Melissa Miedico
Sospensione del processo e messa alla prova anche per i maggiorenni. Sulla proposta di legge n. 331-927-B, approvata in via definitiva dalla Camera il 2 aprile 2014
www.penalecontemporaneo.it/ 14 Aprile 20141. La proposta di legge n. 331-927-B, approvata in via definitiva dalla Camera il 2 aprile scorso, introduce un provvedimento articolato in 16 disposizioni e suddiviso in tre capi contenente due leggi delega in materia di pene detentive non carcerarie e depenalizzazione e una legge che introduce nel nostro ordinamento l'istituto della sospensione del processo e messa alla prova, nonché la sospensione del procedimento nei confronti degli irreperibili. Si tratta di scelte legislative da tempo discusse in Parlamento: già nella XVI legislatura nel dicembre 2012 la Camera dei Deputati aveva approvato il disegno di legge A.C. 5019-bis, (frutto dello stralcio dal più ampio A.C. 5019) che prevedeva le medesime disposizioni. Il provvedimento, trasmesso al Senato (A.S. 3596), aveva successivamente interrotto l'iter per la fine della legislatura. La riforma è stata sostanzialmente riproposta nella XVII legislatura ed il 4 luglio del 2013 è stata ancora approvata dalla Camera dei Deputati, ha superato il vaglio del Senato con emendamenti nel gennaio di quest'anno ed è stata ora definitivamente approvata.
Decisiva è stata ora, forse, l'esigenza di deflazione carceraria: è verosimile, infatti, che l'accelerazione data all'approvazione alla Camera dei Deputati senza emendamenti del provvedimento sia spiegabile, ancora una volta, con la pressione dovuta all'imminente scadenza del termine imposto con la sentenza Torreggiani dalla Corte EDU per individuare soluzioni e rimedi alla situazione di sistemico sovraffollamento delle carceri italiane.
2. Una novità di grande rilievo contenuta nel provvedimento è costituita dalla disciplina del c.d. probation, da tempo previsto in ambito minorile, ma che diviene ora applicabile anche ai maggiorenni.
La sospensione del processo con messa alla prova nei confronti dei minorenni è regolato come è noto dagli artt. 28 e 29 del d.P.R. 448/1988. L'istituto ha dato buona prova di sé in questi anni di applicazione, trattandosi di una vera alternativa al carcere dai contenuti fortemente rieducativi e adeguati alla personalità del minore autore di reato. Il beneficio è applicabile nei confronti di minori imputati di reati di qualsiasi gravità ed a prescindere da un'esplicita dichiarazione di responsabilità in merito al fatto commesso, pur trattandosi pacificamente di una misura anche fortemente afflittiva. L'esito positivo della prova comporta l'estinzione del reato.
Di fronte all'ampia discrezionalità attribuita al giudice nella valutazione circa l'applicabilità o meno della 'messa alla prova' e alla assenza, nelle norme citate, di indicazioni precise e univoche sul contenuto e sui presupposti dell'istituto, dottrina e giurisprudenza hanno rilevato il pericolo che dalle inevitabili incertezze interpretative derivino discriminazioni e disuguaglianze applicative. Allo scopo di colmare le lacune lasciate dal legislatore e di circoscrivere l'operatività della misura in esame, si è quindi pervenuti all'individuazione di ulteriori presupposti, che appaiono implicitamente ricavabili dalla disciplina legislativa. Costituiscono senz'altro presupposti impliciti della 'messa alla prova', nonostante l'imprecisione del dettato normativo, tanto l'accertamento della responsabilità penale dell'imputato rispetto al fatto per cui si procede, quanto la prognosi favorevole circa l'evoluzione della sua personalità attraverso il 'progetto di intervento' attuabile nei suoi confronti. Non sembra invece condivisibile la scelta di subordinare la sospensione del processo con messa alla prova, almeno in ambito minorile, alla presenza di ulteriori presupposti taciti, come, ad esempio, il consenso dell'imputato, la sua confessione, la minore età al momento della sospensione e l'occasionalità del fatto di reato contestato.
3. L'indiscussa utilità e la complessiva tenuta dell'istituto in ambito minorile hanno fatto da tempo ipotizzare una sua possibile estensione anche ad imputati maggiorenni. Il progetto di riforma del codice penale presentato dalla Commissione presieduta dall'on. Pisapia, ad esempio, nel 2006 prevedeva, fra le cause di estinzione del reato, l'introduzione della messa alla prova (art. 42 e 44 dell'articolato).
Tenteremo ora, anche se in questa primissima lettura, di individuare gli elementi essenziali dell'istituto sospensivo ora disciplinato per i maggiorenni agli artt. 168bis, 168ter, 168quater c.p., nel nuovo titolo V-bis del codice di procedura penale (dall'artt. 464bis all'art. 464novies c.p.p.), nonché all'art. 657bis c.p. che disciplina i criteri di ragguaglio fra le diverse sanzioni in caso di revoca della misura della messa alla prova, e, infine, agli art. 141bis e 141ter disp. att. c.p.p.
Anche la messa alla prova per i maggiorenni è applicabile a prescindere da una pronuncia sulla responsabilità dell'imputato e in una fase anticipata del procedimento (fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli artt. 421 e 422 c.p.p. o fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado nel giudizio direttissimo e nel procedimento di citazione diretta a giudizio, oppure ancora entro il termine e con le forme stabilite dall'art. 458, comma 1, c.p.p. se è stato notificato il decreto di giudizio immediato, o con l'atto di opposizione, nel procedimento per decreto, come prevede l'art. 464bis c.p.p).
Il giudice dispone la misura con ordinanza, su richiesta dell'imputato, qualora vi sia il consenso del pubblico ministero (art. 463ter c.p.p.), sentita la persona offesa, se non deve pronunciare sentenza di proscioglimento a norma dell'art. 129 c.p.p.
Già in ambito minorile, si è tentato di ridimensionare la portata di questa disciplina, sostenendo che, se si deve ammettere che una pronuncia formale sulla responsabilità non sia richiesta, debba considerarsi comunque l'accertamento della responsabilità dell'imputato quale presupposto della misura. In questa direzione, si è chiaramente orientata anche la Corte costituzionale, allorché ha affermato, in merito alla disciplina applicabile ai minorenni, che "costituisce un presupposto concettuale essenziale del provvedimento di sospensione del processo e messa alla prova [..]. il giudizio di responsabilità penale che si sia formato nel giudice, in quanto altrimenti si imporrebbe il proscioglimento" (C. cost., sent. n. 125, 14 aprile 1995, in Foro it., 1995, p. 2403). Le stesse considerazioni posso essere facilmente estese anche alla nuova disciplina prevista per i maggiorenni; si rileva, fra l'altro, che l'art. 168bis c.p. (come l'art. 28 d.P.R. 448/1988) prevede che la messa alla prova comporti la prestazione di condotte volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, con ciò implicitamente evocando la necessità di un previo accertamento della sua sussistenza.
4. Tale soluzione è stata definita 'ardita' anche in ambito minorile, ove pur poteva apparire giustificata in relazione alle prevalenti esigenze educative del minore rispetto alle istanze punitive; è forse per questo, almeno in parte, comprensibile la scelta del legislatore di contenere l'ambito di operatività della nuova misura introdotta: se per i minorenni non esiste una preclusione determinata dalla gravità del fatto, nei confronti dei maggiorenni, invece, la messa alla prova èapplicabile per reati di minima gravità, puniti con la sola pena pecuniaria o con una pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola o congiunta a pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati dal comma 2 dell'art. 550 c.p.p. Il riferimento ai reati puniti con pena pecuniaria peraltro risulterà di minima rilevanza quando la delega - prevista nella prima parte del medesimo provvedimento che ha introdotto la messa alla prova - sarà esercitata dal Governo, poiché all'art. 2 comma 2 lett. a) si prevede la trasformazione in illeciti amministrativi di tutti i reati per i quali è prevista la sola pena della multa o dell'ammenda con alcune limitate eccezioni.
Tale prudente soluzione in termini di applicabilità dell'istituto potrebbe trovare una giustificazione anche nella necessità che lavolontarietà dell'imputato a sottoporsi alla prova, accettando una misura afflittiva prima di un'esplicita pronuncia sulla sua responsabilità e rinunciando così alle garanzie di un giusto processo, non sia 'viziata' da una sproporzione fra costi e benefici offerti. Il meccanismo sospensivo rischierebbe infatti di essere eccessivamente appetibile qualora la pena sospendibile fosse molto più alta, con la possibile compromissione dunque di alcune garanzie fondamentali (v. F. Caprioli, Due iniziative di riforma nel segno della deflazione: la sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato maggiorenne e l'archiviazione per particolare tenuità del fatto, in Cass. pen., 2012, p. 7).
5. Il giudice dispone la misura quando, in base ai parametri di cui all'art. 133 del codice penale, reputa idoneo il programma di trattamento presentato e ritenga che l'imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati. La messa alla prova non può essere concessa più di una volta e nei casi di abitualità, professionalità nel reato o di tendenza a delinquere (artt. 102, 103, 104, 105 e 108 c.p.).
Anche se la prognosi favorevole dell'imputato circa l'astensione dalla commissione di ulteriori reati andrà valutata tenendo in considerazione che con la messa alla prova questi è affidato ai servizi sociali per attività di supporto e cura e che sono attivati sistemi di controllo periodico da parte degli uffici locali di esecuzione penale esterna (art. 141ter c.p.p.), la bassa entità sanzionatoria dei reati per cui la messa alla prova può essere disposta induce a prevedere che tale misura risulterà scarsamente appetibile, soprattutto se si considera che l'indagato e l'imputato, che potrebbero chiederla, possono ragionevolmente confidare sull'applicazione di una pena sospesa, in sede di patteggiamento o anche in sede di giudizio. L'opzione a favore della messa alla prova avrebbe una qualche attrattività solo per una ristretta categorie di imputati che potrebbero temere le conseguenze negative di una condanna o di patteggiamento (in relazione, ad esempio, al loro interesse a concludere contratti con la pubblica amministrazione) (v. F. Viganò, Sulla proposta legislativa in tema di sospensione del procedimento con messa alla prova, in Riv. it. dir. proc. pen., 2013, p. 1300).
6. La preferenza per la sospensione condizionale della pena appare tanto più probabile se si considera che la messa alla prova è misura sospensiva dai contenuti anche piuttosto afflittivi. Ai sensi dell'art. 168bis c.p., essa comporta la prestazione di condotte volteall'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato. Comporta inoltre l'affidamento dell'imputato al servizio sociale, per lo svolgimento di un programma che può implicare, fra l'altro, attività di volontariato di rilievo sociale, ovvero l'osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali. Inoltre, la concessione della misura è subordinata alla prestazione di un lavoro di pubblica utilità. Il lavoro di pubblica utilità consiste nello svolgimento di una attività non retribuita a favore della collettività, affidata tenendo conto anche delle specifiche professionalità ed attitudini lavorative dell'imputato; la sua durata giornaliera non può superare le otto ore, quella complessiva non può essere inferiore a dieci giorni lavorativi. Tale prestazione deve essere svolta con modalità che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell'imputato. A questi fini, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministero della giustizia procede all'adozione di un regolamento allo scopo di disciplinare le convenzioni che il Ministero della giustizia o, su delega di quest'ultimo, il presidente del tribunale, può stipulare con lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le aziende sanitarie o enti o organizzazioni, anche internazionali, che operano in Italia, di assistenza sociale, sanitaria, e di volontariato (così è previsto all'art. 8 del provvedimento).
L'imputato che presenti l'istanza di sospensione e messa alla prova - oralmente o per iscritto, personalmente o per mezzo di procuratore speciale con sottoscrizione autenticata (ex art. 583, comma 3, c.p.p.) - deve allegare un programma di trattamento elaborato d'intesa con l'ufficio di esecuzione esterna; oppure, ove non sia stato possibile presentare detto programma, l'imputato può allegare la richiesta di elaborazione del predetto programma. Tale programma deve essere sufficientemente dettagliato, deve prevedere cioè: a) le modalità di coinvolgimento dell'imputato, nonché del suo nucleo familiare e del suo ambiente di vita nel processo di reinserimento sociale, ove ciò risulti necessario e possibile; b) le prescrizioni comportamentali e gli altri impegni specifici che l'imputato assume anche al fine di elidere o di attenuare le conseguenze del reato, considerando a tal fine il risarcimento del danno, le condotte riparatorie e le restituzioni, nonché le prescrizioni attinenti al lavoro di pubblica utilità ovvero all'attività di volontariato di rilievo sociale; c) le condotte volte a promuovere, ove possibile, la mediazione con la persona offesa (v. art. 464bis c.p.p.).
7. Da quanto osservato fino ad ora possiamo escludere che la misura potrà realizzare una finalità di deflazione carceraria, visto lo scarso ambito di applicabilità del probation e la concorrenza diretta con la sospensione condizionale della pena. Non si può nemmeno affermare che l'istituto possa realizzare una finalità di deflazione processuale, comportando in realtà compiti gravosi per il giudice e gli uffici di esecuzione penale esterna.
Agli uffici locali di esecuzione penale esterna sono affidati compiti essenziali di impulso all'attività del giudice e controllo nello svolgimento della prova. Spetta a questi uffici, infatti, il compito di predisporre il programma di trattamento, di svolgere le indagini socio-familiari e sulle possibilità economiche dell'imputato, nonché di informare periodicamente il giudice (almeno ogni tre mesi) sull'attività svolta, sul comportamento dell'imputato, proponendo, ove necessario, modifiche al programma di trattamento, abbreviazioni di esso, ovvero, in caso di grave o reiterata trasgressione, la revoca del provvedimento di sospensione (art. 141ter disp. att. c.p.p.). Tali compiti possono essere in parte svolti da polizia giudiziaria e altri enti pubblici (art. 464bis c.p.p.).
Il giudice, sulla base delle informazioni raccolte, deve valutare l'esistenza dei presupposti necessari per decidere in merito alla stessa concedibilità della misura: responsabilità dell'imputato per il reato commesso, prognosi favorevole circa il fatto che l'imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati, effettiva volontarietà della richiesta ed idoneità del programma e delle prescrizioni stabilite in chiave risocializzativa e riparatoria. Rispetto ai contenuti risocializzanti, la valutazione del giudice deve essere particolarmente attenta. Il comma 5 dell'art. 464bis c.p.p. prevede infatti che ai fini della concessione, nonché ai fini della determinazione degli obblighi e delle prescrizioni cui eventualmente subordinarla, il giudice possa acquisire, tramite la polizia giudiziaria, i servizi sociali o altri enti pubblici, tutte leulteriori informazioni ritenute necessarie in relazione alle condizioni di vita personale, familiare, sociale ed economica dell'imputato. Tali informazioni devono essere portate tempestivamente a conoscenza del pubblico ministero e del difensore dell'imputato.
L'art. 168bis c.p., inoltre, prevede che la prestazione prevista comelavoro di pubblica utilità, debba essere svolta con modalità che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell'imputato. Tutto ciò implica un'indagine approfondita sulla complessiva condizione dell'imputato, sul suo stile di vita, sulle sue esigenze.
Ma anche in chiave riparatoria si impone al giudice una particolare attenzione: deve valutare l'adeguatezza delle condotte riparatorie e risarcitorie e quelle dirette alla mediazione; deve sentire la persona offesa prima di decidere in merito alla concedibilità della misura; può, solo con il consenso della persona offesa, autorizzare il pagamento rateale delle somme eventualmente dovute a titolo di risarcimento del danno e deve valutare anche che il domicilio indicato nel programma dell'imputato sia tale da assicurare le esigenze di tutela della persona offesa dal reato (art. 464quater, III comma, c.p.p.).
8. Quando poi la sospensione sia stata concessa, il procedimento è sospeso per la durata di uno o due anni (a seconda della gravità del reato per cui si procede, come indicato dall'art. 464quater, V comma, c.p.p.), durante i quali il giudice deve sovraintendere allo svolgimento della prova: qualora ve ne fosse la necessità, d'intesa con l'ufficio di esecuzione penale esterna, i servizi sociali, l'imputato, il pubblico ministero e la persona offesa, può modificare i contenuti del programma (art. 464quinquies c.p.p.), nonché acquisire prove non rinviabili e che possono condurre al proscioglimento (art. 464sexies c.p.p.). In caso di esito negativo (per grave o reiterata trasgressione al programma di trattamento o alle prescrizioni imposte, ovvero in seguito al rifiuto alla prestazione del pubblica utilità, in caso di commissione, durante il periodo di prova, di un nuovo delitto non colposo ovvero di un reato della stessa indole rispetto a quello per cui si procede), il giudice provvede alla revoca della messa alla prova (con ordinanza) e riprendere il procedimento dal momento in cui era rimasto sospeso (art. 464octies c.p.). Da tale momento ricomincia a decorrere il termine diprescrizione sospeso durante la prova (art. 168ter c.p.p.). Terminato il periodo di prova, il giudice dichiara con sentenza estinto il reato, se, tenuto conto del comportamento dell'imputato e del rispetto delle prescrizioni stabilite, ritenga che la prova abbia avuto esito positivo, sulla base di quanto emerge anche dalla relazione conclusiva dell'ufficio di esecuzione penale esterna che ha preso in carico l'imputato. Può dunque agevolmente immaginarsi che il carico processuale sarà tutt'altro che alleggerito.
9. Sulla base di queste considerazioni ci sembra di poter scrutare - dietro questa disciplina - la sperimentazione di un nuovo istituto orientato in senso fortemente rieducativo. L'autore del reato è collocato al centro della scena e si tenta di costruire intorno a lui un programma articolato e complesso che realizzi un trattamento rieducativo personalizzato ed adattato al suo ambiente sociale, familiare ed economico, senza trascurare affatto, peraltro, la vittima, i cui interessi assumono un ruolo primario nel provvedimento. Né si può dire che il legislatore non abbia tenuto in considerazione, almeno in parte, i costi che una misura di questo tipo potrebbe comportare quanto meno per gli uffici di esecuzione penale esterna: l'art. 7 del provvedimento prevede infatti la possibilità di procedere ad una adeguamento numerico e professionale della pianta organica. Probabilmente si potrebbero rendere necessari altri adeguamenti e costi (come quelli del personale presso gli uffici dei servizi sociali), ma questo dipenderà dall'utilizzo che sarà fatto della misura.
Siamo in ogni caso di fronte ad un istituto davvero innovativo che potrebbe, almeno sulla carta, ribaltare i tradizionali sistemi di intervento sanzionatorio, riportando nell'idea rieducativa, quale principio fondamentale del sistema sanzionatorio penale, un complesso e integrato sistema di aiuto sociale, sul presupposto che 'la politica sociale è la migliore politica criminale' e 'il diritto penale è l'extrema ratio della politica sociale' (v. sul punto G. Marinucci, Politica criminale e riforma del sistema sanzionatorio, in Marinucci, Dolcini,Studi di diritto penale, Giuffrè, 1991, p. 65 e rif. bibl. ivi citati). Si può solo sperare che il successo di questa misura induca in futuro ad una scelta più coraggiosa da parte del legislatore che porti ad un innalzamento dei limiti di applicabilità della messa alla prova (v. su questo tema F. Viganò, op.cit.).
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE. Sulla messa alla prova in ambito minorile: F. Bricola, Riforma del processo penale e profili di diritto penale sostanziale, in Studi in memoria di Pietro Nuvolone, Il nuovo processo penale - Studi di diritto straniero e comparato, Vol. III, Giuffrè, 1991, pp. 87 e ss. e in Ind. pen. 1989, pp. 338 e ss.; G. Fumu, Le difficile scelte del legislatore minorile tra accertamento, educazione e sanzione,in AA.VV., Questioni nuove di procedura penale - Le riforme complementari, Il nuovo processo minorile e l'adeguamento dell'ordinamento giudiziario, Cedam, 1991, p. 70; A. Ghiara, La «messa alla prova» nella legge processuale minorile, cit., p. 88; M. G. Basco, S. De Gennaro, op. cit., p. 16; S. Larizza, Il diritto penale dei minori. Evoluzioni e rischi di involuzione, Cedam, Padova, 2005; M. Miedico, La sospensione del processo e messa alla prova tra prassi e prospettive di riforma, in Cass. pen., 2003, p. 2648; M. Miedico, La confessione del minore nella 'sospensione del processo e messa alla prova, in Riv. it. dir. proc. pen., 2000, p. 1292; L. Scomparin, Sospensione del processo minorile e "messa alla prova": limiti di compatibilità con i riti speciali e altri profili processuali dopo l'intervento della Corte costituzionale, inLegisl. pen. 1995, p. 512; D. Spirito, Principi e istituti del diritto penale nel nuovo processo a carico di imputati minorenni, in Giust. pen. 1990, III, p. 137 ss. Sulla misura applicabile ai maggiorenni: F. Viganò,Sulla proposta legislativa in tema di sospensione del procedimento con messa alla prova, in Riv. it. dir. proc. pen., 2013, 1300; F. Caprioli, Due iniziative di riforma nel segno della deflazione: la sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato maggiorenne e l'archiviazione per particolare tenuità del fatto, in Cass. pen., 2012, p. 7.