ORDINANZA TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI MILANO
Carceri “inumane”, la Consulta giudicherà sul rinvio della pena
Tribunale di sorveglianza di Milano - Ordinanza 18 marzo 2013

Guida al Diritto | il Sole 24 ore - 25 marzo 2013



Dopo la condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo (caso Torreggiani), si rafforza il fronte giurisdizionale che chiede strumenti concreti per intervenire a tutela dei singoli detenuti costretti in carceri sovraffollate. A poco più di un mese dall’ordinanza di Venezia, il tribunale di sorveglianza di Milano, infatti, ha emesso una ordinanza di rinvio alla Corte costituzionale per chiedere un pronuncia “addittiva” che consenta il differimento della pena quando le condizioni della reclusione si traducano in un trattamento contrario al senso di umanità.


Le condizioni “inumane” della cella
Il caso è quello di un uomo condannato a 15 anni per gravissimi reati (associazione mafiosa, sequestro di persona possesso abusivo di armi ecc.) che sta scontando la pena nel carcere di Monza. Pur trovandosi in buona salute egli ha lamentato che “la detenzione si starebbe svolgendo con modalità disumane equiparabili a tortura, in quanto costretto a stare in una cella di circa nove mq dimensionata per due detenuti, mentre vi sono sistemate tre persone”. 

Non solo, considerando gli arredi “e cioè il letto a castello a due piani, la terza branda, l’armadio per i vestiti, comunque insufficiente per gli indumenti di tre persone e che pertanto devono essere sistemati sotto il letto, i tre sgabelli non fissati al pavimento, un tavolino” ecc., la metratura calpestabile risulta di molto inferiore, “tanto che i tre ospiti non potevano scendere dal letto contemporaneamente”. Inoltre in cella non v’è “alcuna suppellettile per posizionare anche solo gli spazzolini da denti e il sapone che erano stati provvisoriamente sistemati sopra delle mensoline costruite da loro stessi con i pacchetti di sigarette e incollati al muro”. 

Il bagno di circa 1 mq è senza porta e privo di areazione “pertanto è maleodorante” e non è fornito neppure di acqua calda. Al muro vi sono muffe e il detenuto ricorrente, il più giovane dei tre, deve dormire su di una brandina pieghevole “troppo corta” per potervisi stendere.


Non vi sono strade alternative
Neppure si possono tentare strade alternative. Secondo il tribunale di sorveglianza, infatti: “Il detenuto non può beneficiare allo stato, in considerazione dei reati commessi … della loro gravità e del fine pena lontano, di qualsivoglia misura prevista dall’ ordinamento per esigenze meramente (o prevalentemente) deflattive (come ad esempio la misura temporanea dell’esecuzione della pena al domicilio) o per scopi di umanizzazione o rieducativi, che possano rivestire come conseguenza seppur indiretta o temporanea (come ad esempio nel caso del permesso premio) quella di sottrarre il condannato a carcerazioni degradanti".


Il rinvio dell’esecuzione
“Non resterebbe, dunque, - prosegue l’ordinanza - che ricorrere effettivamente alla norma ‘di chiusura’ - oggi invocata - costituita dal rinvio dell’esecuzione ex art. 147 istituto non a caso previsto dal codice penale (e non dall’ordinamento penitenziario) tra le norme generali sull’esecuzione della pena”.

 

Ma ciò, si affretta a spiegare il giudice, non è possibile prevedendo la legge in modo tassativo i casi in cui il rinvio è possibile (si va dalla gravidanza al puerperio, all’Aids conclamato o ad “altra malattia particolarmente grave”). Stando così le cose, osserva il magistrato, non vi è dunque neppure alcun margine per agire in via interpretativa.


Il rinvio alla Consulta
A questo punto richiamando la sentenza della Cedu, che ha imposto all’Italia effettivi rimedi preventivi e non solo compensatori, il tribunale ha dichiarato “rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’articolo 147 c.p. nella parte in cui non prevede, oltre ai casi ivi espressamente contemplati, l’ipotesi di rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena quando essa debba svolgersi in condizioni contrarie al senso di umanità, per violazione degli artt. 27, co. 3, 117, co. 1 Cost. (nella parte in cui recepisce l’art. 3 della Convezione europea sui diritti dell’uomo del 4 novembre 1950, ratificata cori legge 4 agosto 155 n. 848, e nell’interpretazione a sua volta fornita dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo di ‘trattamento inumano o degradante’), 2 e 3 Cost.”.