Depositata la sentenza della Corte costituzionale sulla disciplina Fini-Giovanardi in materia di stupefacenti
26 Febbraio 2014
 
C. cost., sent. 25 febbraio 2014, n. 32, Pres. Silvestri, Est. Cartabia

1. Diamo immediatamente notizia, in considerazione dell'enorme rilevanza per la prassi, dell'avvenuto deposito della sentenza in epigrafe (e scaricabile cliccando sotto su download documento), con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 4-bis e 4-vicies ter del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272 convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 21 febbraio 2006, n. 49.

In estrema sintesi, la Corte ha ritenuto che le norme impugnate, introdotte in sede di conversione del decreto legge, difettino manifestamente di ogni connessione logico-funzionale con le originarie disposizioni del decreto legge, e debbano per tale assorbente  ragione ritenersi adottate in carenza dei presupposti per il legittimo esercizio del potere legislativo di conversione ai sensi dell'art. 77, secondo comma, Cost.

Rammentiamo peraltro che gli effetti di questa sentenza, già pubblica sul sito della Corte, si produrranno soltanto a partire dalla data della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, della quale daremo tempestivamente notizia.

2. Il vizio procedurale rilevato dalla Corte travolge - affermano i giudici della Consulta (§ 4.5 dei "considerato in diritto") - le due norme per intero, e non solo nella parte denunziata dal giudice rimettente.

Per comodità del lettore, riportiamo qui per intero il testo dell'art. 4-bis, che incide sull'art. 73 t.u. stup. e che pertanto interessa direttamente l'attività dei giudici penali, segnalando peraltro che l'art. 4-vicies ter, pure interamente caducato, modifica una quantità di altre disposizioni del testo unico:

Art. 4-bis

"1. All'articolo 73 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) la rubrica è sostituita dalla seguente:

"Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope";

b) il comma 1 è sostituito dal seguente:

"1. Chiunque, senza l'autorizzazione di cui all'articolo 17, coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella I prevista dall'articolo 14, è punito con la reclusione da sei a venti anni e con la multa da euro 26.000 a euro 260.000";

c) dopo il comma 1 è inserito il seguente:

"1-bis. Con le medesime pene di cui al comma 1 è punito chiunque, senza l'autorizzazione di cui all'articolo 17, importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque illecitamente detiene:

a) sostanze stupefacenti o psicotrope che per quantità, in particolare se superiore ai limiti massimi indicati con decreto del Ministro della salute emanato di concerto con il Ministro della giustizia sentita la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento nazionale per le politiche antidroga, ovvero per modalità di presentazione, avuto riguardo al peso lordo complessivo o al confezionamento frazionato, ovvero per altre circostanze dell'azione, appaiono destinate ad un uso non esclusivamente personale;

b) medicinali contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope elencate nella tabella II, sezione A, che eccedono il quantitativo prescritto. In questa ultima ipotesi, le pene suddette sono diminuite da un terzo alla metà";

d) al comma 2, le parole: "nel comma 1" sono sostituite dalle seguenti: "nelle tabelle I e II di cui all articolo 14; la parola: "otto" è sostituita dalla seguente: "sei" e le parole: "lire cinquanta milioni a lire seicento milioni" sono sostituite dalle seguenti: "euro 26.000 a euro 300.000";

e) dopo il comma 2 è inserito il seguente:

"2-bis. Le pene di cui al comma 2 si applicano anche nel caso di illecita produzione o commercializzazione delle sostanze chimiche di base e dei precursori di cui alle categorie 1, 2 e 3 dell'allegato I al presente testo unico, utilizzabili nella produzione clandestina delle sostanze stupefacenti o psicotrope previste nelle tabelle di cui all'articolo 14";

f) i commi 3, 4 e 5 sono sostituiti dai seguenti:

"3. Le stesse pene si applicano a chiunque coltiva, produce o fabbrica sostanze stupefacenti o psicotrope diverse da quelle stabilite nel decreto di autorizzazione.

4. Quando le condotte di cui al comma 1 riguardano i medicinali ricompresi nella tabella II, sezioni A, B e C, di cui all'articolo 14e non ricorrono le condizioni di cui all'articolo 17, si applicano le pene ivi stabilite, diminuite da un terzo alla metà.

5. Quando, per i mezzi, per la modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, i fatti previsti dal presente articolo sono di lieve entità, si applicano le pene della reclusione da uno a sei anni e della multa da euro 3.000 a euro 26.000";

g) dopo il comma 5 è inserito il seguente:

"5-bis. Nell'ipotesi di cui al comma 5, limitatamente ai reati di cui al presente articolo commessi da persona tossicodipendente o da assuntore di sostanze stupefacenti o psicotrope, il giudice, con la sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'articolo 14 del codice di procedura penale, su richiesta dell'imputato e sentito il pubblico ministero, qualora non debba concedersi il beneficio della sospensione condizionale della pena, può applicare, anziché le pene detentive e pecuniarie, quella del lavoro di pubblica utilità di cui all'articolo 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 74, secondo le modalità ivi previste. Con la sentenza il giudice incarica l'Ufficio locale di esecuzione penale esterna di verificare l'effettivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità. L'Ufficio riferisce periodicamente al giudice. In deroga a quanto disposto dall'articolo 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, il lavoro di pubblica utilità ha una durata corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata. Esso può essere disposto anche nelle strutture private autorizzate ai sensi dell'articolo 116, previo consenso delle stesse. In caso di violazione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, in deroga a quanto previsto dall' articolo 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, su richiesta del pubblico ministero o d'ufficio, il giudice che procede, o quello dell'esecuzione, con le formalità di cui all'articolo 666 del codice di procedura penale, tenuto conto dell'entità dei motivi e delle circostanze della violazione, dispone la revoca della pena con conseguente ripristino di quella sostituita. Avverso tale provvedimento di revoca è ammesso ricorso per cassazione, che non ha effetto sospensivo. Il lavoro di pubblica utilità può sostituire la pena per non più di due volte".

3. L'integrale caducazione delle due norme impugnate comporta la conseguenza - afferma espressamente la Corte ("considerato in diritto" n. 5) - che "tornino a ricevere applicazione l'art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 e le relative tabelle, in quanto mai validamente abrogati, nella formulazione precedente le modifiche apportate con le disposizioni impugnate". 

Dovrà dunque tornare a trovare applicazione l'art. 73 nella versione antecedente al 2005, salve le modifiche apportate dal legislatore in epoca successiva che non sono interessate dalla sentenza odierna (ed in particolare le modifiche di cui al recentissimo d.l. 146/2013, rispetto alle quali la Corte esplicitamente afferma - cfr. "considerato in diritto" n. 3 - che "gli effetti del presente giudizio di legittimità costituzionale non riguardano in alcun modo la modifica disposta con il decreto-legge n. 146 del 2013, sopra citato, in quanto stabilita con disposizione successiva a quella qui censurata e indipendente da quest'ultima").

Nell'ultimo inciso dei "considerato in diritto" n. 6, la Corte invero afferma che "rientra nei compiti del giudice comune individuare quali norme, successive a quelle impugnate, non siano più applicabili perché divenute prive del loro oggetto (in quanto rinviano a disposizioni caducate) e quali, invece, devono continuare ad avere applicazione in quanto non presuppongono la vigenza degli artt. 4-bis e 4-vicies ter, oggetto della presente decisione". Alla luce di quanto affermato nel "considerato in diritto" n. 3, pare peraltro di poter escludere che la Corte intendesse riferirsi qui alle norme introdotte dal decreto-legge n. 146/2013, che la Corte afferma esplicitamente essere "indipendenti" dalle disposizioni oggi dichiarate illegittime: con conseguente salvezza dell'attuale comma 5 dell'art. 73 t.u. stup., così come modificato appunto dal d.l. 146.

4. Sulle delicate operazioni interpretative che la Corte delega ora ai giudici ordinari nella valutazione su quali norme debbano oggi ritenersi vigenti, dovremo certamente nei prossimi giorni ritornare, così come sui molti passaggi di non facile interpretazione ma sempre di grande rilievo teorico dei quali abbonda questa sentenza (dal tema della reviviscenza di norme abrogate a quello degli obblighi internazionali di criminalizzazione, sino a quello dei limiti del sindacato della Corte sulle norme penali "di favore", dove paiono ormai travolti gli argini a suo tempo apposti dalla sent. 394/2006).

Al solo, limitato fine di formire un piccolo aiuto alla prassi applicativa, in un momento di comprensibile disorientamento creato dall'accavallarsi di interventi non coordinati del legislatore e della Corte costituzionale, abbiamo nei giorni scorsi predisposto unatabella riepilogativa delle successive versioni del testo dell'art. 73 t.u. stup. succedutisi dal 2005 (clicca qui per scaricarla), che si conclude con la versione che dovrebbe essere ritenuta vigente una volta che la sentenza odierna sarà pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale (il condizionale, peraltro, mai come in questo caso è d'obbligo, alla luce del sibillino inciso conclusivo della Corte, che indurrebbe a ritenere - a differenza di quanto si evince dalla nostra tabella - implicitamente caducato anche il co. 5 ter dell'art. 73, introdotto dal d.l. 78/2013, che richiama il precedente comma 5 bis, certamente travolto dalla sentenza odierna). (F.V.)