Da bambina in Bulgaria, mio Paese natio, sentivo i miei genitori evocare le condanne capitali che il regime comunista aveva inflitto ai membri del parlamento, ma anche qualcosa sui processi e le purghe staliniani. Avevo già imparato il francese quando mio padre, un uomo di fede, mi spiegava che se il Terrore rivoluzionario era stato inevitabile, la lingua come la cultura francese avevano in sé i Lumi. Ero già in Francia quando venne ricoverato per un’operazione e quindi assassinato in corsia nel 1989, qualche mese prima della caduta del Muro di Berlino: nel suo ospedale in quel periodo venivano condotti alcuni esperimenti sugli anziani. La pena di morte in Bulgaria è stata abolita nel 1998 benchè oggi ancora il 52% delle persone si dicono favorevoli alla sua applicazione. Il nuovo umanesimo deve essere capace di difendere il principio dell’inviolabilità della vita umana e di applicarla a tutti, senza eccezioni; anche in altre situazioni estreme dell’esperienza della vita: l’eugenetica, l’eutanasia. Lungi da me l’idea di idealizzare l’essere umano o di negare il male di cui egli è capace. Noi possiamo sempre curarlo e, abolendo la pena di morte – che è un crimine, ricordiamocelo – noi ci battiamo contro la morte e contro il crimine. In tal senso, l’abolizione della pena di morte è una rivolta lucida, la sola che vale contro la pulsione di morte e in definitiva contro la morte: è la versione secolarizzata della resurrezione. È noto che in Italia viene illuminato il Colosseo, sanguinosa memoria di innumerevoli gladiatori e di martiri cristiani messi a morte, ogni volta che un Paese abolisce la morte di morte o emette una moratoria sulle esecuzioni. Propongo che ogni notte quando un Paese rinuncia alla pena di morte, il suo nome venga scritto su un megaschermo illuminato installato per la circostanza su place de la Concorde (un tempo piazza della Rivoluzione) e sull’Hotel de Ville di Parigi. Questo gesto può aggravare le nostre finanze pubbliche? Gli ottimisti prevedono che il mondo nella sua quasi totalità avrà abolito la pena di morte entro il 2050. Tocca a noi fare in modo che questa processo abolizionista diventi maggioranza.
Quale è il senso di un progetto di abolizione universale della
pena di morte? Non sono né giurista né specialista
dell’abolizionismo. Non ho mai assistito ad un’esecuzione e
nessuno dei miei parenti è stato vittima di un omicidio, di
abusi sessuali, di torture o di violenze. Non vi leggerò i
rapporti medici che elencano in dettaglio i supplizi della
ghigliottina, quei testi che Albert Camus ricopiava per
comunicarci il suo disgusto. Non ho rivissuto quell’empatia
romantica che Victor Hugo percepiva quando paragonava il suo
dolore di esiliato a quello del condannato a morte. Abolire la
pena di morte: perché? Farlo significa porre a fondamento del
XXI secolo quello che Hugo chiamava più di 150 anni fa (1854)
«l’inviolabilità della vita umana». Da sempre gli uomini hanno
paura della morte, eppure la danno ad altri per meglio
salvaguardare la propria vita e tentano di salvare il bene
infliggendo il male supremo. Mentre tutto sembra peggiorare,
proprio quando le guerre, la minaccia del disastro ecologico,
l’avvitamento della finanza virtuale e della società dei consumi
ci richiamano costantemente alla nostra fragilità e alla nostra
vanità, l’inviolabilità della vita umana ci invita a pensare il
senso della nostra esistenza: essa è la pietra angolare
dell’umanesimo.
Di quale VITA parliamo? L’abolizionismo risponde: OGNI VITA, quale che essa sia, fino a "farsi carico della vita di quelli che ci fanno paura", i pazzi, i criminali, secondo quanto Robert Badinter affermava quando nel 1981 presentava nel Parlamento francese un progetto di abolizione della pena di morte. L’umanità attuale può fare la prova, e mettersi alla prova, fino al punto di "farsi carico della vita di quanti ci fanno paura"? Noi abolizionisti diciamo: sì. Benché 141 Paesi su 192 membri delle Nazioni unite abbiano abolito la pena capitale, il 60% della popolazione mondiale vive in un Paese in cui essa viene ancora applicata (resta in vigore nei 4 Stati più popolati del mondo: Cina, India, Stati Uniti e Indonesia). Forte della sua eredità plurale – greca, ebraica e cristiana – l’Europa ha fatto la scelta della secolarizzazione, operando così un cambiamento anticipatore unico al mondo; ma la sua storia è stata anche segnata da una serie troppo lunga di orrori: guerre, stermini, colonialismo, totalitarismi. Questa filosofia e questa storia ci impongono una convinzione politica e morale secondo la quale nessuno Stato, nessun potere, nessun uomo può disporre di un altro essere umano né ha il potere di togliergli la vita. Quale che sia l’uomo o la donna che noi condanniamo, nessuna giustizia deve essere una giustizia che uccide. Augurarsi l’abolizione della pena di morte in nome del principio dell’inviolabilità della vita umana non è qualcosa che rivela ingenuità né un idealismo beato e irresponsabile; non si tratta di dimenticare il dolore dei propri vicini. NO. Io non credo né alla perfezione umana né alla perfettibilità assoluta mediante la grazia della compassione o dell’educazione. Io scommetto solo sulla nostra capacità di conoscere meglio le passioni umane e di accompagnarle fino ai loro limiti, perché l’esperienza ci insegna che è impossibile (cioè impensabile) rispondere al crimine con il crimine. Lo ribadisco: l’umanità non possiede una paura più grande di quella di vedersi privata della vita, e questa paura fonda il patto sociale. I più antichi trattati di giurisprudenza che noi possediamo lo testimoniano. Prendete il codice babilonese di Hammurabi (1792-1750 a. C.), o ancora la filosofia greca di Platone e Aristotele, ma anche quella dei romani, e pure i libri sacri ebrei e cristiani: tutte le società hanno ammesso e praticato la messa a morte del criminale con lo scopo di difendere, proteggere e dissuadere. Due voci però si sono levate contro la messa a morte: gli abolizionisti attuali le ritrovano e le ascoltano per rilanciare la battaglia. Mi riferisco al profeta Ezechiele: «Io non mi compiaccio della morte dell’empio, ma che l’empio si converta dalla sua via e viva» (33,11). Ma soprattutto San Paolo. «La morte è stata ingoiata per la vittoria. O morte, dov’è la tua vittoria? O morte, dov’è il tuo pungiglione?».(1Cor 15, 54-55). O ancora, in seguito, Maimonide: «Dà più soddisfazione rilasciare migliaia di colpevoli che mettere a morte un solo vivente».
Di quale VITA parliamo? L’abolizionismo risponde: OGNI VITA, quale che essa sia, fino a "farsi carico della vita di quelli che ci fanno paura", i pazzi, i criminali, secondo quanto Robert Badinter affermava quando nel 1981 presentava nel Parlamento francese un progetto di abolizione della pena di morte. L’umanità attuale può fare la prova, e mettersi alla prova, fino al punto di "farsi carico della vita di quanti ci fanno paura"? Noi abolizionisti diciamo: sì. Benché 141 Paesi su 192 membri delle Nazioni unite abbiano abolito la pena capitale, il 60% della popolazione mondiale vive in un Paese in cui essa viene ancora applicata (resta in vigore nei 4 Stati più popolati del mondo: Cina, India, Stati Uniti e Indonesia). Forte della sua eredità plurale – greca, ebraica e cristiana – l’Europa ha fatto la scelta della secolarizzazione, operando così un cambiamento anticipatore unico al mondo; ma la sua storia è stata anche segnata da una serie troppo lunga di orrori: guerre, stermini, colonialismo, totalitarismi. Questa filosofia e questa storia ci impongono una convinzione politica e morale secondo la quale nessuno Stato, nessun potere, nessun uomo può disporre di un altro essere umano né ha il potere di togliergli la vita. Quale che sia l’uomo o la donna che noi condanniamo, nessuna giustizia deve essere una giustizia che uccide. Augurarsi l’abolizione della pena di morte in nome del principio dell’inviolabilità della vita umana non è qualcosa che rivela ingenuità né un idealismo beato e irresponsabile; non si tratta di dimenticare il dolore dei propri vicini. NO. Io non credo né alla perfezione umana né alla perfettibilità assoluta mediante la grazia della compassione o dell’educazione. Io scommetto solo sulla nostra capacità di conoscere meglio le passioni umane e di accompagnarle fino ai loro limiti, perché l’esperienza ci insegna che è impossibile (cioè impensabile) rispondere al crimine con il crimine. Lo ribadisco: l’umanità non possiede una paura più grande di quella di vedersi privata della vita, e questa paura fonda il patto sociale. I più antichi trattati di giurisprudenza che noi possediamo lo testimoniano. Prendete il codice babilonese di Hammurabi (1792-1750 a. C.), o ancora la filosofia greca di Platone e Aristotele, ma anche quella dei romani, e pure i libri sacri ebrei e cristiani: tutte le società hanno ammesso e praticato la messa a morte del criminale con lo scopo di difendere, proteggere e dissuadere. Due voci però si sono levate contro la messa a morte: gli abolizionisti attuali le ritrovano e le ascoltano per rilanciare la battaglia. Mi riferisco al profeta Ezechiele: «Io non mi compiaccio della morte dell’empio, ma che l’empio si converta dalla sua via e viva» (33,11). Ma soprattutto San Paolo. «La morte è stata ingoiata per la vittoria. O morte, dov’è la tua vittoria? O morte, dov’è il tuo pungiglione?».(1Cor 15, 54-55). O ancora, in seguito, Maimonide: «Dà più soddisfazione rilasciare migliaia di colpevoli che mettere a morte un solo vivente».
Da bambina in Bulgaria, mio Paese natio, sentivo i miei genitori evocare le condanne capitali che il regime comunista aveva inflitto ai membri del parlamento, ma anche qualcosa sui processi e le purghe staliniani. Avevo già imparato il francese quando mio padre, un uomo di fede, mi spiegava che se il Terrore rivoluzionario era stato inevitabile, la lingua come la cultura francese avevano in sé i Lumi. Ero già in Francia quando venne ricoverato per un’operazione e quindi assassinato in corsia nel 1989, qualche mese prima della caduta del Muro di Berlino: nel suo ospedale in quel periodo venivano condotti alcuni esperimenti sugli anziani. La pena di morte in Bulgaria è stata abolita nel 1998 benchè oggi ancora il 52% delle persone si dicono favorevoli alla sua applicazione. Il nuovo umanesimo deve essere capace di difendere il principio dell’inviolabilità della vita umana e di applicarla a tutti, senza eccezioni; anche in altre situazioni estreme dell’esperienza della vita: l’eugenetica, l’eutanasia. Lungi da me l’idea di idealizzare l’essere umano o di negare il male di cui egli è capace. Noi possiamo sempre curarlo e, abolendo la pena di morte – che è un crimine, ricordiamocelo – noi ci battiamo contro la morte e contro il crimine. In tal senso, l’abolizione della pena di morte è una rivolta lucida, la sola che vale contro la pulsione di morte e in definitiva contro la morte: è la versione secolarizzata della resurrezione. È noto che in Italia viene illuminato il Colosseo, sanguinosa memoria di innumerevoli gladiatori e di martiri cristiani messi a morte, ogni volta che un Paese abolisce la morte di morte o emette una moratoria sulle esecuzioni. Propongo che ogni notte quando un Paese rinuncia alla pena di morte, il suo nome venga scritto su un megaschermo illuminato installato per la circostanza su place de la Concorde (un tempo piazza della Rivoluzione) e sull’Hotel de Ville di Parigi. Questo gesto può aggravare le nostre finanze pubbliche? Gli ottimisti prevedono che il mondo nella sua quasi totalità avrà abolito la pena di morte entro il 2050. Tocca a noi fare in modo che questa processo abolizionista diventi maggioranza.