Corriere della Sera 14 maggio 2013
A TORINO IL CONGRESSO NAZIONALE SULL'AIDS
Allarme Hiv ed epatite nelle carceri
Uno su tre non sa di essere malato.
La positività per il test di epatite C è del 28% dei detenuti, per l’epatite B del 7%, e il 3,5% per l’Hiv.
MILANO - Nelle carceri italiane due persone su tre sono malate e una persona su tre non è consapevole del proprio stato di salute. Parliamo di malattie infettive gravi: epatite, Hiv, tubercolosi, sifilide. Se ne è parlato in chiusura del quinto Congresso Nazionale ICAR (Italian Conference on Aids and retrovirus) dedicato a Aids e Hiv, con 600 specialisti radunati al Centro Congressi del Lingotto a Torino. «La positività per il test di epatite C è del 28% dei detenuti, per l’epatite B del 7%, e il 3,5% per l’Hiv. Inoltre il 20% ha una tubercolosi latente e il 4% ha presentato test positivi per la sifilide - ha spiegato Evangelista Sagnelli, professore di Malattie Infettive alla Seconda Università di Napoli -. Il dato più preoccupante è che una persona su tre non è a conoscenza del suo stato di salute in relazione a queste infezioni: occorre quindi essere molto cauti per evitarne un’ulteriore diffusione». Lo studio sulle carceri italiane è stato fatto dalla SIMIT (Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali) e NPS (Network Persone Sieropositive) in venti istituti, su un campione pari al 60% dei detenuti, circa 2.700 persone.
I NUMERI - Al Congresso è stato ricordato come si sia ridotta la percentuale di nuovi casi di infezione di Hiv legato alla tossicodipendenza in relazione agli altri fattori di rischio: i Sert, infatti, riescono a contenere la diffusione, grazie a un accurato controllo dei soggetti tossicodipendenti. Aumentano invece i casi per diffusione sessuale, ad oggi la causa principale dei nuovi contagi. Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, dal 1985, escludendo le persone di età inferiore ai 15 anni diagnosticate con Hiv, si osserva un aumento costante dell’età media al momento della diagnosi di infezione, che è passata da 26 anni per i maschi e 24 anni per le femmine nel 1985 a, rispettivamente, 38 e 34 anni nel 2011. Nel 2010 la classe di età più rappresentata è quella 35-44 anni, nel 2011 quella 25-34 anni. La proporzione di donne era aumentata all’inizio degli anni 2000 ma negli ultimi anni sta diminuendo di nuovo. L’età media alla diagnosi dei casi adulti di Aids mostra un aumento nel tempo, sia tra gli uomini che tra le donne. Infatti, se nel 1991 la mediana era di 31 anni per i maschi e di 29 per le femmine, nel 2011 le medie sono salite rispettivamente a 44 e 42 anni. Nell’ultimo decennio, la proporzione di casi di Aids di sesso femminile tra i casi adulti è rimasta sostanzialmente stabile intorno al 23-25%. Le regioni con la maggiore incidenza sono, in ordine, Lazio (3,2%), Liguria (2,9%), Toscana (2,7%) e Piemonte (2,7%); quelle con il minor numero di casi Trentino Alto Adige (0,2%), Umbria (0,7%), Molise, Campania e Sardegna (0,9%).
Corriere della Sera 13 maggio 2013
Hiv, Italia prima al mondo per aspettativa di vita
L’80% delle nuove infezioni deriva da rapporti sessuali non protetti, negli anni '80 prevaleva lo scambio di siringhe
MILANO - L'aspettativa di vita in Italia per un paziente con Hiv, che segue una corretta terapia, è la più alta al mondo. A dirlo è uno studio internazionale presentato al CROI (Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections) di Atlanta. Il primato italiano sulla terapia antiretrovirale è stato messo in luce dalla ricerca che confrontato infezioni, miglioramenti e decessi dei soggetti in terapia segnalati nei registri nazionali.
LE CAUSE - «In Europa la differenza non è particolarmente rilevante: Francia, Spagna e Germania presentano dati più o meno simili - spiega Giovanni Di Perri, consigliere della SIMIT (Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali) -. Sorprende, invece, lo scarto italiano, in positivo, con i dati degli Stati Uniti. Sono cambiati anche i costumi sociali: l’Hiv si trasmette sempre di più con i rapporti sessuali, mentre negli anni Ottanta era soprattutto causata dallo scambio di siringhe infette: oggi l’80% delle nuove infezioni deriva da rapporto sessuale non protetto. L’età media dei pazienti è di 30-40 anni, mentre fino al 2000 fa era tra i 20 e 30 anni: un dato importante, perché sembrerebbe che i nostri pazienti stiano "invecchiando naturalmente", con tutti gli acciacchi e le malattie legate all’età».
IL CONGRESSO - Di Hiv si parla a Torino nella quinta edizione di I.C.A.R. (Italian Conference on AIDS and Retrovirus), promosso dalla Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali e che vede la partecipazione di 600 specialisti. Il congresso nazionale sull’AIDS vuole offrire alla comunità scientifica e alle associazioni del volontariato un ambito di confronto, discussione e crescita su quanto attiene a prevenzione diagnosi e cura dell’infezione da Hiv e delle patologie correlate e alla promozione della ricerca scientifica. Largo spazio a una delle più importanti novità nell’ambito della ricerca scientifica, la terapia antiretrovirale, che apporterebbe un notevole cambiamento nel quotidiano del paziente sia da un punto di vista economico, che di qualità della vita. La somministrazione di questa terapia determina l’inibizione della moltiplicazione del virus Hiv e si associa al ripristino delle difese immunitarie. Nelle migliori condizioni di esercizio terapeutico l’aspettativa di vita di un paziente regolarmente in terapia inizia ad approssimarsi a quella della popolazione generale. È ovvio che se la terapia venisse interrotta l’infezione da Hiv riprenderebbe il suo decorso naturale e il paziente sarebbe nuovamente a rischio di decesso.
LA TERAPIA - «La ricerca industriale porta a nuove soluzioni farmaceutiche più tollerate e più comode da assumere - spiega Di Perri, presidente del congresso -, come ad esempio la disponibilità di una singola compressa contenente tre principi, e quindi l’intera terapia da assumere solo una volta al giorno. Dall’altra numerosi ricercatori clinici stanno perseguendo strategie di induzione-mantenimento, ovvero caratterizzate da un inizio di terapia regolare con tre farmaci e successivamente, una volta ottenuto un certo grado di beneficio iniziale, dalla prosecuzione con due o addirittura un solo farmaco in modo da alleggerire l’impegno terapeutico del paziente, l’eventuale tossicità a lungo termine della terapia e quindi anche riducendo i costi della stessa».