Stupefacenti: la sostituzione della pena detentiva non è un diritto
Cassazione
penale , sez. III, sentenza 23.02.2011 n° 6876
(Altalex,
25 marzo 2011. Nota diMaria
Elena Bagnato)
I Giudici della Suprema
Corte, con la sentenza 23 febbraio 2011, n. 6876, hanno affrontato
la questione relativa all’opportunità di sostituire la pena
detentiva con il lavoro di pubblica utilità.
In particolare, il caso
riguardava B.V. giudicato colpevole dal Tribunale di Lodi del reato
di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 bis, condannato
alla pena di anni 4 di reclusione ed Euro 6.000.00 di multa, con le
attenuanti generiche e l’applicazione dell’ ipotesi di cui all'art.
73, comma 5.
La Corte di Appello di
Milano, chiamata a pronunciarsi sull'appello, confermava la sentenza
del Giudice di primo grado, ma avverso tale decisione, l’imputato
proponeva ricorso per Cassazione sostenendo che la Corte
distrettuale aveva omesso di pronunciarsi circa il secondo motivo
d’appello, ovvero la richiesta di applicazione del trattamento
sanzionatorio di cui alD.P.R.
n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 bis.
I giudici di Piazza
Cavour hanno puntualizzato che, per la sostituzione della pena
detentiva con la sanzione del lavoro di pubblica utilità devono
sussistere quattro condizioni, ovvero: “che l'interessato sia
tossicodipendente o, comunque, assuntore di sostanze stupefacenti;
che sia intervenuta sentenza di condanna o di patteggiamento che
abbia riconosciuto il fatto di lieve entità; che l'imputato abbia
espressamente chiesto, eventualmente in via subordinata, la
sostituzione delle pene irrogate con quella del lavoro di pubblica
utilità; che non ricorrano le condizioni per la concessione del
beneficio di cui all'art. 163 c.p..”
Sebbene nella fattispecie
esaminata, siano presenti i suddetti presupposti, la Terza Sezione
della Suprema Corte, ha evidenziato la piena discrezionalità della
decisione del giudice, il quale può accogliere l’istanza
dell’imputato nonostante il parere negativo del p.m., oppure
rigettarla, disattendendo così il giudizio favorevole del pm.
Pertanto, la scelta di surrogare o meno la pena detentiva con il
lavoro di pubblica utilità non rappresenta un diritto dell'imputato
automaticamente realizzato, in quanto la relativa concessione è
lasciata al libero apprezzamento discrezionale del giudicante. Di
conseguenza, quest’ultimo, nel concedere o meno la suddetta
sostituzione richiesta dalla parte, dovrà tener presente il
principio enunciato dall'art. 27 della Costituzione, ovvero l’
applicazione della pena deve essere stabilita in base alla sua
idoneità a favorire la rieducazione del condannato, nonché i criteri
espressi dagli artt. 132 e 133 c.p., ed art. 73, comma 5 bis., c.p..
Infine, i Giudici della
Suprema Corte hanno precisato che la decisione del mancato
accoglimento dell’istanza proposta dalla parte circa la sostituzione
del trattamento sanzionatorio, è stata dettata dalla valutazione di
alcuni elementi presenti nel caso in esame, ovvero “l'oggettiva
entità del fatto, la personalità del prevenuto, quale descritta dai
suoi precedenti, gravi e numerosi, che ne fanno emergere la
particolare proclività a delinquere, con conseguente pericolo per la
collettività, tanto da determinare la Corte distrettuale a non
riconoscere al B. una modifica, in melius, del trattamento
sanzionatorio applicato dal Tribunale.”
(Altalex, 25 marzo 2011. Nota di Maria Elena Bagnato)
I Giudici della Suprema Corte, con la sentenza 23 febbraio 2011, n. 6876, hanno affrontato la questione relativa all’opportunità di sostituire la pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità.
In particolare, il caso riguardava B.V. giudicato colpevole dal Tribunale di Lodi del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 bis, condannato alla pena di anni 4 di reclusione ed Euro 6.000.00 di multa, con le attenuanti generiche e l’applicazione dell’ ipotesi di cui all'art. 73, comma 5.
La Corte di Appello di Milano, chiamata a pronunciarsi sull'appello, confermava la sentenza del Giudice di primo grado, ma avverso tale decisione, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione sostenendo che la Corte distrettuale aveva omesso di pronunciarsi circa il secondo motivo d’appello, ovvero la richiesta di applicazione del trattamento sanzionatorio di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 bis.
I giudici di Piazza Cavour hanno puntualizzato che, per la sostituzione della pena detentiva con la sanzione del lavoro di pubblica utilità devono sussistere quattro condizioni, ovvero: “che l'interessato sia tossicodipendente o, comunque, assuntore di sostanze stupefacenti; che sia intervenuta sentenza di condanna o di patteggiamento che abbia riconosciuto il fatto di lieve entità; che l'imputato abbia espressamente chiesto, eventualmente in via subordinata, la sostituzione delle pene irrogate con quella del lavoro di pubblica utilità; che non ricorrano le condizioni per la concessione del beneficio di cui all'art. 163 c.p..”
Sebbene nella fattispecie esaminata, siano presenti i suddetti presupposti, la Terza Sezione della Suprema Corte, ha evidenziato la piena discrezionalità della decisione del giudice, il quale può accogliere l’istanza dell’imputato nonostante il parere negativo del p.m., oppure rigettarla, disattendendo così il giudizio favorevole del pm. Pertanto, la scelta di surrogare o meno la pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità non rappresenta un diritto dell'imputato automaticamente realizzato, in quanto la relativa concessione è lasciata al libero apprezzamento discrezionale del giudicante. Di conseguenza, quest’ultimo, nel concedere o meno la suddetta sostituzione richiesta dalla parte, dovrà tener presente il principio enunciato dall'art. 27 della Costituzione, ovvero l’ applicazione della pena deve essere stabilita in base alla sua idoneità a favorire la rieducazione del condannato, nonché i criteri espressi dagli artt. 132 e 133 c.p., ed art. 73, comma 5 bis., c.p..
Infine, i Giudici della Suprema Corte hanno precisato che la decisione del mancato accoglimento dell’istanza proposta dalla parte circa la sostituzione del trattamento sanzionatorio, è stata dettata dalla valutazione di alcuni elementi presenti nel caso in esame, ovvero “l'oggettiva entità del fatto, la personalità del prevenuto, quale descritta dai suoi precedenti, gravi e numerosi, che ne fanno emergere la particolare proclività a delinquere, con conseguente pericolo per la collettività, tanto da determinare la Corte distrettuale a non riconoscere al B. una modifica, in melius, del trattamento sanzionatorio applicato dal Tribunale.”