1. Agli
inizi del secolo scorso Cesare Lombroso descriveva
con impietose parole un manicomio criminale, non molti anni dopo
la sua istituzione: "vi è ad Aversa un manicomio criminale che
può dirsiun'immensa latrina"[1].
E' tristemente noto come si tratti di una descrizione
riferibile, ancora ai nostri giorni, a buona parte dei seiospedali
psichiatrici giudiziari (OPG) presenti
in Italia: lo ha certificato negli scorsi anni una Commissione
d'inchiesta del Senato, presieduta dal Sen. Ignazio Marino, e lo
ha riconosciuto, nel tradizionale discorso di fine anno, nel
2012, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano,
quando ha definito gli OPG "un
autentico orrore, indegno di un paese appena civile".
Si tratta, come è noto, degli istituti nei quali viene eseguita
la misura di sicurezza detentiva prevista dall'art. 222 c.p. per
gli autori di reato socialmente pericolosi e non imputabili (e
quindi non punibili). Nellemedesime strutture si
esegue altresì (normalmente dopo l'esecuzione della pena
detentiva: art. 211 c.p.) la misura di sicurezza detentiva
dell'assegnazione a una casa
di cura e di custodia (CCC), disciplinata dall'art. 219
c.p. e riservata in questo caso agli autori di reato socialmente
pericolosi e semi-imputabili (e quindi soggetti a pena, per
quanto diminuita). La lunga storia delle due diverse misure di
sicurezza detentive - OPG e CCC -, che nella prassi, salvo
isolate eccezioni, hanno da sempre mantenuto un'impronta
sostanzialmente carceraria, ne testimonia il generale
fallimento: croniche carenze organizzative e di risorse hanno
del tutto vanificato
le funzioni di cura degli internati, costretti a subire
sistematiche violazioni dei propri diritti fondamentali. Parla
da sé un noto video
- per stomaci forti - realizzato dalla citata Commissione
d'inchiesta del
Senato in occasione di ispezioni a sorpresa nei fatiscenti
istituti.
E' dunque da salutare senz'altro con favore il processo
di superamento delle attuali strutture nelle
quali vengono eseguite le misure in questione, avviato almeno a
partire dal 2008 e che ha conosciuto un fondamentale momento,
durante il Governo Monti, con il d.l. 22 dicembre 2011, n. 211 (conv.
in l. 7 febbraio 2012, n. 9), già pubblicato in
questa Rivista (e
al quale chi scrive ha dedicato in altra sede alcune
riflessioni, alle quali si rinvia). Quel
provvedimento fissava alla data del 31 febbraio 2013 il
superamento delle attuali (sei) strutture nelle quali si
eseguono le misure del ricovero in OPG e CCC, e, attraverso un
contestuale ed effettivo finanziamento (tanto più encomiabile in
tempi di crisi economica) ne prevedeva lasostituzione,
ad opera delle regioni, con una pluralità di strutture a
limitato numero di posti letto, ad esclusiva gestione sanitaria
e con attività perimetrale di sicurezza e di vigilanza esterna,
solo ove necessaria.
Il termine fissato dalla legge è subito parso, e si è poi
rivelato, eccessivamente ravvicinato in rapporto alla
complessità dell'operazione da compiere, che vede coinvolte
tutte le regioni italiane (le attuali strutture sono dislocate
in cinque sole regioni: Sicilia, Campania, Toscana, Emilia
Romagna e Lombardia). Si è così assistito a una prima proroga -
al 1° aprile 2014 (ad opera del d.l. 25 marzo 2013, n. 24, conv.
in l. 23 maggio 2013, n. 57) - e, con il recente provvedimento
qui segnalato (art. 1, co. 1, lett. a. del d.l. n. 52/2014), a
una seconda proroga,
al 31 marzo 2015, che ambisce ad essere l'ultima: non
solo nelle intenzioni del Governo e del Parlamento, ma anche
secondo l'auspicio del Presidente della Repubblica, riportato
dalla stampa:
"ho firmato con estremo rammarico il dl di proroga per non
essere state in grado le Regioni di dare attuazione concreta a
quella norma ispirata a elementari criteri di civiltà e di
rispetto della dignità di persone deboli. E ho accolto con
sollievo - ha proseguito - interventi previsti nel decreto-legge
per evitare ulteriori slittamenti e inadempienze".
2. Il
d.l. 52/2014, ancor più nella versione ampiamente modificata in
sede di conversione dalla l. n. 81/2014, è d'altra parte molto
più di un semplice provvedimento di proroga: è nato
sostanzialmente come tale, per assumere strada facendo, nel
veloce iter di
conversione, i contenuti di una
rilevantissima e per certi versi epocale riforma della
disciplina delle misure di sicurezza in
questione, nonché, per quanto si dirà, di tutte le misure di
sicurezza detentive.
3. Un
primo gruppo di disposizioni, di carattere per lo piùamministrativistico,
mira per l'appunto, come sottolineato dal Presidente Napolitano,
a evitare lo scenario di ulteriori proroghe.
a) A
garanzia del completamento dell'iter di
riconversione delle strutture esistenti, e della creazione delle
nuove strutture residenziali - denominate R.E.M.S. (residenze
per l'esecuzione delle misure di sicurezza, che conservano le
denominazioni di OPG e CCC, presenti nelle invariate
disposizioni del codice penale ad esse relative) - è stato
anzitutto previsto un
sistema di monitoraggio dell'attività delle regioni:
queste dovranno comunicare entro sei mesi lo stato di
avanzamento dei lavori; il Governo, quando dalla comunicazione
della regione risulterà assente la garanzia sul completamento
dei lavori nel semestre successivo, provvederà in via
sostitutiva (art. 1, co. 2 del d.l. n. 52/2014). Presso il
Ministero della Salute sarà d'altra parte costituito un
organismo di coordinamento per il superamento degli OPG (art.
1, co. 2 bis d.l.
n. 52/2014, inserito in sede di conversione).
b) Nell'ottica
di privilegiare soluzioni alternative all'internamento negli OPG
e nelle CCC - secondo un disegno politico che vedremo essere
ricorrente nel provvedimento - viene
poi concesso alle regioni un termine (con
scadenza ravvicinatissima: 15 giugno 2014) per
rivedere i propri programmi e
'dirottare' i finanziamenti statali per la riconversione degli
OPG e la creazione delle nuove strutture a
beneficio delle strutture pubbliche presenti sul territorio e
alla riqualificazione dei dipartimenti di salute mentale (art.
1, co. 1-bisd.l. n. 52/2014, inserito in sede di
conversione).
c) Con
l'intento di salvaguardare le persone - circa un migliaio -
attualmente presenti negli istituti in via di superamento, si è
infine stabilito che entro
45 giorni dall'entrata
in vigore del d.l. debbano essere realizzati
e comunicati al Ministero della Salute e alla competente
autorità giudiziaria programmi di dimissione delle persone
attualmente presenti negli OPG, salvo documentare "in
modo puntuale le ragioni che sostengono l'eccezionalità e la
transitorietà del prosieguo del ricovero" dei pazienti per i
quali è stata accertata la persistente pericolosità sociale"
(art. 1, co. 1-terd.l. n. 52/2014, inserito in sede di
conversione).
4. Un
secondo gruppo di disposizioni, di primario interesse per i
penalisti, apporta poi rilevanti
modifiche alla disciplina delle misure di sicurezza detentive (modifiche
contenute, si noti, nel d.l. qui segnalato e non inserite nel
codice penale), volte complessivamente a limitarne
l'applicazione, nell'an e
nel quantum.
4.1. Sotto
il primo profilo, si positivizza anzitutto il principio
di sussidiarietà nell'applicazione
della misura del ricovero in OPG e
dell'assegnazione a una CCC (art.
1, co. 1, lett. b, nel testo della legge di conversione): si
introduce cioè la regola - analoga a quella prevista dall'art.
275, co. 3 c.p.p. per la custodia cautelare in carcere - secondo
cui il
ricovero in OPG o in CCC può essere disposto solo quando ogni
altra misura risulti inadeguata in rapporto alle esigenze di
cura e di controllo della pericolosità sociale. In
particolare, l'art. 1, co. 1, lett. b) del d.l. n. 52/2014, come
modificato in sede di conversione in l. n. 81/2014, stabilisce
che il giudice di cognizione - ovvero il magistrato di
sorveglianza, al momento dell'esecuzione, quando procede ai
sensi dell'art. 679 c.p.p. - "dispone nei confronti dell'infermo
di mente e del seminfermo di mente l'applicazione di una misura
di sicurezza, anche in via provvisoria, diversa dal
ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario o in una casa
di cura e custodia, salvo
quando sono acquisiti elementi dai quali risulta che ogni misura
diversa non è idonea ad assicurare cure adeguate e a fare fronte
alla sua pericolosità sociale". La legge, come si vede,
compie dunque un passo ulteriore rispetto alla rottura
dell'automatismo nell'applicazione delle misure di
sicurezza in questione nei confronti degli autori di reato non
imputabili o semi-imputabili - realizzata dalla Corte
costituzionale con le sentenze nn. 253/2003 e 367/2004: indica
infatti come regola l'applicazione
di misure di sicurezza diverse dal
ricovero, anche in via provvisoria, in OPG e CCC. Quest'ultimo
rappresenta infatti, nel riformato assetto normativo,
un'eccezionale ultima
ratio cui
il giudice può ricorrere solo dopo aver dimostrato, sulla base
degli elementi acquisiti, l'inadeguatezza di ogni altra misura
di sicurezza.
4.2. Un'altra
novità di sicuro rilievo, relativa ai presupposti di
applicazione delle misure di sicurezza detentive per i non
imputabili e i semi-imputabili, riguarda i criteri
di accertamento della pericolosità sociale ai
fini dell'applicazione delle misure di sicurezza del ricovero in OPG e
in CCC:
vengono infatti introdotti due
nuovi criteri (art.
1, co. 1 lett. b, nel testo della legge di conversione):
a) si
stabilisce che l'accertamento della pericolosità sociale - da
parte tanto del giudice di cognizione quanto del magistrato di
sorveglianza - "è effettuato sulla base delle qualità
soggettive della persona e
senza tenere conto delle condizioni di cui all'articolo 133,
secondo comma, numero 4, del codice penale", cioè delle "condizioni
di vita individuale familiare e sociale del reo".
L'intento è quello di evitare che l'indigenza, il disagio
familiare e sociale - cioè condizioni di marginalità e di
abbandono - possano venire in gioco quali indici sui quali
fondare il giudizio di pericolosità sociale dell'agente [2];
b) si
prevede inoltre che "non
costituisce elemento idoneo a supportare il giudizio di
pericolosità sociale la sola mancanza di programmi terapeutici
individuali". Il legislatore vuole evitare che
l'internamento negli OPG e nelle CCC possa dipendere da
eventuali disfunzioni organizzative e, in particolare, dalla
mancanza della possibilità di assegnare la persona interessata
ai dipartimenti di salute mentale, cioè alle strutture non
detentive facenti capo al servizio sanitario e dislocate sul
territorio regionale.
4.3. Dulcis
in fundo, la novità più rilevante dal punto di vista
sistematico: viene
meno la tradizionale regola che ancora la durata delle misure di
sicurezza alla pericolosità sociale. Da sempre, nel
nostro ordinamento, le misure di sicurezza, comprese quelle
detentive, sono indeterminate nel massimo e durano finché
perdura la pericolosità sociale della persona che vi è
sottoposta, oggetto di periodico accertamento da parte del
magistrato di sorveglianza. La riforma in esame, per effetto di un
emendamento presentato dai senatori Manconi e Lo Giudice,
introduce - relativamente a tutte
le misure di sicurezza detentive, comprese le case di
lavoro, le colonie agricole e il ricovero nelle nuove
REMS - il diverso principio secondo cui la durata
delle misure di sicurezza non può superare la durata massima
della pena detentiva comminata per il reato commesso: "Le
misure di sicurezza detentive provvisorie o definitive,
compreso il ricovero nelle residenze per l'esecuzione delle
misure di sicurezza, non possono durare oltre il tempo
stabilito per la pena detentiva prevista per il reato commesso,
avuto riguardo alla previsione edittale massima. Per la
determinazione della pena a tali effetti si applica l'articolo
278 del codice di procedura penale[3].
Per i delitti puniti con la pena dell'ergastolo non si applica
la disposizione di cui al primo periodo".
(art. 1, co. 1 quater d.l.
n. 52/2014, inserito in sede di conversione).
La disposizione vuole mettere fine al fenomeno del c.d.
ergastolo bianco: autori di reati più o meno
bagatellari - nel corso dei lavori parlamentari si è citato il
caso del furto di 7.000 lire - che rimangono per molti anni,
anche per decenni, internati negli OPG o nelle CCC, e che per la
mancanza di cure e di prognosi favorevoli di non recidività
corrono il rischio tangibile di restarvi per sempre, vedendo la
revoca come un autentico miraggio. Animata da questo nobile
intento, la disposizione è però foriera di una serie di
problemi, che saranno senz'altro oggetto - auspicabilmente anche
sulle pagine della nostraRivista -
di meditate riflessioni che più opportunamente avrebbero dovuto
precedere - e non seguire - la repentina approvazione della
riforma in commento.
Senza alcuna pretesa di completezza, segnaliamo di seguito,
'a caldo', alcuni
dei principali problemi che
intravediamo.
a) Un
primo problema è di
carattere teorico e sistematico. Si introduce l'idea di
una proporzione
tra la durata massima delle misure di sicurezza detentive e la
gravità del reato commesso: un'idea, secondo
chi si è speso per tradurla in legge,
dichiaratamente ispirata al "sistema
spagnolo" (il
riferimento parrebbe all'art. 104 del Codigo
penal). A noi pare però che quell'idea sia difficilmente
compatibile con la ratio politico
criminale e la travagliata legittimazione delle nostre misure di
sicurezza, concepite come sanzioni ulteriori rispetto alle pene,
volte a neutralizzare la persistente pericolosità
socialedell'autore del reato che ha già scontato la pena,
se imputabile o semi-imputabile, o che non può essere soggetto a
una pena, perché imputabile. Come si giustificano le misure di
sicurezza, quali autonome sanzioni penali, se le si rapportano
alla durata stabilita in astratto per le pene detentive, e non
già alla concreta pericolosità sociale dell'agente?
b) Un
secondo problema, segnalato nel corso dei lavori parlamentari da
chi ha avversato la riforma, è di
carattere politico-criminale e di
tutela della collettività: la nuova disciplina
consente, allo spirare del termine di durata massima della
misura di sicurezza detentiva, di mettere in libertà gli
internati ancora socialmente pericolosi, compresi quelli - qui
sta il problema - che non si sono visti revocare prima la misura
perché di loro si è detto che è probabile che commettano gravi
reati, in primis contro
la persona. Il prezzo che il nuovo congegno legislativo paga
sull'altare dell'abolizione dell'ergastolo bianco può insomma
essere molto elevato: il sacrificio della orrenda ma evidente
necessità, in funzione di difesa sociale, di neutralizzare la
persistente pericolosità sociale di alcuni autori di reato, che
vengono ciononostante rimessi in libertà.
c) Un
terzo problema riguarda poi la determinazione
del termine massimo di durata della misura di sicurezza qualora
l'internato abbia commesso più reati. Il richiamo della
regola stabilita dall'art. 278 c.p.p. per la determinazione
della pena ai fini dell'applicazione della custodia cautelare in
carcere fa sì che non si possa considerare la continuazione. Si
pone dunque il problema di come calcolare il termine massimo di
durata della misura di sicurezza nei confronti dell'autore di
più reati uniti dalla continuazione. L'unica via parrebbe quella
del cumulo materiale. Fuori dal caso della continuazione,
d'altra parte, dovrebbero trovare applicazioni le regole sul
cumulo materiale o giuridico, anche per quanto riguarda i limiti
massimi all'aumento delle pene.
d) Un
quarto problema - che segnaliamo per ultimo ma che è il più
rilevante per la prassi - è infine destinato a porsi
nell'immediato (la legge di riforma è già in vigore): è il
problema, di
diritto intertemporale, relativo all'applicabilità
della nuova disciplina alle misure in esecuzione al momento
della sua introduzione. Deve
essere revocata la misura di sicurezza detentiva nei confronti
di chi, ad oggi, abbia subito un periodo di esecuzione superiore
al termine massimo di durata, individuato secondo il disposto
della nuova disposizione legislativa? A
noi pare che la risposta debba essere senz'altro affermativa: in
assenza di una disciplina transitoriaad hoc, e senza
dover necessariamente scomodare il principio di retroattività
della legge penale più favorevole all'agente, trova applicazione
la regola generale prevista dall'art. 200, co. 2 c.p.,
secondo cui "se la legge del tempo in cui deve eseguirsi la
misura di sicurezza è diversa [dalla legge vigente al tempo
della sua applicazione], si applica la legge in vigore al tempo
della esecuzione".
***
L'estemporanea riforma in commento, insomma, occuperà ben
presto la prassi - i magistrati di sorveglianza in
primis - e potrà
comportareun consistente svuotamento delle strutture in
cui si eseguono le misure di sicurezza detentive: non
solo gli OPG e le CCC, ma anche le case di lavoro e di custodia,
le colonie agricole e le comunità per i minorenni che da tempo
hanno preso il posto dei riformatori giudiziari. La palla passa
dunque al giudice, ora che il legislatore ha detto la sua, e in
attesa che la dottrina - in tempi (forse) politicamente propizi
per riforme del sistema sanzionatorio - possa auspicabilmente
trarre spunto da questa riforma delle misure di sicurezza per
proporne con rinnovato slancio una ben più organica e radicale,
da tempo auspicata.
[1] C.
Lombroso, La
cattiva organizzazione della polizia ed i sistemi carcerari,
1900, in Il
momento attuale, Ed. Moderna, Milano, 1903, p. 94.
[2] Si
ricorda che, ai sensi dell'art. 202 c.p., agli effetti della
legge penale è socialmente pericoloso l'autore di un reato o di
un c.d. quasi reato, anche se non imputabile, "quando è
probabile che commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come
reato".
[3] Si
tratta come è noto della disciplina relativa al computo della
pena ai fini dell'applicazione delle misure cautelari personali:
"Agli effetti dell'applicazione delle misure, si ha riguardo
alla pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o
tentato. Non si tiene conto della continuazione, della recidiva
e delle circostanze del reato, fatta eccezione della circostanza
aggravante prevista al numero 5) dell'articolo 61 del codice
penale e della circostanza attenuante prevista dall'articolo 62
n. 4 del codice penale nonché delle circostanze per le quali la
legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria
del reato e di quelle ad effetto speciale".
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