Sentenza 110/1974
Giudizio GIUDIZIO DI LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
 
Presidente BONIFACIO - Relatore N. REALE
 
Udienza Pubblica del 20/02/1974    Decisione  del 05/04/1974
Deposito del 23/04/1974   Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate:  
Massime: 7194   7195   7196   7197   7198   7199  
 
Titoli:  
Atti decisi:

 

N. 110

SENTENZA 5 APRILE 1974

Deposito in cancelleria: 23 aprile 1974.

Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 107 del 24 aprile 1974.

Pres. BONIFACIO - Rel. REALE

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO, Presidente - Dott. GIUSEPPE VERZÌ - Avv. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI - Dott. LUIGI OGGIONI - Dott. ANGELO DE MARCO - Avv. ERCOLE ROCCHETTI - Prof. ENZO CAPALOZZA - Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI - Prof. VEZIO CRISAFULLI - Dott. NICOLA REALE - Prof. PAOLO ROSSI - Avv. LEONETTO AMADEI - Dott. GIULIO GIONFRIDA - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Prof. GUIDO ASTUTI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 635, primo comma; 636, primo, secondo e quinto comma; 637; 638, primo, secondo e quarto comma; 639; 642; 643; 645; 646 e 647 del codice di procedura penale, e degli artt. 207, terzo comma; 214; 215, secondo comma, n. 1, ed ultimo comma; 216; 217; 218; 223, secondo comma; 226, primo comma, secondo periodo, e 231, secondo comma, del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 24 gennaio 1972 dal giudice di sorveglianza del tribunale di Pisa nel procedimento per revoca di misure di sicurezza iniziato da Graziani Lorenzo, iscritta al n. 58 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 97 del 12 aprile 1972.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 20 febbraio 1974 il Giudice relatore Nicola Reale;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto:

1. - Con ordinanza in data 24 gennaio 1972 il giudice di sorveglianza presso il tribunale di Pisa ha sollevato, nel corso del procedimento iniziato con domanda di revoca della misura di sicurezza di assegnazione ad una casa di lavoro a carico di Graziani Lorenzo, questione di legittimità costituzionale delle seguenti disposizioni:

a) artt. 635, primo comma; 636, primo, secondo e quinto comma; 637; 638, primo, secondo e quarto comma; 639; 642; 643; 645; 646; 647 c.p.p. (aventi ad oggetto la disciplina del procedimento di applicazione delle misure di sicurezza da parte del giudice di sorveglianza), in riferimento agli artt. 24 e 3 della Costituzione, sotto il profilo che esse, prevedendo in ordine al diritto di difesa delle garanzie processuali minori e diverse rispetto a quelle che caratterizzano il processo penale ordinario, opererebbero, senza alcuna plausibile giustificazione, una disparità di trattamento tra l'internato assegnato ad una casa di lavoro o ad una colonia agricola con sentenza e quello assegnatovi con successivo provvedimento del giudice di sorveglianza;

b) artt. 215, secondo comma, n. 1, ed ultimo comma, da "a meno che" alla fine; 216; 217; 218; 223, secondo comma, da "salvo che" alla fine; 226, primo comma, secondo periodo; 231, secondo comma, esclusa la previsione del ricovero del minore in un riformatorio giudiziario, del codice penale, in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 24, secondo comma, 111, 27, terzo comma, e 25 della Costituzione, aventi ad oggetto l'intera normativa sostanziale sulla misura di sicurezza di assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro. Il contrasto con le disposizioni della Carta appena richiamate deriverebbe, secondo quanto si afferma nell'ordinanza di rinvio, dalla circostanza che la misura dell'assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro sarebbe praticamente applicata con modalità identiche a quelle previste per l'espiazione della pena della reclusione o dell'arresto;

c) art. 214 c.p. (per il quale, nel caso in cui la persona sottoposta a misura di sicurezza detentiva, diversa dal ricovero in manicomio giudiziario o in una casa di cura e di custodia, si sottrae volontariamente all'esecuzione di essa, il periodo minimo di durata della misura di sicurezza ricomincia a decorrere dal giorno in cui a questa è stata data nuovamente esecuzione), in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 24, secondo comma, 25, terzo comma, e 111 della Costituzione, in base all'assunto che il prolungamento quasi automatico della misura di sicurezza detentiva contrasterebbe con il fine rieducativo salvaguardato dagli artt. 24, secondo comma, 27, terzo comma, e 25, ultimo comma, della Costituzione e con i principi sanciti dalle altre norme sopra richiamate;

d) del pari in contrasto con le disposizioni della Costituzione appena citate, oltre che con quelle contenute negli artt. 102 e 110, sarebbe infine l'art. 207, ultimo comma, del codice penale, che attribuisce al Ministro di grazia e giustizia il potere di revocare le misure di sicurezza "anche prima che sia decorso il tempo corrispondente alla durata minima stabilita dalla legge". Tale potere - infatti - andrebbe al di là di quelli che l'art. 110 della Costituzione accorda al Ministro di grazia e giustizia, che sono circoscritti all'organizzazione e al funzionamento dei servizi relativi alla giustizia. La norma in esame sarebbe altresì in contrasto, oltre che con gli artt. 2, 3, 13, 25, 27 e 111, con l'art. 102, "giacché una Costituzione che fa divieto di istituire giudici straordinari e speciali non può certo tollerare che la funzione giudiziaria, nel suo più delicato momento (provvedimenti in materia di libertà personale), venga ad essere incontrollatamente sostituita dal potere esecutivo".

2. - Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con atto del 24 aprile 1972.

Nelle deduzioni si sostiene che il processo di sicurezza può ormai svolgersi nel pieno rispetto del diritto di difesa, tenuto conto delle sue peculiari caratteristiche e, soprattutto, della circostanza che esso, tra l'altro, presuppone il previo accertamento in sede penale, ed a mezzo di un ordinario processo di cognizione, di un fatto costituente reato o quasi reato. In considerazione di ciò, la mancata ripetizione non solo non dovrebbe essere ritenuta lesiva del diritto di difesa ma non potrebbe nemmeno essere considerata priva di razionalità. Il che dovrebbe indurre a ritenere infondate tutte le questioni di costituzionalità sollevate in relazione alle norme che disciplinano il processo di sicurezza.

Le questioni sub b), aventi ad oggetto la normativa sostanziale relativa alle misure di sicurezza detentive, dovrebbero del pari essere ritenute infondate, poiché sarebbero basate non già su un vizio della legge ma, bensì, su un vizio di attuazione della medesima.

Quanto poi alla questione sub c), relativa all'art. 214 c.p., l'Avvocatura si limita a fare presente che questa Corte ha ritenuto con numerose pronunce non in contrasto con la Costituzione l'istituto della pericolosità presunta.

Quanto, infine, all'ultima questione sollevata, che investe il potere del Ministro di grazia e giustizia di revocare le misure di sicurezza, siffatto potere rappresenterebbe - a giudizio dell'Avvocatura - un adeguato correttivo alla rigidità del sistema ed, in definitiva, si risolverebbe in un beneficio per la persona sottoposta a misura di sicurezza. Esso, poi, non esorbiterebbe dai poteri attribuiti al predetto Ministro dall'art. 110 della Costituzione, data la sua natura sostanzialmente amministrativa, in considerazione della quale dovrebbe essere ritenuta infondata anche l'ulteriore questione prospettata con riferimento all'art. 102 della Costituzione.

Le conclusioni si precisano in una richiesta di declaratoria di infondatezza di tutte le questioni prospettate.

Considerato in diritto:

1. - Il primo gruppo di questioni di legittimità costituzionale concerne gli artt. 635, primo comma; 636, primo, secondo e quinto comma; 637; 638, primo, secondo e quarto comma; 639; 642; 643; 645; 646; 647 c.p.p. (aventi ad oggetto la disciplina del procedimento di applicazione delle misure di sicurezza), in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, sotto il profilo che essi, prevedendo, in ordine al diritto di difesa, garanzie processuali minori e diverse rispetto a quelle che caratterizzano il processo penale ordinario, opererebbero - senza alcuna plausibile giustificazione - una disparità di trattamento tra l'internato che sia assegnato ad una casa di lavoro con sentenza e quello che vi si trovi assegnato con successivo provvedimento del giudice di sorveglianza.

2. - La Corte osserva in via preliminare che i difetti del sistema in ordine alla osservanza dei principi del contraddittorio e della difesa furono messi in rilievo con la sentenza n. 53 del 1968 che dichiarò parzialmente illegittimi gli articoli 636 e 637 c.p.p. ed affermò che, in attesa di un intervento del legislatore, l'esercizio della difesa avrebbe potuto svolgersi sulla base delle norme stabilite per la difesa nella istruttoria sommaria, secondo le estensioni operate in proposito dalla giurisprudenza della Corte. Con la sentenza n. 168 del 1972, successiva alla presente ordinanza di rimessione, nel dichiarare infondata un'analoga questione relativa agli artt. 636 e 637 c.p.p., questa Corte ha poi sottolineato che debbono ritenersi operanti nel procedimento in esame, per logica necessaria estensione, le parallele disposizioni dettate per il processo ordinario, nei limiti in cui le disposizioni risultino, con prudente interpretazione, compatibili con la peculiare struttura, con l'oggetto e con le finalità dello speciale giudizio per l'applicazione delle misure di sicurezza.

La stessa sentenza ha poi dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 645, nella parte in cui, nel caso di mancata notifica all'interessato di alcuno degli atti e dei provvedimenti che la legge prevede siano a lui comunicati, escludeva che il giudice di sorveglianza fosse tenuto, prima di dichiarare la irreperibilità dell'interessato, ad ordinare nuove ricerche e, dopo la suddetta declaratoria, a disporre il deposito degli atti o provvedimenti in cancelleria con contestuale avviso del deposito stesso al difensore dell'interessato, di fiducia o da nominarsi dall'ufficio.

3. - Ciò basta per intendere che gli artt. 636, 637 e 645 c.p.p., nel contenuto risultante dalle sopra menzionate pronunzie di questa Corte, resistono alle attuali censure.

Ed in effetti, per ciò che concerne l'asserito contrasto con l'art. 24 della Costituzione, è sufficiente rilevare che tali disposizioni comportano ormai che il soggetto passivo del procedimento per l'applicazione delle misure di sicurezza successivamente alla sentenza di condanna o di proscioglimento deve essere tempestivamente reso edotto sui fatti in merito ai quali è chiamato a fare dichiarazioni e sui quali il giudice intende dirigere o ha diretto le investigazioni o gli accertamenti, perché in ordine ad essi e ai relativi risultati venga posto in grado di svolgere le proprie difese, sia personalmente sia per mezzo di difensore, con facoltà di esserne assistito in tutti gli atti nei quali ne è ammesso l'intervento dalle disposizioni vigenti (sent. n. 168 del 1972).

Quanto poi alla denunziata violazione dell'art. 3 della Costituzione va considerato che l'applicazione delle misure di sicurezza da parte del giudice di sorveglianza presuppone, in ogni caso, il previo accertamento, a mezzo di un ordinario procedimento di cognizione, di un fatto costituente reato o quasi reato e che i compiti del giudice di sorveglianza sono circoscritti all'accertamento della pericolosità o della persistenza di questa. Dal che discende che la mancata previsione di un secondo grado di procedimento, articolato nella duplice fase istruttoria e dibattimentale, nei vari gradi del giudizio, non solo non può essere ritenuta lesiva del diritto di difesa, ma nemmeno è da considerarsi priva di razionalità.

Le questioni suddette vanno pertanto ritenute infondate.

4. - Alla luce di tali considerazioni non può non ritenersi infondata anche l'ulteriore questione, sollevata con eguali motivi, in riferimento alle stesse disposizioni della Costituzione, ed avente per oggetto l'art. 635, comma primo, c.p.p., il quale, in correlazione con quanto stabilito dall'art. 205, comma secondo, del codice penale, attribuisce al giudice di sorveglianza la competenza per l'applicazione, la modifica, la sostituzione o la revoca delle misure di sicurezza al di fuori dell'istruzione o del giudizio.

5. - Parimenti infondate sono le censure (peraltro formulate in modo generico) riguardanti, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, gli artt. 638, primo, secondo e quarto comma; 639 e 643 codice procedura penale. Di tali articoli, infatti, i primi due richiedono che i provvedimenti del giudice di sorveglianza siano emessi con decreto, previa comunicazione al p.m. tenuto a motivare i suoi pareri e le sue richieste, siano congruamente motivati e comunicati al p.m. e all'interessato (oppure, quando si tratti di infermi di mente o di minori, alla persona alla quale era stato diretto l'invito a norma del secondo o del terzo capoverso dell'art. 636 c.p.p.) e a prevedere che essi possano essere emessi anche su richiesta del p.m., cui spetta promuovere l'esecuzione del provvedimento.

L'art. 643, poi, non fa che richiamare, per ciò che concerne i termini per proporre impugnazione, le disposizioni dell'articolo 199 c.p.p. la cui conformità al dettato costituzionale è stata di recente affermata da questa Corte (sent. n. 136 del 1971) con argomenti che conservano tutto il loro valore. Per quanto concerne poi l'inizio della decorrenza del termine in caso di irreperibilità, deve ora tenersi conto della parziale dichiarazione di illegittimità dell'art. 645 c.p.p. contenuta nella già richiamata sentenza n. 168 del 1972.

6. - Le censure di incostituzionalità investono, sempre con riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, anche gli artt. 642, 646 e 647 del codice di procedura penale.

Quanto all'art. 642 (il cui secondo comma stabilisce che il ricorso del p.m. contro il decreto del giudice di sorveglianza ovvero contro il decreto della Corte d'appello ha effetto sospensivo mentre quello proposto dal privato non sospende l'esecuzione, a meno che vi consenta il p.m.), la questione sollevata risulta inammissibile per palese difetto di rilevanza, essendo attinente a fasi ulteriori del procedimento e condizionata a specifiche situazioni, allo stato meramente ipotizzabili e, quindi, non attuali (sentenza n. 19 del 1974). Alle stesse conclusioni deve giungersi per le questioni che hanno riferimento agli artt. 646 e 647, il primo dei quali prevede che l'efficacia del decreto resti sospesa fino a che non sia trascorso il termine stabilito per il ricorso del p.m. ed il secondo che attribuisce solo al p.m. il potere di ricorrere per motivi di merito contro i decreti pronunciati dal giudice di sorveglianza in tema di riesame dello stato di pericolosità. Anche in questo caso, infatti, trattasi di questioni che potrebbero assumere rilevanza solo in una fase successiva del procedimento, se ed in quanto si realizzino le fattispecie rispettivamente indicate nella normativa in esame.

7. - Il secondo gruppo di questioni investe la intera disciplina sostanziale relativa alla misura di sicurezza dell'assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro (e precisamente gli artt. 215, secondo comma, n. 1, ed ultimo comma, da "a meno che" alla fine; 216, 217, 218, 223, secondo comma, da "salvo che" alla fine; 226, primo comma, secondo periodo; 231, secondo comma (esclusa la previsione del ricovero di un minore in un riformatorio giudiziario), cod. pen., in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 24, secondo comma, 111, 27, terzo comma, e 25, ultimo comma, della Costituzione. Il contrasto non tali disposizioni deriverebbe, secondo quanto si assume nell'ordinanza di rimessione, dalla circostanza che la misura dell'assegnazione ad una casa di lavoro o ad una colonia agricola sarebbe praticamente applicata - in ispecie nello stabilimento indicato nell'ordinanza - con modalità identiche a quelle previste per l'espiazione della pena della reclusione o dell'arresto.

Ma a questa asserita situazione di fatto e ad altre eventualmente consimili come supposte dal giudice a quo, derivanti da ritardi e carenze nell'applicazione della particolare normativa vigente in materia di misure di sicurezza detentive - che peraltro non è stata oggetto di specifiche censure circa il suo contenuto da parte del giudice suddetto - non può riconoscersi alcuna influenza nel giudizio di costituzionalità (v. le sentenze nn. 40 del 1970 e 167 del 1973).

Chiara è quindi l'infondatezza delle questioni sollevate.

8. - Sono altresì infondate le censure mosse, in riferimento alle sovraindicate disposizioni costituzionali, all'art. 214, primo comma, del codice penale, il quale, ove la persona sottoposta ad una misura di sicurezza detentiva si sottragga volontariamente all'esecuzione di essa, dispone che il periodo minimo di durata stabilito dalla legge ricominci a decorrere dal giorno in cui alla misura medesima è data nuovamente esecuzione.

Detta norma - come emerge dai lavori preparatori - poggia sul presupposto che l'inosservanza delle misure di sicurezza costituisca sicura manifestazione della pericolosità che abbia dato luogo all'applicazione delle medesime. Essa va pertanto ricollegata all'istituto della pericolosità presunta che non è stato ritenuto in contrasto con la Costituzione quando la presunzione di pericolosità risulti conforme all'id quod plerumque accidit (v. sentenza n. 106 del 1972).

Il che ragionevolmente può affermarsi rispetto alla norma in esame, in quanto è da ritenersi che la sottrazione all'esecuzione della misura di sicurezza che sia volontaria (e quindi riconducibile alla consapevole volontà dell'agente anziché conseguente ad impellenti avverse contingenze) costituisca, quanto meno nella generalità dei casi, espressione della persistente pericolosità dell'internato.

9. - Nell'ordinanza di rimessione si prospetta, infine, il dubbio circa la compatibilità - con i principi di cui agli artt. 2, 3, 13, 25, 111, 102, 110 della Costituzione - dell'articolo 207, ultimo comma, cod. pen. (che attribuisce al Ministro di grazia e giustizia il potere di revocare le misure di sicurezza "anche prima che sia decorso il tempo corrispondente alla durata minima fissata dalla legge"), affermandosi che tale potere andrebbe al di là di quelli accordati al Ministro dall'art. 110, ed integrerebbe una indebita ingerenza del potere esecutivo nell'esercizio della funzione giurisdizionale, onde la norma sarebbe viziata di irrazionalità e si porrebbe in contrasto con i valori "ineliminabili" della persona e della libertà umane.

La questione è fondata.

Anzitutto lo è in riferimento all'art. 13 della Costituzione, la cui violazione deriva dal fatto che il potere di far cessare la misura limitativa della libertà personale è attribuito (e per un certo periodo di tempo in via esclusiva) ad un organo non giurisdizionale che può provvedere insindacabilmente, e sia a favore che a sfavore dell'interessato, senza obbligo di attenersi ai criteri cui deve invece adeguarsi l'autorità giudiziaria.

Ma ancora più evidente è il contrasto con l'art. 102 della Costituzione.

In effetti, con l'esercizio del potere di revoca il Ministro viene ad interferire nello svolgimento di funzioni giurisdizionali, quali sono indubbiamente quelle disciplinate dagli articoli 634 e seguenti del codice di procedura penale. Il che rende evidente che detto potere non può nemmeno esser fatto rientrare fra quelli che l'art. 110 della Costituzione affida al Ministro di grazia e giustizia e che, per quanto largamente considerati, non possono certo estendersi sino a ricomprendere attribuzioni comportanti una così sensibile ingerenza nella funzione sopradetta.

Va quindi dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'articolo 207, comma terzo, c.p., nella parte in cui attribuisce al Ministro di grazia e giustizia, anziché al giudice di sorveglianza, il potere di revocare le misure di sicurezza personali anche prima che sia decorso il tempo corrispondente alla durata minima stabilita dalla legge.

La declaratoria di illegittimità costituzionale della norma impugnata si estende - ai sensi dell'art. 27 della legge n. 87 del 1953 - per necessaria conseguenzialità - a quella contenuta nel secondo comma dello stesso articolo che pone il divieto di revocare la misura di sicurezza prima che sia decorso il tempo corrispondente alla durata minima stabilita dalla legge.

Ne deriva che spetta al giudice il potere di revoca delle misure di sicurezza - ove sia accertata la cessazione dello stato di pericolosità (art. 207, comma primo, c.p.) - anche prima che sia decorso il tempo corrispondente alla durata minima stabilita dalla legge.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

a) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 207, terzo comma, del codice penale, nella parte in cui attribuisce al Ministro di grazia e giustizia - anziché al giudice di sorveglianza - il potere di revocare le misure di sicurezza, nonché, ai sensi dell'art. 27 della legge n. 87 del 1953, l'illegittimità costituzionale del secondo comma dello stesso articolo 207 del codice penale, in quanto non consente la revoca delle misure di sicurezza prima che sia decorso il tempo corrispondente alla durata minima stabilita dalla legge;

b) dichiara inammissibili, per difetto di rilevanza, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 642, 646 e 647 del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal giudice di sorveglianza presso il tribunale di Pisa con l'ordinanza in epigrafe;

c) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 635, primo comma; 636, primo, secondo e quinto comma; 637; 638, primo, secondo e quarto comma; 639; 643 e 645 del codice di procedura penale e degli artt. 214; 215, secondo comma, n. 1, ed ultimo comma, da "a meno che" alla fine; 216; 217; 218; 223, secondo comma, da "salvo che" alla fine; 226, primo comma, secondo periodo; 231, comma secondo (esclusa la previsione del ricovero di un minore in un riformatorio giudiziario) del codice penale, sollevate - in riferimento, rispettivamente, agli artt. 3 e 24; 2, 3, 13, secondo comma, 24, 111, 27, terzo comma, e 25 della Costituzione - con la predetta ordinanza.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 aprile 1974.,

FRANCESCO PAOLO BONIFACIO - GIUSEPPE VERZÌ - GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI - LUIGI OGGIONI - ANGELO DE MARCO - ERCOLE ROCCHETTI - ENZO CAPALOZZA - VINCENZO MICHELE TRIMARCHI - VEZIO CRISAFULLI - NICOLA REALE - PAOLO ROSSI - LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA - EDOARDO VOLTERRA - GUIDO ASTUTI.

ARDUINO SALUSTRI - Cancelliere