N. 107
SENTENZA 2 LUGLIO 1980
Deposito in cancelleria: 7 luglio 1980.
Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 194 del 16 luglio 1980.
Pres. AMADEI - Rel. PALADIN
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente - Dott. GIULIO GIONFRIDA - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Prof. GUIDO ASTUTI - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Avv. ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 48, ultimo comma, e 54, ultimo comma, in relazione all'art. 47, secondo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354, e dello stesso art. 47, secondo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), promossi con ordinanze emesse il 1 ottobre e il 9 dicembre 1976 dalla Sezione di Sorveglianza di Bologna, sulle istanze proposte da Agostini Aldo e da Castellazzi Giancarlo, iscritte ai nn. 25 e 244 del registro ordinanze 1977 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 59 e 176 del 1977.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 23 aprile 1980 il Giudice relatore Livio Paladin;
udito l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto:
1. - Con ordinanza del 1 ottobre 1976, nel corso di un procedimento promosso da un detenuto condannato per i delitti di rapina aggravata e di furto, che richiedeva la concessione dei benefici della liberazione anticipata o della semilibertà, la sezione di sorveglianza di Bologna ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 48, ultimo comma, e 54, ultimo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354, in relazione all'art. 47, secondo comma, della legge stessa, per asserito contrasto con gli artt. 3, primo e secondo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione.
Circa la pretesa violazione dell'art. 27, secondo comma, Cost., sulla base delle considerazioni svolte da questa Corte nella sentenza n. 204 del 1974, il giudice a quo ricorda che la norma costituzionale impone di verificare se "la quantità di pena espiata" abbia o meno "assolto positivamente al suo fine rieducativo". Tali considerazioni, quantunque pertinenti alla liberazione condizionale, dovrebbero egualmente valere - secondo la sezione di sorveglianza di Bologna - per tutti i benefici previsti dagli artt. 47, 48 e 54 della legge n. 354 del 1975, malgrado la nuova normativa ponga l'accento "non solo sulle condizioni di ravvedimento del soggetto, ma anche su quelle che ne devono aiutare il reinserimento nell'ambiente sociale". In effetti - si afferma ancora nell'ordinanza di rimessione - "il fine rieducativo inerisce ad ogni pena, quale che ne sia la entità", sicché non potrebbero esservi pene "escluse... dalla utilizzazione degli strumenti con i quali il fine predetto viene raggiunto". Il legislatore - si aggiunge - può certo graduare la misura della pena secondo la gravità dei fatti; dopo di che, tuttavia, "la stessa deve seguire le regole comuni alla esecuzione delle pene inflitte per tutti gli altri reati".
Oltre all'art. 27, secondo comma, sarebbe anche violato il principio di eguaglianza, poiché l'esclusione dai benefici della liberazione anticipata e della semilibertà, quanto ai casi di precedente condanna per delitti della stessa indole, verrebbe a dipendere da particolari "vicende processuali" (secondo che sia stata dichiarata, o meno, la continuazione tra i vari episodi); e, quanto agli specifici delitti menzionati nell'art. 47 cpv. della legge n. 354 del 1975 (rapina, rapina aggravata, estorsione, estorsione aggravata, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione), determinerebbe una discriminazione rispetto ad altri delitti ancor più gravi, come per esempio l'omicidio, in ordine ai quali l'esclusione non opera.
D'altronde, la disciplina in questione violerebbe inoltre il secondo comma dell'art. 3 Cost., in quanto tale da "moltiplicare e ribadire... la situazione di emarginazione sociale" dei soggetti interessati, impedendo il pieno sviluppo della loro personalità.
2. - Nel prendere in esame un'istanza di affidamento in prova al servizio sociale (proposta da un soggetto condannato per rapina aggravata), la stessa sezione di sorveglianza di Bologna ha poi sollevato - con ordinanza emessa il 9 dicembre 1976 - la questione di legittimità dell'art. 47, secondo comma, della legge n. 354 del 1975, in riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, e 27, secondo comma, Cost. (ma occorre notare che l'ordinanza risolleva altresì, servendosi singolarmente di un ulteriore e distinto dispositivo, la questione di legittimità degli artt. 48, ultimo comma, e 54, ultimo comma, in riferimento ai medesimi parametri costituzionali e sulla base delle medesime argomentazioni già svolte nel giudizio precedente).
3. - Limitatamente al primo di questi due giudizi, si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato. Nell'atto di intervento si assume preliminarmente che l'ordinanza di rimessione sarebbe "radicalmente nulla", in quanto emessa senza aver sentito il pubblico ministero.
Nel merito, circa l'assenta violazione dell'art. 27, secondo comma, Cost. (da riferire, in realtà, al terzo comma dell'articolo stesso), si osserva anzitutto che la sentenza della Corte richiamata dal giudice a quo non avrebbe influenza nel caso in esame. Del resto, il "precetto rivolto alla rieducazione del condannato", riguardando "esclusivamente l'esecuzione della pena inflitta", si porrebbe su un diverso piano rispetto alle misure alternative alla detenzione, che non rappresenterebbero uno strumento necessario per l'attuazione del fine rieducativo e potrebbero dunque essere escluse "per ben evidenti ragioni di politica criminale sicuramente rientranti nella discrezionalità del legislatore".
Relativamente all'art. 3 Cost., per negare che la disciplina denunciata dal giudice a quo introduca discriminazioni irragionevoli, basterebbe riflettere che il legislatore ha escluso la concessione di certi benefici in base al criterio della pericolosità del condannato, e non in ragione della gravità della pena edittale (o concretamente disposta). Né sarebbe esatto che "l'ultima condanna inflitta possa essere scomposta in più porzioni di pena per sceverare quelle ammesse ai benefici da quelle escluse"; per cui non potrebbero determinarsi le incongruenze cui si accenna nell'ordinanza di rimessione, quanto al caso di un concorso del reato di omicidio con i reati di rapina o di sequestro di persona.
Infine, per ciò che riguarda il secondo comma dell'art. 3, l'Avvocatura dello Stato si limita ad argomentare "che l'emarginazione è connaturale... alla condanna per i reati di più grave pericolosità sociale".
Considerato in diritto:
1. - Data la sostanziale identità delle questioni sollevate dalle due ordinanze di rimessione, i conseguenti giudizi devono essere riuniti e decisi con unica sentenza.
Va infatti respinta l'eccezione d'inammissibilità, proposta dall'Avvocatura dello Stato limitatamente al primo dei giudizi stessi, per la nullità dalla quale sarebbe viziata la relativa ordinanza della sezione di sorveglianza di Bologna, essendo stata emessa in violazione dell'art. 71 della legge 26 luglio 1975, n. 354, cioè senza aver sentito il pubblico ministero. Indipendentemente dal problema se vizi del genere siano rilevabili da questa Corte, è comunque decisivo quanto si desume dagli atti trasmessi dal giudice a quo: ossia che il pubblico ministero, regolarmente avvisato circa il giorno della deliberazione, ha espresso per iscritto parere contrario alla concessione dei benefici richiesti dall'interessato.
2. - Nel merito, la sezione di sorveglianza di Bologna contesta, invocando il principio costituzionale di eguaglianza nonché l'esigenza che la pena tenda alla rieducazione del condannato (sia pure indicata attraverso l'erroneo richiamo del secondo anziché del terzo comma dell'art. 27 Cost.), la legittimità di tutte le norme della legge n. 354 del 1975 - artt. 47 cpv., 48, ultimo comma, 54, ultimo comma - che limitano l'applicabilità delle "misure alternative alla detenzione": coinvolgendo nelle sue censure entrambi i tipi di esclusione previsti da tale disciplina, sia pertinenti all'ipotesi che il condannato "abbia precedentemente commesso un delitto della stessa indole", sia concernenti determinate specie di reati (con particolare riguardo alla rapina aggravata).
Sotto il primo profilo, tuttavia, si rende necessario che il giudice a quo riconsideri la rilevanza della questione. Nel corso del presente giudizio è entrata in vigore la legge 12 gennaio 1977, n. 1: la quale ha introdotto - nell'art. 4 - una disciplina più favorevole al reo, che esclude l'affidamento al servizio sociale (come pure la concessione della semilibertà), soltanto "per i delitti di rapina, rapina aggravata, estorsione, estorsione aggravata, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione".
Inoltre, l'art. 5 di quest'ultima legge incide - imponendo anche in tal senso la restituzione degli atti - sull'intera impugnativa dell'art. 54, ultimo comma, della legge n. 354 del 1975, compresa la parte riguardante l'esclusione del relativo beneficio per i condannati che abbiano commesso un delitto di rapina; giacché il comma stesso e stato abrogato, consentendo pertanto che tutti i condannati a pena detentiva possano ottenere la liberazione anticipata.
3. - Le innovazioni apportate dalla legge n. 1 del 1977 non alterano invece i termini della questione di legittimità degli artt. 47, secondo comma, e 48, ultimo comma, quanto al divieto di affidamento in prova al servizio sociale e di concessione del regime di semilibertà, per i condannati (o per gli internati) che abbiano commesso determinati delitti, fra cui figura appunto la rapina aggravata: divieto che la sezione di sorveglianza di Bologna considera incostituzionale, sia perché implicante un'arbitraria disparità di trattamento ed una più gravosa emarginazione sociale degli interessati rispetto ai condannati per altri delitti egualmente o maggiormente gravi (che possono pur sempre beneficiare delle misure in esame), sia perché tale da rendere impossibile il conseguimento di quel fine rieducativo cui deve tendere l'espiazione di qualsiasi pena. Ma la questione non è fondata, né in riferimento all'art. 3, primo e secondo comma, né in vista dell'art. 27, terzo comma, della Costituzione.
Da un lato, i lavori preparatori della legge n. 354 del 1975 dimostrano che il legislatore, rendendo inapplicabile ad una data serie di delitti le "misure alternative alla detenzione", ha inteso fronteggiare più efficacemente condotte criminose che possono considerarsi di particolare pericolosità, per la loro frequenza e per i loro effetti, e che danno luogo ad accentuati allarmi nella società contemporanea. Disposizioni del genere sono naturalmente opinabili, sia per ciò che riguardano in modo esplicito, sia per ciò che escludono dalla loro previsione. Ma si tratta di scelte che non si prestano a venire censurate e, meno ancora, modificate da parte della Corte, nei termini indicati dal giudice a quo: allo stesso modo che di regola appartengono alla discrezionalità legislativa, tanto la definizione delle varie figure di reato, quanto il ricorso ai relativi provvedimenti di clemenza (come ha precisato, in quest'ultimo senso, la sentenza n. 175 del 1971). Ciò basta a far concludere, con riferimento ad entrambi i commi dell'art. 3, che le norme impugnate non ledono il principio costituzionale di eguaglianza.
D'altro lato, le ordinanze di rimessione forzano il significato della statuizione contenuta nell'art. 27, terzo comma, Cost., conducendo alle estreme conseguenze la tesi che "il fine rieducativo inerisce ad ogni pena"; ed inutilmente ricercano conferme nella precedente giurisprudenza della Corte. Vero è che la sentenza n. 204 del 1974 afferma "il diritto per il condannato a che... il protrarsi della realizzazione della pretesa punitiva venga riesaminato al fine di accertare se in effetti la quantità di pena espiata abbia o meno assolto positivamente al suo fine rieducativo". Ma un tale diritto vien fatto dipendere dal verificarsi delle condizioni previste dalla legge penale. E la frase richiamata dal giudice a quo va comunque intesa collegandola al problema specifico, che la Corte era allora chiamata a risolvere, delle rispettive attribuzioni del potere giudiziario (ovvero del giudice di sorveglianza) e del potere esecutivo (ovvero del Ministro della giustizia).
Del resto, la Corte ha chiarito, nella sentenza n. 12 del 1966, che accanto alla rieducazione del condannato la pena persegue altri scopi, "essenziali alla tutela dei cittadini e dell'ordine giuridico contro la delinquenza"; e, nella sentenza n. 264 del 1974, ha quindi ribadito che la funzione ed il fine della pena stessa non si esauriscono nella "sperata emenda" del reo, ma hanno di mira esigenze irrinunciabili di "dissuasione, prevenzione, difesa sociale". Se oltre a ciò si considera che ormai la misura alternativa della liberazione anticipata può essere disposta anche per i gravi delitti tassativamente menzionati nell'art. 47, secondo comma, della legge n. 354 del 1975, ne segue a più forte ragione che le limitazioni tuttora concernenti l'affidamento in prova al servizio sociale ed il beneficio della semilibertà non contrastano neppure con l'art. 27, terzo comma, della Costituzione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 47, secondo comma, e 48, ultimo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354, nella parte concernente i delitti di rapina, rapina aggravata, estorsione, estorsione aggravata, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, sollevata dalla sezione di sorveglianza di Bologna - in riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, e 27, terzo comma, Cost. - con le ordinanze indicate in epigrafe;
2) ordina la restituzione degli atti alla sezione di sorveglianza di Bologna.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 luglio 1980.
F.to: LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA - EDOARDO VOLTERRA - GUIDO ASTUTI - MICHELE ROSSANO - ANTONINO DE STEFANO - LEOPOLDO ELIA - GUGLIELMO ROEHRSSEN - ORONZO REALE - BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - ALERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI.
GIOVANNI VITALE - Cancelliere