VITA17/10/2006
Codice Penale : la road map verso una giustizia più utile
di Stefano Arduini
In questa intervista Giuliano Pisapia anticipa quali saranno le linee guida della sua storica propostaSicurezza e mitezza. Sono due le parole chiave che cuciono a filo doppio questo dialogo-intervista con Giuliano Pisapia, dallo scorso luglio presidente della Commissione ministeriale per la riforma del codice penale. Concetti che, nell'immaginario collettivo, costituiscono estremi opposti, in particolare quando ci si riferisce alla punibilità dei reati, ma che, nell'impalcatura immaginata dall'avvocato milanese, non possono che camminare a braccetto. Dopo oltre un decennio da parlamentare come indipendente nelle fila di Rifondazione comunista, Pisapia si appresta a scalare un piccolo Everest. Ha un anno di tempo per presentare in aula il testo di riforma. Nella storia repubblicana fino ad ora si contano almeno dieci tentativi di riforma del codice fascista del 1930 voluto da Alfredo Rocco. Tutti andati a vuoto. Il pool dei 23 esperti - professori universitari, magistrati e avvocati - questa volta però vanta buone chanche di tagliare il traguardo. Per almeno due ragioni. «Noi non intendiamo ripartire da zero, ma far tesoro dei progetti che ci hanno lasciato in eredità i nostri predecessori». Inoltre «siamo consapevoli che sia imprescindibile tener conto anche della situazione concreta e dell'orientamento del Parlamento: sarà quella, infatti, la sede che avrà l'ultima parola sull'approvazione o meno di un nuovo codice penale». Ecco allora i capisaldi del nuovo 'codice Pisapia'. Vita: Per quale ragione ritiene necessaria una revisione? Giuliano Pisapia: L'attuale codice penale mostra una faccia feroce, ma in concreto si è mostrato del tutto impreparato nel dare al nostro Paese una giustizia celere, efficiente, equa e, soprattutto, efficace nel far diminuire la recidiva, nel tutelare le vittime e nel reinserimento sociale di chi si è reso responsabile di un reato. Come ha rilevato l'ex direttore del Dap, Alessandro Margara negli ultimi 15 anni abbiamo assistito a un'esplosione dell'area penale che, prima dell'indulto, è arrivata a coinvolgere quasi 200mila persone. Una corsa, folle, a ritenere che gran parte dei problemi, anche quelli di carattere sociale o di altra natura (penso in particolare alla tossicodipendenza), si potessero risolvere con la sanzione penale. Se non si cambia, al più presto, l'intero sistema penale, e quindi prima di tutto il codice, non sarà possibile uscire da questa spirale. Se a ciò si aggiunge l'estenuante lunghezza dei processi, l'uso eccessivo della custodia cautelare e la costante limitazione, anche a livello legislativo, della possibilità di accedere alle misure alternative al carcere (in totale contrasto con la finalità anche rieducativa della pena), il quadro è completo. Un provvedimento come l'indulto, che pure era necessario se solo si considera la situazione di invivibilità e di inciviltà che si era creata, finirà con l'essere solo un momentaneo palliativo, se non si riuscirà a creare un sistema penale del tutto diverso dall'attuale. Una giustizia debole con i forti e feroce con i deboli e che, giorno dopo giorno, si dimostra sempre più discriminatoria e in contrasto col principio base di ogni democrazia e cioè quello per cui la giustizia deve essere eguale per tutti, ma deve anche essere anche in grado di fornire risposte diverse a situazioni diverse. Non è concepibile, ad esempio, porre sullo stesso piano lo spacciatore col consumatore, il narcotrafficante con il tossicodipendente. Tanto più che, in tema di giustizia, la 'politica' è troppo spesso schizofrenica. Vita: In che senso? Pisapia: Io sono stato in Parlamento nelle ultime due legislature. Ebbene, ogni volta che non si riusciva a trovare una soluzione ragionevole rispetto alle problematiche più diverse, vi era sempre una maggioranza, spesso anche trasversale, che proponeva, e riusciva a far approvare, o nuovi reati o aumenti di pene per reati già esistenti. Questo approccio col diritto penale - che peraltro ha sempre sortito effetti opposti a quelli auspicati - ha purtroppo trovato una resistenza lasciata a pochi che, o rimanevano minoranza o, quando andava bene, riuscivano a 'limitare i danni'. L'aumento smisurato del numero dei reati ha prodotto effetti solo negativi: la rincorsa alla prescrizione attraverso il prolungamento dei processi; l'aumento della popolazione carceraria e, in parallelo, la crescita delle vittime dei reati. Vita: A quale modello di pene pensa allora? Pisapia: La caratteristica di un codice penale equo, efficace, e nel contempo capace di garantire anche le esigenze di sicurezza della collettività, deve necessariamente avere come presupposto la capacità di uscire dalla logica per cui l'unica sanzione penale è quelle carceraria. Meglio. Mi riferisco evidentemente ai reati non gravi: una pena mite ma certa, tale però da evitare quel senso di impunità che spesso è la premessa per un nuovo reato, è certamente più utile e più efficace che una pena carceraria, che invece è spesso l'anticamera della recidiva. Su questo punto in Commissione il confronto è già in fase avanzata. Per fare un altro esempio, nel caso di un negoziante che viene trovato in possesso di un quantitativo limitato di merce 'scaduta'. Piuttosto che mandarlo in carcere, non è più utile per tutti prevedere una immediata multa e, se il fatto si ripete, la chiusura temporanea del negozio? Sanzioni di questi tipo avrebbero anche una efficacia deterrente molto maggiore che la minaccia del carcere. Soprattutto in una situazione, come quella attuale, in cui vi è spesso la certezza della prescrizione e, quindi, della totale impunità. Un altro strumento è quello di misure prescrittive, quali il lavoro socialmente utile o attività riparatorie. Vita: Cioè una sorta di risarcimento del danno? Pisapia: Anche, ma non solo. Se ci si limitasse a prevedere il risarcimento quale sanzione di carattere penale, si finirebbe per creare una inaccettabile disparità di trattamento tra chi ha possibilità economiche e chi, invece, si trova in uno stato di indigenza. Il ricco, che può pagare rimarrebbe di fatto privo di una adeguata pena; il povero, invece, non potendo risarcire il danno, finirebbe in carcere, pur di fronte a condotte illecite analoghe. Il concetto di riparazione invece pone tutti sullo stesso livello: ciascuno, sulla base delle proprie possibilità, deve fare quanto necessario per attenuare le conseguenze dannose del reato commesso. Il che non significa non incentivare, quando possibile, il risarcimento economico del danno. Vita: Come pensate di inquadrare giuridicamente i reati di piccola o media gravità? Pisapia: Personalmente ritengo che la tenuità del fatto, la minima entità del danno causato e l'occasionalità della condotta illecita possano essere condizioni sufficienti per prevedere, in molti casi, la non punibilità in sede penale. Un diritto penale 'minimo' inciderà, oltre a tutto, positivamente anche sui tempi, oggi vergognosamente lunghi, della giustizia. Se un imputato si rende conto che la pena che gli è stata irrogata è equa e che non andrà in carcere, molto probabilmente - soprattutto se si modificherà in maniera razionale l'istituto della prescrizione - rinuncerà all'appello e al ricorso per Cassazione, con effetti positivi sui tempi. Vita: Un'altra questione spinosa è quella legata all'ergastolo. Quando la commissione Grosso propose l'abolizione del 'fine pena mai' si alzò un boato di proteste nel Paese, prima ancora che in Parlamento. Non vede il rischio che tutto il vostro lavoro si possa arenare proprio su questo scoglio? Pisapia: Il tema è delicatissimo. Per questo - dopo esserci confrontati con una discussione di alto livello umano e scientifico - abbiamo deciso di rimandare la decisione ad un momento decisivo. Mi limito quindi ad esprimere alcune personalissime riflessioni, che tengono conto proprio delle proposte della commissione presieduta da Grosso. Si potrebbero, ad esempio, proporre al Parlamento più ipotesi: tra queste, quella di prevedere un tetto massimo di pena e di verificare, con il massimo di attenzione e serietà, se, dopo aver scontato quella pena (per esempio 30 anni di reclusione), il condannato sia o meno socialmente pericoloso: secondo l'esito dell'osservazione, la magistratura di Sorveglianza prenderà la decisione più adeguata al caso concreto. Una considerazione, però, mi preme farla. Indipendentemente dalla diversa concezione sulla finalità della pena che ciascuno può avere (prevenzione speciale, retribuzione, rieducazione), è indubbio che la pena dell'ergastolo è profondamente 'discriminatoria'. Si pensi a due coimputati, uno di 20 anni e l'altro di 70: ebbene per il più giovane la pena dell'ergastolo durerà per un tempo lunghissimo; per il più anziano sarà decisamente più breve. Certo, questa è una considerazione di mero fatto, ma dalla quale non si può prescindere, anche se, indubbiamente, il tema dell'ergastolo è decisamente più complesso. Proprio per questo, bisogna essere particolarmente prudenti e mi auguro che, allorché si discuterà del 'fine pena mai', non vi saranno quelle strumentalizzazioni, che nulla hanno a che vedere con la Giustizia e che, in passato, hanno impedito un confronto sereno, nel rispetto delle differenti opinioni. E, soprattutto, che si tenga conto delle indicazioni della Consulta; del fatto che, su tale tema, si era a lungo discusso anche nel corso dei lavori dell'Assemblea Costituente; e, soprattutto, di quanto prevede l'articolo 27 della Costituzione, per cui le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione! Vita: A quanto ammonterebbe la popolazione carceraria se fosse in vigore il nuovo sistema? Pisapia: Innanzitutto bisogna considerare che, prima dell'indulto, circa il 40% dei detenuti era in custodia cautelare. Se si riuscirà a limitare la carcerazione di chi è in attesa di giudizio; se vi saranno le auspicate modifiche in tema di tossicodipendenza e saranno eliminate sanzioni carcerarie per i migranti che violano provvedimenti di carattere amministrativo; e, soprattutto, se entreranno in vigore sanzioni penali diverse dal carcere, ritengo che la popolazione carceraria si potrà assestare su circa 20mila detenuti. Vita: A quel punto la polizia penitenziaria sarebbe in sovraorganico? Pisapia: No. Se le riforma auspicate diventeranno realtà, sarà possibile per la Polizia penitenziaria avere anche un ruolo non solo 'sorveglianza', ma anche la possibilità di affiancare - evidentemente senza sovrapposizioni e confusioni - le figure che oggi si occupano di trattamento in carcere. E potrà, evidentemente col suo consenso e anche in quanto i suoi appartenenti conoscono i detenuti, essere utilizzata per i controlli di chi beneficia di misure alternative o è stato condannato a pene non detentive. Il che, oltretutto, permetterà anche di liberare risorse tra le forze dell'ordine, che potranno così dedicarsi maggiormente al controllo del territorio, in un rapporto non conflittuale con i cittadini e garantire meglio la sicurezza di tutti.
Chi è Milanese classe 1949, l'avvocato penalista Giuliano Pisapia vanta un passato recente da parlamentare in quota Prc, ma anche un passato remoto da operaio in una fabbrica chimica e da educatore presso il carcere minorile Beccaria. Sempre fitte le sue frequentazioni con la società civile. È stato socio fondatore, fra le altre, di Nessuno Tocchi Caino e della sezione italiana di Defense for Children International ed è componente del comitato tecnico scientifico della Lila. Professionalmente è stato difensore di parte civile di Telefono Azzurro e del Centro sociale Leoncavallo.