sull'istanza, la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 43 del r.d. 28 maggio 1931, n. 602, in
riferimento agli artt. 24, secondo comma, e 111, secondo comma, della
Costituzione.
Il proponente, premesso che l'istituto della liberazione
condizionale rappresenta uno strumento di "individualizzazione" del
trattamento penitenziario del condannato, contesta, sotto profili
diversi, la legittimità costituzionale della facoltà riconosciuta
dalla legge al Ministro di grazia e giustizia di concedere o meno il
beneficio.
La facoltà in questione sarebbe, per il proponente, quanto mai
anacronistica e imperniata su residue concezioni storiche del carattere
amministrativo della esecuzione penale, ormai generalmente ripudiate,
in quanto "gli indirizzi teorici e legislativi" più moderni
tenderebbero a "giurisdizionalizzare" l'esecuzione stessa della pena.
Tale facoltà, comunque, violerebbe tanto l'art. 111, comma
secondo, quanto l'art. 24, comma secondo, della Costituzione, poiché
la procedura amministrativa non consentirebbe, quantunque si verta in
tema di libertà personale, né il contraddittorio né l'impugnativa
del provvedimento di rigetto dell'istanza.
Considerato in diritto:
1. - L'ordinanza del giudice di sorveglianza del tribunale di
Biella pone la questione di legittimità costituzionale dell'art. 43
del r.d. 28 maggio 1931, n. 602, contenente disposizioni di attuazione
del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 24, secondo
comma, e 111, secondo comma, della Costituzione.
L'articolo impugnato attribuisce al Ministro della giustizia la
facoltà di concedere, con proprio decreto, la liberazione condizionale
prevista e regolata dall'art. 176 del codice penale.
La questione è fondata.
2. - L'istituto della liberazione condizionale rappresenta un
particolare aspetto della fase esecutiva della pena restrittiva della
libertà personale e si inserisce nel fine ultimo e risolutivo della
pena stessa, quello, cioè, di tendere al recupero sociale del
condannato. Per esso, infatti, il condannato che abbia, durante il
tempo della esecuzione, tenuto un comportamento tale da far ritenere
sicuro il suo ravvedimento e che abbia soddisfatto, avendone la
capacità economica, le obbligazioni civili derivanti dal commesso
reato, può essere posto in libertà prima del termine previsto dalla
sentenza definitiva di condanna, previa imposizione, da parte del
giudice di sorveglianza, incaricato dell'esecuzione del provvedimento,
di prescrizioni idonee ad evitare la commissione di nuovi reati (artt.
228, secondo comma, e 230, primo comma, n. 2, del codice penale).
Con l'art. 27, terzo comma, della Costituzione l'istituto ha
assunto un peso e un valore più incisivo di quello che non avesse in
origine; rappresenta, in sostanza, un peculiare aspetto del trattamento
penale e il suo ambito di applicazione presuppone un obbligo tassativo
per il legislatore di tenere non solo presenti le finalità rieducative
della pena, ma anche di predisporre tutti i mezzi idonei a realizzarle
e le forme atte a garantirle.
Sulla base del precetto costituzionale sorge, di conseguenza, il
diritto per il condannato a che, verificandosi le condizioni poste
dalla norma di diritto sostanziale, il protrarsi della realizzazione
della pretesa punitiva venga riesaminato al fine di accertare se in
effetti la quantità di pena espiata abbia o meno assolto positivamente
al suo fine rieducativo; tale diritto deve trovare nella legge una
valida e ragionevole garanzia giurisdizionale.
Non v'è dubbio che tale garanzia è del tutto carente nel
procedimento previsto dal vigente ordinamento giuridico. Per la
normativa in atto si determina, infatti, una anomala successione di
interventi e di attribuzioni che vanno dal giudice di sorveglianza al
Ministro della giustizia.
Un siffatto legame tra organo del potere giudiziario e organo del
potere esecutivo, in un aspetto così importante della fase esecutiva
della pena, contrasta con quelle guarentigie che attengono alla
libertà personale, in riferimento alla quale l'art. 24 della
Costituzione, nel quadro dei precetti contenuti nell'art. 13, ne
assicura la tutela giurisdizionale.
Devesi rilevare che il Ministro della giustizia gode di una
discrezionalità talmente ampia da poter disattendere il parere
espresso, sulla istanza per l'applicazione del beneficio, dall'organo
giudiziario, il solo idoneo, per le funzioni attribuitegli dalla legge
nel processo esecutivo della pena, a poter valutare l'effettiva
esistenza in concreto delle condizioni oggettive e soggettive -
particolarmente quest'ultime - per la concessione di esso beneficio.
La disarmonia del sistema appare ancor più inaccettabile a seguito
della legge 25 novembre 1962, n. 1634, che ha modificato il testo
originario dell'art. 176 del codice penale e che, tra l'altro, ha
esteso l'applicazione dell'istituto della liberazione condizionale
anche ai condannati all'ergastolo.
Per la legge n. 1634 del 1962 la liberazione condizionale assume
senz'altro una fisionomia e una dimensione diverse da quelle attribuitele dal legislatore del 1930.
Siamo in presenza di una vera e propria rinuncia, sia pure
sottoposta a condizioni prestabilite, da parte dello Stato alla
ulteriore realizzazione della pretesa punitiva nei riguardi di
determinati condannati, rinuncia che non può certamente far capo ad un
organo dell'esecutivo, ma ad un organo giudiziario, con tutte le
garanzie sia per lo Stato che per il condannato stesso. Oltretutto si
tratta di interrompere l'esecutorietà di una sentenza passata in
giudicato, legata al principio dell'intangibilità, salvo interventi
legislativi (art. 2, comma secondo, del codice penale) o previsioni
costituzionali (art. 87, penultimo comma, della Costituzione), o
provvedimenti giurisdizionali (artt. 553 e 554 del codice di procedura
penale) fino a determinare la estinzione della pena, una volta
adempiuti gli obblighi imposti.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 43 del r.d. 28
maggio 1931, n. 602 (Disposizioni di attuazione del codice di procedura
penale).
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 giugno 1974.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO - GIUSEPPE
VERZÌ - GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
- LUIGI OGGIONI - ANGELO DE MARCO -
ERCOLE ROCCHETTI - ENZO CAPALOZZA -
VEZIO CRISAFULLI - NICOLA REALE -
PAOLO ROSSI - LEONETTO AMADEI -
GIULIO GIONFRIDA - EDOARDO VOLTERRA -
GUIDO ASTUTI.
ARDUINO SALUSTRI - Cancelliere
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