Trib. Sorveglianza
Venezia, ord. 13 febbraio 2013, Pres. Pavarin, Est. Bortolato
1. Dopo la sentenza
n. 4772/13 (Vizzari) della Corte di cassazione, che affronta il
problema della tutela risarcitoria in caso di violazione del
diritto di cui all'art. 3 CEDU conseguente alle condizioni di
sovraffollamento carcerario, l'ordinanza qui pubblicata si
occupa invece del versante 'preventivo' della tutela del
diritto del detenuto a non subire in carcere una pena inumana e
degradante, secondo le fondamentali indicazioni fornite
dalla ormai notissima sentenza pilota della Corte EDU
Torreggiani c. Italia, dello scorso 8 gennaio
2013.
Il Tribunale di Sorveglianza di
Venezia, investito del ricorso di un detenuto condannato in via
definitiva mirante ad ottenere il differimento dell'esecuzione
della pena proprio in ragione delle condizioni di
sovraffollamento del carcere di Padova nel quale si trova
attualmente ristretto, solleva questione di legittimità
costituzionale dell'art. 147 c.p., che disciplina le ipotesi di
differimento facoltativo della pena, nella parte in cui non
prevede l'ipotesi in cui "la pena debba svolgersi in condizioni
contrarie al senso di umanità", per contrasto con gli articoli
27 co. 3, 117 co. 1 (in relazione all'art. 3 CEDU
nell'interpretazione fornitane dalla Corte di Strasburgo),
nonché 2 e 3 Cost.
2. Rinviando qui
alla motivazione del provvedimento per ogni dettaglio, merita
qui soltanto evidenziare come il Tribunale ritenga di
non poter superare, in via di interpretazione conforme
alla CEDU, il carattere tassativo delle ipotesi di
differimento della pena previste dall'art. 147 c.p. (e
a fortiori dallo stesso art. 146, relativo alle ipotesi
di differimento obbligatorio), con conseguente
necessario coinvolgimento del giudice delle leggi
affinché provveda, attraverso una pronuncia additiva, a
estendere l'ambito di applicazione della norma codicistica
all'ipotesi in cui le condizioni concrete di esecuzione della
pena risultino incompatibili con il diritto del detenuto di cui
all'art. 3 CEDU, secondo la lettura ribadita dalla Corte europea
con riferimento proprio al nostro paese nel caso Torreggiani.
La questione di costituzionalità
prospettata è, secondo il Tribunale, rilevante
nel caso di specie, dal momento che il detenuto in questione -
al quale non potrebbe essere concesso allo stato alcun beneficio
previsto dall'ordinamento penitenziario, ancorché non si tratti
di persona di spiccata pericolosità sociale - si trova
attualmente collocato in una cella condivisa con altri due
detenuti di dimensioni appena superiori ai 9 mq; e pertanto
dispone individualmente, considerato l'ingombro
provocato dai numerosi mobili presenti nella cella, di
uno spazio ben inferiore ai 3 mq indicati dalla Corte europea
come la dimensione minima al di sotto della quale deve sempre
presumersi la violazione del diritto di cui all'art. 3 CEDU.
La questione non è,
infine, manifestamente infondata, in relazione
non solo ai parametri 'interni' rappresentati dagli artt. 2 e 3
(sotto il profilo della violazione della dignità umana e sociale
del detenuto) e dall'art. 27 co. 3 Cost. (sotto il duplice
profilo del divieto di trattamenti contrari al senso di umanità
e del finalismo rieducativo della pena), ma anche - e
soprattutto - al dovere di rispetto degli obblighi
internazionali discendente dall'art. 117 co. 1 Cost., e
segnatamente degli obblighi imposti a carico dell'ordinamento
italiano dalla sentenza Torreggiani c. Italia più volte
citata, che vincola il nostro paese a dotarsi dei rimedi
idonei a prevenire o far cessare le violazioni
dell'art. 3 CEDU, oltre che per assicurare ristoro
pecuniario contro le avvenute violazioni. Obblighi
questi ultimi - sottolinea giustamente il Tribunale -
che incombono, come la stessa Corte europea ha
autorevolmente rammentato, su tutti gli organi e poteri dello
Stato italiano: compresa dunque la magistratura,
ordinaria e (per quanto di competenza) costituzionale, chiamate
a fare tutto il possibile per evitare il prodursi o il protrarsi
di violazioni del diritto convenzionale in questione.
3. L'ordinanza qui
pubblicata costituisce, all'evidenza, un tentativo di
individuare in via pretoria un rimedio effettivo contro la
violazione del diritto fondamentale del detenuto a un
trattamento penitenziario umano e non degradante,
secondo le indicazioni fissate dalla Corte europea nella
sentenza Torreggiani. Tale rimedio non può,
realisticamente, che essere ricercato in soluzioni alternative
rispetto alla carcerazione: come osserva giustamente il
Tribunale, il rimedio offerto dal reclamo ex art. 35
ord. pen. da parte di un detenuto che miri a essere trasferito
in una cella non sovraffollata, e comunque a essere alloggiato
in condizioni compatibili con l'art. 3 CEDU, finirebbe - anche
ammesso che l'amministrazione penitenziaria possa e voglia
eseguire il provvedimento del Magistrato di sorveglianza - per
trasferire il problema sul detenuto destinato a prendere il
posto nella cella in cui si trovava prima il compagno uscito
vittorioso dal procedimento di reclamo.
La strada del rinvio
dell'esecuzione della pena costituisce, per l'appunto,
una di queste possibili strade: una strada che, specie nella
versione del rinvio facoltativo, presenterebbe il
vantaggio di attribuire al giudice un potere
discrezionale nella selezione dei condannati ai quali concedere
il beneficio, nel quadro di un bilanciamento caso per
caso tra le esigenze di tutela della collettività e dei dritti
fondamentali del condannato. Un bilanciamento, insomma, non
dissimile da quelli ai quali è chiamato il giudice della cautela
allorché deve decidere sull'adeguatezza della custodia cautelare
in carcere ai soggetti che si trovano nelle condizioni di cui
all'art. 175 co. 4 e ss. c.p.p.
Se questa strada sia praticabile
dovrà, ora, dirlo la Corte costituzionale: nella fiduciosa (ma
in verità non troppo ottimistica) attesa di un intervento
strutturale da parte del legislatore, una volta superata la
presente temperie elettorale. |