Glauco Giostra
Sovraffollamento, al detenuto uno sconto di pena
il Sole 24ore, 21 gennaio 2014
Intervengo nel dibattito sul decreto-carceri per avanzare una proposta, nella convinzione che quello critico-costruttivo sia l'unico approccio confacente alla non più tollerabile situazione dei nostri istituti di pena, cui questo importante provvedimento cerca di porre rimedio. Di certo non si sentiva il bisogno di talune scomposte reazioni che ne stanno accompagnando la conversione in legge.
Ciò non significa che il provvedimento non presenti soluzioni discutibili (segnatamente, in materia liberazione anticipata speciale), cui si deve porre rimedio, ma gli ansiogeni scenari prospettati dai detrattori, ricorrendo ad esempi improbabili e suggestivi, quando non a prognosi tecnicamente sbagliate, rischiano soltanto di creare un ingiustificato allarme sociale. Quello stesso allarme che, demagogicamente cavalcato, ha ispirato negli anni passati una sciagurata politica carcero-centrica, determinando l'attuale situazione che ci ha esposto all'umiliante condanna (cosiddetta "sentenza Torreggiani") della Corte europea dei diritti dell'uomo per il trattamento inumano cui sono sottoposti i detenuti nei nostri penitenziari.
Come è noto, la Corte ha sospeso per un anno l'esame dei ricorsi aventi ad oggetto il sovraffollamento carcerario in Italia, ormai vicini a quota 4.000 (sic!), "in attesa dell'adozione da parte delle autorità interne delle misure necessarie". Tra queste misure ha individuato come prioritaria l'introduzione di "un ricorso in grado di consentire alle persone incarcerate in condizione lesive della loro dignità di ottenere una qualsiasi forma di riparazione per la violazione subita".
Gli stessi giudici di Strasburgo, dunque, fanno implicito riferimento a forme "riparative" diverse dall'indennizzo economico, che il decreto legge in esame, avendo introdotto un procedimento giurisdizionale di reclamo al magistrato di sorveglianza, già oggi consente. Si potrebbe allora pensare di offrire al detenuto che ha subito un trattamento inumano, in alternativa al ristoro economico, una forma di riparazione che consista in una congrua riduzione della pena detentiva eventualmente ancora da scontare: all'ingiusta afflittività aggiuntiva di una pena espiata in condizioni degradanti dovrebbe compensativamente corrispondere una diminuzione di afflittività in termini di minor durata della pena espianda (fermo restando, naturalmente, il diritto ad una congrua riparazione di tipo economico qualora un tale meccanismo non possa trovare in tutto o in parte applicazione).
Si tratta di una soluzione che la Corte europea ha già preso in considerazione, affrontando un caso omologo di sovraffollamento carcerario, in una recente pronuncia (sentenza Ananyev contro Russia), nella quale ricorda di aver riconosciuto in molte occasioni - sia pure con riferimento alla riparazione del "danno" da irragionevole durata del processo- l'adeguatezza del meccanismo di riduzione della pena quale rimedio compensativo.
Oltre che rispondere ad esigenze di giustizia, la soluzione proposta assicura non indifferenti vantaggi. Anche a voler tacere quello di natura economica - solo per i ricorsi sino ad oggi pendenti a Strasburgo, l'Italia potrebbe essere condannata ad un esborso di molte decine di milioni di euro - il meccanismo di riduzione della pena, a differenza del ristoro pecuniario, concorrerebbe al decongestionamento carcerario. Va da sé che, soprattutto per i ricorsi pendenti, l'efficacia dello strumento sarà inversamente proporzionale al tempo impiegato per introdurlo: più si ritarda, infatti, più è probabile che il ricorrente abbia espiato la pena in gran parte o per intero, il che ne ridurrebbe sensibilmente o annullerebbe l'utilità. Di qui, l'importanza di inserirlo da subito nella legge di conversione del decreto legge carceri.
Sui detrattori di questa e delle altre soluzioni all'esame incombe l'onere di indicare valide alternative, perché l'attuale situazione carceraria "non può protrarsi ulteriormente", come ha perentoriamente ammonito la Corte costituzionale (sentenza n. 279/2013), ventilando, in caso di "inerzia legislativa", persino rimedi drastici, quali l'ineseguibilità della pena, se da espiare in condizioni indegne di un uomo. Ma non avremmo bisogno dei moniti di giudici sovra-nazionali e nazionali qualora tutti, oggi, ci sentissimo doverosamente responsabili "pro quota" del trattamento inumano inflitto a persone private della libertà: capiremmo che restituire loro dignità significherebbe restituirla anche a noi stessi.