Cass. pen., Sez. un., 31 gennaio 2013 (dep. 10
giugno 2013), n. 25401, Pres. Lupo, Rel. Franco, ric. G. (anche
dopo le modifiche recate dalla legge n. 49 del 2006 al T.u. stup.,
non costituiscono reato, ma solo l'illecito amministrativo di
cui all'art. 75 del citato T.u., l'acquisto e la detenzione di
sostanze stupefacenti destinate all'uso di gruppo, purché sin
dall'inizio essi avvengano anche per conto di soggetti diversi
dall'agente e sia certa l'identità di questi ultimi, e risulti
altresì manifesta la loro volontà di procurarsi le sostanze
destinate al proprio consumo)
1. Repetita
iuvant. Le Sezioni unite confermano il loro indirizzo, già
espresso molti anni fa in un contesto legislativo solo
apparentemente diverso (Sez. un., 28
maggio 1997, n. 4, in Guida
dir., 1997, n. 33, p. 62, con commento di Amato nonché, in
motivazione, pur con criptici riferimenti alla questione
dell'assunzione non esclusivamente individuale dello
stupefacente, Sez. un., 24 giugno 1998, n. 9973, in Foro
it., 1998, II, c. 758, sempre con commento di Amato).In
tal modo compongono incertezze interpretative nate all'indomani
del varo di modifiche al Testo unico stupefacenti introdotte con
legge n. 49 del 2006, di conversione del d.l. n. 272 del 2005,
riaffermando che il cd. uso
o consumo di gruppo di
stupefacenti (espressione di per sé fuorviante e comprensiva di
situazioni e casi eterogenei) è
penalmente irrilevante e
integra esclusivamente un illecito
amministrativo. E ribadiscono altresì per implicito -
considerate le ricorrenti oscillazioni sul punto, della cui
esistenza opportunamente la sentenza si fa carico con una
ricostruzione diligente della storia giurisprudenziale
dell'ultimo ventennio - che neanche in tema di stupefacenti,
materia ad alto impatto emotivo e fortemente condizionata da
ideologismi di varia natura, possono essere eluse, in nome di
una disapprovazione sociale non codificata, le regole generali
di interpretazione delle norme penali: del che è conferma il
fatto che, nel caso di specie, pur conclusosi con il decesso di
uno dei partecipi al consumo di gruppo, questo principio è stato
rigorosamente osservato.
In particolare, e a titolo meramente esemplificativo, il
Supremo Collegio rileva - pur nel dichiarato valore
"secondario", a tal fine, dei lavori preparatori - che anche
a voler ammettere che l'intenzione
del legislatore fosse quella di
criminalizzare l'acquisto e la detenzione per uso di gruppo,
essa comunque «non si
è tradotta in una espressa ed oggettivamente univoca norma di
legge, sebbene il consolidato diritto vivente
escludesse pacificamente la rilevanza penale della
fattispecie"».
D'altronde, dell'ambiguità della
risposta punitiva congegnata dalla legge n. 49/2006, è
testimonianza, secondo la sentenza, non solo l'equiparazione del
trattamento dello spaccio di droghe pesanti e leggere, ma anche
l'attenuazione della risposta sanzionatoria proprio per le
condotte più gravi riguardanti le prime. E non è un caso che,
con riguardo alla ritenuta irrazionalità di questa disciplina,
sia stata sollevata questione di legittimità costituzionale
dalla Corte d'appello di Roma (ordinanza 28 gennaio 2013, in questa Rivista,
con commento di Romano) e, più recentemente, anche dalla stessa
Corte di cassazione (sez. III, 9 maggio 2013 n. 25554, ancora in questa
Rivista).
2. Com'è
noto, la questione approdata alle Sezioni unite è nata a seguito
delle modificazioni introdotte dalla legge n. 49 del 2006 al
Testo unico stupefacenti e, in particolare, dalla nuova
formulazione dell'art. 73, in forza del cui comma 1-bis,
interpolato dalla citata novella, la detenzione di sostanze
stupefacenti che, per quantità o per modalità di presentazione o
per altre circostanze dell'azione, appaiono destinate ad un uso
non esclusivamente personale
integra il reato di narcotraffico previsto al comma 1.
L'avverbio esclusivamente,
che non figurava nella precedente formulazione, ha indotto una
parte della giurisprudenza ad attribuirgli un peso
interpretativo determinante,
quello di escludere che il consumo
di gruppo della
droga potesse continuare a considerarsi penalmente lecito, al
pari dell'uso individuale.
Si è, infatti, osservato che altro è "l'uso personale", altra
e ben diversa cosa è "l'uso esclusivamente personale" (secondo
il nuovo testo): se ne è, quindi, dedotto che, proprio in virtù
dell'avverbio, dovrebbe imporsi un'interpretazione
più restrittiva rispetto
a quella corrente nella vigenza del precedente testo. Da ciò
l'affermazione che non può
più farsi rientrare nell'ipotesi
di consumo esclusivamente personale il
cd. uso di gruppo,
del quale sono sottospecie sia il caso in cui un gruppo di
soggetti dia mandato a uno di essi di acquistare dello
stupefacente, sia quello in cui due o più soggetti acquistino
congiuntamente sostanza stupefacente destinata ad essere
consumata collettivamente (sez. IV, 9 ottobre 2012, n.
4560/2013, inedita; sez. III, 20 aprile 2011, n. 35706, in questa
Rivista, con
commento di Tombesi; sez. III, 13 gennaio 2011 n. 7971, in Cass.
pen., 2011, 4003, con commento di D'Ippolito; sez. II, 6
maggio 2009 n. 23574, in C.e.d.
Cass., n. 244859).
Sull'opposto versante, si è ritenuta la
perdurante validità dell'interpretazione maturata ante legge
n. 49 del 2006, riaffermandosi il principio che il
consumo di gruppo di sostanze stupefacenti conseguente
al mandato all'acquisto collettivo conferito a uno degli
assuntori non
configura un illecito penale (sez.
III, 11 dicembre 2012, n. 224/2013, inedita; sez. VI, 27
febbraio 2012, n. 17396, in C.e.d.
Cass., n. 252499; sez. VI, 12 gennaio 2012, n. 3513,ivi,
n. 251579; sez. VI, 27 aprile 2011, n. 21375, ivi,
n. 250064; sez. VI, 26 gennaio 2011, n. 8366, in questa Rivista,
con commento di Tombesi).
Sostanzialmente si è osservato che l'avverbio esclusivamente
aggiunto dalla legge del 2006, in assenza di altre, non
equivoche, indicazioni testuali, assume il valore di una
superfetazione priva di incidenze interpretative significative.
Tanto più che, anche a voler ammettere una sua vaga e possibile
valenza in senso rigorista, nell'incertezza si dovrebbe sempre
optare per l'interpretazione meno pregiudizievole al reo,
secondo i comuni canoni ermeneutici in materia penale.
3. Le
Sezioni unite prendono partito per l'interpretazione meno
penalizzante, non attardandosi su argomenti di minore spessore
spesi dall'orientamento più restrittivo, pur confutati
partitamene in modo puntuale, quantunque ripetitivi di altri,
antecedenti alla loro sentenza 28 maggio 1997, n. 4, cit.,
che li aveva già ineccepibilmente ritenuti infondati.
Non mette conto, quindi, soffermarsi ulteriormente su di
essi, anche perché si finirebbe per ripetere argomentazioni già
esposte sedici anni fa dalle Sezioni unite o parafrasare
l'esauriente e completa disamina della sentenza odierna, alla
quale, pertanto, si rinvia per ogni ulteriore dettaglio
argomentativo.
Al clou -
osserva giustamente la Corte - l'argomento principale sul quale
si basa l'orientamento restrittivo resta quello letterale,
fragile e di ambigua portata, al quale si è già fatto cenno,
dell'avverbio esclusivamente.
L'interpolazione tra le parole uso e personale di
tale avverbio non potrebbe, infatti, avere un significato
particolare e indurre l'interprete a identificare l'uso
esclusivamente personale con
l'uso individuale.
Una simile conclusione, infatti, urterebbe in modo plateale
con i principi di tassatività e di legalità che governano la
materia penale e si porrebbe irrimediabilmente in contrasto con
il divieto di analogia in
malam partem.
Quindi - precisano perspicuamente le Sezioni unite - l'avverbio ha
oggettivamente un significato pleonastico e rafforzativo.
Comunque, non è idoneo a mutare il senso dell'aggettivo cui
accede e meno che mai a poter giustificare un capovolgimento
dell'interpretazione sin qui consolidatasi sul testo
preesistente. Ed è, piuttosto, plausibile
attribuirgli il
significato di
porre in evidenza che per escludere
il reato occorre che la droga sia destinata totalmente (appunto
esclusivamente) all'uso
personale e neppure in parte alla cessione a soggetti estranei all'acquisto
e alla detenzione.
D'altronde, la creazione di una nuova fattispecie penale non
potrebbe desumersi dalla circostanza che il nuovo testo
legislativo abbia ricostruito l'illecito amministrativo in
termini di residualità rispetto all'area di rilevanza penale,
posto che la norma penale continua a punire la destinazione
all'uso non esclusivamente personale, mentre nell'ipotesi di consumo
di gruppo la
detenzione della droga è immediatamente collegata all'uso dei
singoli acquirenti o dei mandatari appartenenti al gruppo.
Infine, last,
but not least, la sentenza affronta un argomento che
rappresenta il "nervo scoperto" dell'interpretazione
restrittiva: poiché sarebbe pacifica l'intenzione del
legislatore del 2006 di sanzionare penalmente tutte le condotte
dirette alla propalazione della droga a terzi, anche l'ipotesi
dal mandato ad acquistare per uso collettivo di gruppo
integrerebbe ora il reato, giacché anche con questa condotta si
finirebbe per realizzare una diffusione a terzi della sostanza
stupefacente. Facile la replica: così si esprime una valutazione
di politica criminale che non può trovare ingresso in una
esegesi corretta e costituzionalmente orientata della norma
penale.
4. Qualche
riflessione finale. Come ci eravamo permessi di notare, in
termini prognostici, nella presentazione dell'ordinanza di
rimessione del ricorso alle Sezioni unite, il legislatore del
2006 non ha voluto alcun giro di vite sul consumo
di gruppo di sostanze stupefacenti.
È, peraltro, bastato un (irrilevante e pleonastico) avverbio
introdotto nella precedente formulazione legislativa per fornire
l'occasione a una cospicua giurisprudenza per un revirement sprovvisto
di argomenti seri a supporto, quantunque a volte di una certa
suggestione (per un illuminante esempio in tal senso, si veda,
in questa Rivista,
la già citata nota di Tombesi alla sentenza n. 35706 del 2011).
Se si considera che quasi mai modificazioni di così modesta
portata inducono a inversioni di tendenza nell'interpretazione
del diritto, e si tiene conto della specifica vischiosità della
giurisprudenza di legittimità, c'è da supporre che il caso
dell'uso di gruppo post legge
n. 49 del 2006 rappresenti un'anomalia nel panorama dell'id
quod plerumque accidit nella
giurisprudenza della Corte di cassazione. E che la ragione di
questa anomalia vada ricercata nella particolare materia oggetto
di disciplina, intrisa, come si ricordava in principio, di
ideologismi di varia natura.
In questo quadro va segnalato un profilo - forse uno dei più
interessanti - posti in rilievo da ultimo nella sentenza che si
annota: quello della procedura di approvazione delle norme
riguardanti il T.u. degli stupefacenti ad opera della legge 49,
fatte oggetto, per un altro aspetto, come pure si è ricordato in
principio della presente nota, di censura di incostituzionalità ex art.
77 Cost.
Com'è noto, la disciplina della quale qui si discute è stata
introdotta mediante una serie di emendamenti al testo del d.l.
30 dicembre 2005, n. 272, approvati in sede di conversione in
legge; emendamenti che appaiono (la sentenza adopera
un'espressione più cauta: «potrebbero apparire») estranei alla
materia e alle finalità dell'originario testo del decreto legge.
Questa circostanza potrebbe determinarne l'incostituzionalità,
alla luce della giurisprudenza costituzionale (Corte cost., 16
febbraio 2012, n. 22, in questa
Rivista,
con nota di D'Amico, e Corte cost., 6 marzo 2013, n. 34), a meno
che del complesso tessuto normativo non si dia
un'interpretazione costituzionalmente obbligata.
A dire il vero, la sentenza non si spinge così oltre,
limitandosi a sottolineare che, se fosse esatto l'orientamento
interpretativo non condiviso, si dovrebbe supporre che con gli
emendamenti al decreto legge sia stata introdotta una nuova
norma penale contenente una metamorfosi (da illecito
amministrativo a illecito penale) della condotta di acquisto e
detenzione di sostanze stupefacenti destinate al consumo di
gruppo, in un contesto che è del tutto estraneo alla materia
oggetto della decretazione d'urgenza («Misure urgenti per
garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime
Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità dell'Amministrazione
dell'interno. Disposizioni per favorire il recupero di
tossicodipendenti recidivi»: così l'intitolazione del d.l. 30
dicembre 2005, n. 272).
Conseguentemente, secondo la sentenza, «l'interpretazione
(...) adottata, nel senso di escludere che con l'aggiunta
dell'avverbio "esclusivamente" sia stata introdotta una nuova
fattispecie incriminatrice, appare anche quella più
corrispondente allo speciale procedimento legislativo
prescelto».
In realtà, l'argomento dovrebbe provare soltanto che il complesso
delle disposizioni inserite, in sede di conversione,
nel decreto-legge e aventi contenuto eterogeneo rispetto alla
materia oggetto di esso,è esposto a dubbio di
incostituzionalità e
che solo l'interpretazione offerta dalle Sezioni unite è in
grado di far ritenere immune da censure la norma sull'uso di
gruppo: dunque non l'interpretazione
più corrispondente allo speciale procedimento legislativo
adottato, come si legge, ma l'interpretazione
costituzionalmente obbligata della norma in
discussione.
Ma la conclusione non sarebbe diversa, se si optasse per la
tesi più radicale della illegittimità costituzionale delle
disposizioni impropriamente inserite nel decreto legge con i
citati emendamenti: caduti i quali, verrebbe riesumato il testo
anteriore alla legge n. 49 e, con esso, la pacifica sua
interpretazione nel senso, indicato da Sez. un. 28 maggio 1997,
n. 4, della illiceità
esclusivamente amministrativa del consumo di gruppo.
Sarebbe auspicabile, anche tenuto conto del lodevole trend
interpretativo già manifestatosi successivamente alla
decisione in rassegna, che registra un adeguamento delle sezioni
semplici al suo dictum (tra
le prime, sez. V, 8 febbraio 2013, n. 16316 e sez. VI, 6 marzo
2013, n. 12898, entrambe inedite), che diatribe superflue, come
quella della quale si è avuto modo qui di dare atto, non abbiano
più a ripetersi. |